In questi giorni Oxford, come molte città di tutto il mondo, è deserta. Le università hanno chiuso i battenti prima che il primo ministro Boris Johnson decretasse il lockdown della nazione, cosi da oltre un mese gli studenti, ancora increduli, hanno abbandonato le aule e le loro residenze per tornare presso le loro famiglie.
Gli abitanti di Oxford ci hanno impiegato del tempo prima di rispettare le regole imposte dal lockdown, anche perché il governo ha mantenuto inizialmente una posizione ambigua. Con il passare del tempo, con l’aumentare dei morti, con la positività al virus, prima del Principe Carlo, poi del premier Boris, anche in Oxford si sono cominciate a vedere le file davanti ai supermercati e l’osservanza disciplinata del distanziamento sociale. C’è inoltre da registrare che sin dal lockdown in Oxford, come in tutta la UK meridionale, il tempo è stato molto generoso avendo anticipato la temperatura estiva; questo sole inaspettato sta incentivando il fare passeggiate da soli o con il proprio nucleo famigliare, ed e’ sovente incontrare gruppi famigliari in bicicletta. In questa Oxford assolata, ma deserta, con le Università chiuse e gli abitanti rimasti chiusi in casa, vive una folta comunità italiana.

La Voce di New York, ha seguito da vicino la storia di Giovanni, un giovane italiano, di 25 anni, che in Oxford ha visto l’evento della brexit e in questi mesi ha dovuto affrontare l’emergenza virus.
Giovanni, proveniente da un paesino della costa occidentale della Sicilia, ha lavorato come barista per cinque anni presso il bar di un famoso hotel del centro di Oxford. Il suo stipendio era bastante per far fronte alle spese del vivere all’estero. In questi anni ha dovuto risolvere, quasi ogni anno, la problematica di cercare un domicilio. Qui i contratti per le abitazioni sono molto brevi, a protezione dei diritti del proprietario. Ma il problema che ha dovuto confrontarsi sin da subito è stato il fatto che essendo gli affitti molto alti la residenza doveva essere condivisa con altre persone nelle sue stesse condizioni. E la convivenza non è stata sempre semplice. Anzi, diverse persone, diverse culture, diversi standard di igiene, gente problematica con dipendenza da alcool o altre sostanze. Insomma, “talvolta le convivenze erano dei gironi danteschi infernali”, confessa Giovanni.
Nonostante le difficoltà, Giovanni aveva trovato un compromesso nella sua vita: “si è vero che mi mancano i rapporti famigliari, gli amici, la mia terra, il mare della mia Sicilia, ma in Oxford avevo un lavoro, mentre in Sicilia rischiavo di trascorrere la mia gioventù nella inerzia della perenne disoccupazione, come ho visto fare a tanta gente nella mia zona d’origine” . Allontanarsi da tutta la famiglia è stato un prezzo grande da pagare, ma Giovanni sperava di poter dare una prospettiva alla sua giovane vita. La sua regione, e in generale l’ Italia, sembrava non poter offrire nessuna opportunità lavorativa. Ecco, tutte queste ragioni avevano spinto Giovanni ad emigrare in un paese straniero e al dover accettare il compromesso di condividere la sua residenza con gente dalle provenienze più disparate e con usi e costumi diversissimi.
Lo spirito di adattamento di Giovanni aveva però subito un primo shock con la vittoria della brexit nel referendum del 2016. L’unica consolazione era il fatto che in Oxford come a Londra, il voto aveva espresso una maggioranza per il ‘remain’.
Però nell’esperienza personale di Giovanni lo spirito ‘brexiter’ in qualche modo anche ad Oxford si è fatto sentire. Lui se ne era accorto circa un anno fa, quando, presso l’ ambulatorio clinico del servizio sanitario pubblico, una infermiera nell’esaminare il suo piede con una infezione estesa, dovuta ad una unghia incarnita, gli aveva ripetuto più volte di rivolgersi al sistema sanitario privato. “Non riuscivo a credere a quello che mi veniva detto, l’infermiera si rifiutava di offrirmi il servizio sanitario nazionale, di cui avevo diritto, ma mi mandava al privato!!”.

Si, è vero che al servizio nazionale sanitario ci sono molte file di attesa ma in Giovanni si insinua il sospetto che “forse l’infermeria non abbia voluto offrirgli la struttura pubblica per riservala ai britannici puri” come lui stesso ci confessa. Lui del resto aveva sia un nome che una pronuncia straniera. Non è questo forse uno degli effetti della Brexit ? Giovanni si era ritrovato a pensare. “Così, pur di risolvere il mio problema al piede, sono andato al servizio privato e ci sono dovuto andare varie volte perché ancora non riescono risolvere il problema e l’ infezione mi ritorna periodicamente. Una esperienza che mi aveva fatto considerare che dopo la Brexit, noi europei non sappiamo cosa ci potrebbe riservare il futuro”. Giovanni aggiunge: “Io e altri italiani viviamo nella incertezza”.
Poi è arrivato il corona virus e il bar di Giovanni ha chiuso come tutte le altre attività commerciali. Giovanni si è ritrovato a passare il suo lockdown chiuso nella sua stanza, condividendo di tanto in tanto il soggiorno e cucina e bagno con altre tre persone. Ma sebbene lui avesse rispettato i dettami del lockdown, sensibilizzato dalle notizie che provenivano dall’Italia, non tutti coloro che vivevano nella sua casa rispettavano l’obbligo di stare in casa. Comperare le mascherine è stato impossibile sin dagli inizi della epidemia, infatti in Oxford pochi sono coloro che ne posseggano e che la indossano. Giovanni si ritrova a considerare che il suo lavoro era stato ormai perso, che avrebbe dovuto continuare a pagare l’ affitto, che si ritrovava a convivere con gente che al tempo del coronavirus continuava ad uscire di casa e a fare vita sociale. Alla luce di queste considerazioni Giovanni matura la decisione di tornare in Italia, presso la sua famiglia. Ma una cosa è progettarlo altro è riuscire a farlo. Infatti verso la metà di marzo si accorge che i voli messi a disposizione dall’Alitalia erano pochissimi e talvolta quelli che erano online venivano cancellati o sold out nell’ arco di pochi minuti. Fortunatamente Giovanni riesce a trovare un volo della Lufthansa che lo avrebbe portato a Francoforte, dovere avrebbe fatto una sosta di otto ore, poi un volo a Roma e da li un altro volo per Palermo.
“Un mio amico mi ha regalato una mascherina ppf3 con cui avrei dovuto viaggiare e affrontare i rischi del viaggio. Tutti gli aerei erano colmi per lo più di giovani, tutti muniti di mascherine e di una grande paura negli occhi, nella cabina di volo regnava il silenzio, nessuno aveva voglia di intrattenersi in conversazioni, solo il desiderio di arrivare a destinazione”. Racconta Giovanni. Da Oxford per arrivare a Palermo ci sono volute 48 ore per le lunghe soste nei vari aeroporti. Una volta a Palermo la sua famiglia gli ha fatto trovare un macchina all’aeroporto, che lui avrebbe dovuto guidare da solo fino alla sua residenza in paese, dove si sarebbe messo in quarantena presso un appartamento libero, appartenente alla famiglia. Dopo due settimane di solitudine, Giovanni è riuscito a ritornane a stare con la sua famiglia, giusto in tempo per condividere il pranzo pasquale.
Giovanni ci racconta che l’esperienza del rapporto con l’infermiera accaduto in clima di Brexit, un anno prima del corona virus, ha avuto un forte impatto su di lui. “In quella occasione mi sono sentito molto straniero in UK, come non mai. E quando è morto a Londra il diciannovenne Luca de Nicola affetto da corona virus, perché il uso medico di base aveva sottovalutato la gravità della sua malattia ed essere stato più volte rifiutato dalla struttura ospedaliera, ho capito bene come questo dramma sia potuto accadere” ci racconta Giovanni.
“A quel punto mi sono confrontato con altri amici italiani in Inghilterra e ci siamo detti: se noi dovessimo ammalarci potremmo essere gli ultimi ad essere trattati nelle struttura sanitaria poiché noi siamo degli stranieri in un paese dove la brexit sta dominando lo spirito della comunità. Non possiamo permetterci di ammalarci qui”.
Questo triste pensiero che collega gli effetti della brexit con la devastate pandemia è forse stato alla base dei molti rientri in Italia.