
Il sogno di Cuba corre a bordo di una Maserati Gran Cabrio, uno dei modelli storici della casa del Tridente di Modena, che mi ha permesso oggi di raccontare la storia di Juan Manuel Fangio, il pilota argentino famoso per suoi primati nell’automobilismo e della Formula 1 e per il suo rapimento avvenuto 1958 all’Avana, dalla Brigata del 26 Luglio, (movimento insurrezionale dei bardudos).
Rapimento che ha segnato un legame indissolubile tra Cuba, la storica Maserati corse e il campione argentino.

Nato a Balcarce, a sud di Buenos Aires, il 24 giugno del 1911, da una famiglia di emigrati di origine abruzzese, Juan Manuel Fangio già a 11 anni lavora come meccanico alle prese con motori mostrando sin da subito un indiscusso talento sulle polverose carreras del Sud America, collezionando vittorie su ogni tracciato, con auto primitive e da lui preparate.
Nel 1949, all’età di 37 anni, approda in Italia nel mondo sofisticato della Formula 1, con un repertorio senza pari di conoscenza meccanica e competività maturata appunto, nelle faticose maratone argentine.
Quando Fangio, già ritirato dalle corse, dopo aver vinto tutto, compreso cinque titoli mondiali, il 23 febbraio 1958 accetta di partecipare al Gran Premio di Cuba invitato da Fulgencio Batista. In quei giorni il dittatore (considerato amico degli americani) stava affrontando la peggior crisi di tutti i suoi anni di potere e, l’invito a Fangio avrebbe ridato lustro al più grande avvenimento di Cuba.

Fu così che Fangio con il team ufficiale della casa di Modena, con una flotta di Maserati 200s, 300s e 450s, sbarca sull’isola caraibica, assieme alla Ferrari 355 e 410 Sport, guidate da Mastern Gregory e Stirling Moss (da poco scomparso).
Fangio con la sua Maserati 300s, noto al suo pubblico, per abilità e capacità di guida, sarà il preferito. La sua intelligenza e determinazione non comuni racchiusi in un corpo tarchiato e massiccio, tanto da essere soprannominato el Chueco, (per via delle gambe arcuate), e nonostante ciò riusciva ad essere attraente, anche se mai si unirà in matrimonio.
Per i veri amanti e tifosi delle corse era invece considerato “el Maestro”.
La storia, che ho il privilegio e il piacere di raccontare, nasce anche grazie dal supporto dell’associazione culturale Amigos de Fangio e quello logistico dell’ambasciata italiana all’Avana; segnando lo storico ritorno della Maserati dopo più di 50 anni a Cuba, dopo il tragico incidente di gara, che segnò la fine del Gran Premio.
Storia che ha inizio con l’arrivo della GranCabrio nel porto “Bahía de la Habana”.
Di colore argento, con interni in pelle color sabbia, il rombo inconfondibile del suo motore da 440 CV, la quattro posti inizia a percorrere le popolose strade della capitale.

Impossibile descrivere lo stupore e le espressioni degli isolani alla vista di una macchina mai raffigurata nemmeno sulla carta stampata. L’idea era quella di ripercorrere quei luoghi con la nuova Cabriolet, alla ricerca di elementi per meglio raccontare la storia di quell’evento riportato ritenuto epico.

La potente Maserati sembrava voler testare per prima i 4 Km lungo la costa del El Malecón, parte del circuito cittadino che sin dal 1957 venne utilizzato dal Gran Premio di Cuba. Una tappa essenziale dei luoghi più autentici e famosi di tutta Cuba.
Un punto ancora oggi di incontro preferito da amanti, poeti, cantanti folk, filosofi e pescatori.
Lungo le strade dell’Avana, la fiammante cabriolet, si distinguerà tra le mitiche macchine degli anni 50’ come le Cadillac, Plymouth, Chevrolet, Oldsmobile, Studebaker, usate come taxi. Queste vecchie e fumose machine, tenute in vita grazie a riparazioni fantasiose e frutto di un ambizioso talento cubano, reso necessario per sopravvivere al pesante embargo imposto dall’America, che ne vieterà l’importo dei ricambi.
Le strade popolate della vecchia Avana (Habana Vieja) ci portano dritte nel luogo dove avvenne lo storico rapimento del secolo.
Il pilota argentino Juan Manuel Fangio non avrebbe mai sospettato che quell’appuntamento automobilistico si sarebbe tramutato in una vicenda politica che avrebbe attratto l’interesse dell’opinione pubblica del pianeta e rappresentato l’inizio di una svolta per il futuro di Cuba.

Era la notte del 22 Febbraio del 1958, quando alle 20:55 nella hall del Lincoln Hotel, oggi reliquia vivente, dove soggiornò il pilota argentino, si consumò l’azione rivoluzionaria del gruppo.
Una pistola calibro 45 puntata su Fangio lo costrinse a seguire i rapitori e salire su una Chevrolet blu-verde del 1954, che si allontanò velocemente.

L’obiettivo del gruppo, con Faustino Perez a capo, era quello, attraverso un’azione eclatante, di dimostrare che il Gran Premio, e altre attività culturali e sportive indette dalla tirannia di Batista, erano usate come mezzi di distrazione di massa per nascondere le rivolte popolari che invece erano sempre più crescenti. Azione alla quale seguì la vittoria del movimento di Fidel Castro contro la dittatura di Batista.

Dalle testimonianze dei superstiti di quella notte, di cui solo due sono in vita dei sette che componevano il gruppo, l’autista Manuel Núñez León, oggi novantenne, al momento del rapimento imbracciava una mitragliatrice pronta per sparare.

Insieme ad Ángel Fernández Vila, ricordano come Fangio, a differenza di tutti loro, mostrò sangue freddo e nervi d’acciaio e perfino sorrise anche quando la canna della rivoltella venne puntata sulla sua schiena.
Lungo la corsa per raggiungere il primo nascondiglio, superato un posto di blocco della polizia, Núñez decise di fare una rischiosissima fermata presso la sua abitazione, per far conoscere il campione del mondo, alla propria famiglia.
Durante i trasferimenti, Fangio non fu mai bendato. Due le macchine sostituite e altrettante le case dove trascorse parte della fuga. Una di queste, si trova nel Vedado e ancora oggi conserva una targa per commemorare il rapimento.
I rapitori ricordano come Fangio ebbe anche il tempo di consumare una cena che lamentava di aver saltato, circondato dalla gente venuta per avere un suo autografo e per festeggiare l’operazione riuscita.
Durante le ultime ore del rapimento, il gruppo intercettò le comunicazioni della polizia, e gli ordini di Batista, il quale ordinava di uccidere tutti i componenti del gruppo, compreso Fangio, in caso di cattura. Tutto questo allo scopo di addossare poi la colpa ai castristi.


Durante le 27 ore del rapimento, Fangio comprese i motivi idelogici che spingevano il gruppo rivoluzionario a rischiare la propria vita per la propria causa.
Alle porte dell’Ambasciata Argentina, luogo del rilascio del campione, disse ai militari di guardia “questi sono i miei gentili amici sequestratori”.
“Quando trionferà la rivoluzione lei sarà il nostro invitato d’onore”: queste le parole pronunciate dal gruppo prima degli addii.
Nel frattempo, la corsa del Gran Premio, a cui Fangio non potè partecipare, venne sospesa dopo cinque giri per un funesto incidente: la Ferrari Testarossa del cubano Cifuentes piomba sulla folla uccidendone sette persone e ferendone trentuno.
La gara si concluse con la vittoria di Stirling Moss e Masten Gregory.

Fangio ringraziò i rapitori per avergli impedito di correre quel giorno, dicendo loro che forse gli avevano salvato la vita.
La storia ci racconta che Batista lasciò il potere mesi dopo e Fangio, al culmine della sua carriera, abbandonò le corse automobilistiche nello stesso anno, sentendo ormai come incombente il peso dell’età.
I rapitori e protagonisti dell’azione ribelle, saranno ricordati come eroi dal popolo cubano e quel legame tra la casa di Modena, l’isola di Cuba e il pilota argentino, da allora entra a pieno titolo nella storia automobilistica e di quella di un popolo.

Luca Dal Monte – Capo Relazioni Maserati Italy
Ambasciata Italiana all’Avana
Lupe Fuentes Macías – Pubbliche relazioni Amigos de Fangio
Flavio Pompetti – Compagno di viaggio e ispiratore
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