Incontro Massimo Veccia al Row Hotel, non molto lontano da Times Square. Al bar della hall c’è un po’ di confusione. Un suo amico passa a salutarlo. “Pensa – mi dice Massimo – oggi è diventato cittadino americano. Ed è anche il suo compleanno!” Ordiniamo da bere e brindiamo in suo onore, poi ci spostiamo in una saletta poco distante, ma decisamente più tranquilla. Massimo è allegro, ci conosciamo da qualche mese e tra di noi c’è una discreta confidenza, l’atmosfera è rilassata e c’è curiosità reciproca per questa intervista. Prima di cominciare mi dice: “Mi raccomando, fammi belle domande”.

Un giorno ho letto che si diventa newyorkesi la prima volta che ci si ferma davanti a un insegna o a una vetrina e si dice: “Qui una volta c’era…” Questo perché New York è una città che cambia sotto i nostri occhi, anche in modo spietato. Com’è lavorare qui da dieci anni?
“Il rapporto con questa città può variare nel tempo. Anche prima mi è successo proprio quello di cui parli, ero a Downtown e ho guardato due o tre posti dicendomi che prima al loro posto c’era qualcos’altro. Venendo qui per lavoro l’effetto che ha la città su di te cambia. Io venni da turista due volte con la mia famiglia, dopodiché ho iniziato a venirci per lavoro e più ci vieni per lavoro, più diventa un lavoro. Ora infatti non mi muovo più moltissimo da Midtown, dove ho i miei punti di riferimento e incontro le persone che devo incontrare senza passare più molto tempo fuori. Se devo uscire, lo faccio per andare a visitare qualche posto fuori dalla città. Per me New York è un sogno stupendo realizzato, in tutti questi anni mi sono tolto moltissime soddisfazioni, quindi adesso per me è diventata una città di lavoro. Vengo qui con un entusiasmo diverso, riferito magari agli incontri e agli eventi che organizziamo. Tutto diventa un po’ più un’abitudine, anche con i ristoranti ho ormai i miei riferimenti e vado quasi sempre negli stessi”.
E prima che diventasse una città di lavoro, cos’era per te New York?
“Io non potevo vivere senza New York. Sono venuto la prima volta nel 1996, tra l’altro venni al Millennium Broadway dove abbiamo fatto la presentazione del libro di Dario Silvestri. Venni con due lire e tornarci per organizzare un evento per me è stata un’emozione assurda. Tornare nello stesso posto, sentire lo stesso profumo, Gilchrist. Dopo essere venuto le prime due volte, New York era il mio unico pensiero. Parlavo solo di quello a casa e con gli amici. La città mi era entrata dentro e mi promisi di tornarci non più da turista, ma da protagonista”.
Così è nata Learn Italy.
“Tornai a New York con mia moglie per il suo compleanno, non le dissi nulla ma io avevo già organizzato tutto, brochure, biglietti da visita, tutto. Learn Italy esisteva ma non esisteva. Mi feci preparare dalla mia segretaria una lista di posti da vedere e di persone che potessero essere interessate alle nostre attività, che inizialmente prevedevano di portare turisti americani in Italia. Il primo appuntamento che avevo era in Upper West Side, da un certo Sergio Stefani, un professore che all’epoca aveva circa settant’anni. Mi presentai a casa sua con mia moglie e mia figlia piccola e quando venne ad aprirmi alla porta con accento romanesco mi disse: “Davvero ti chiami Veccia? Ma sei il figlio di Francesco?” Mio padre aveva lavorato con lui a Roma a Piazza Cavour quarant’anni prima. Così comincia la storia di Learn Italy. Un altro incontro fondamentale avvenne con due professori di Philadelphia, Joe e Jeanny, marito e moglie. Se vogliamo idealizzare, New York è il padre di Learn Italy, ma Philadelphia è sicuramente la madre. Mi portarono lì e mi spiegarono tante cose dell’America che io non sapevo, anche segreti e trucchi per interagire al meglio con le persone. Learn Italy è stata sempre aiutata da qualche persona a turno, non economicamente, ma con energie, consigli, valori e affetto. Agli inizi ero io che giravo per la città e chiedevo di incontrare le persone, adesso è un po’ l’opposto”.
Rimpiangi il periodo in cui eri tu a dover girare alla ricerca di un incontro?
“Da una parte sì, perché c’era l’entusiasmo. Adesso è bellissimo perché Learn Italy è come un figlio, però è diventato un po’ più normale per me. Oggi tenderei a visitare più l’America Centrale, ma New York resta il posto perfetto anche per ottenere degli stimoli e un’energia che spendo anche quando torno in Italia”.
È per questo che Learn Italy è andata dal padre, cioè New York, e non è rimasta dalla madre, ovvero Philadelphia?
“A New York per una serie di coincidenze ho conosciuto anche Barbara Dick del New York Language Center che mi offrì per prima di prendere una stanza nella sua scuola. A Philadelphia non avrei mai potuto fare le cose che ho fatto qui, per una questione di relazioni e anche per una questione economica”.
C’è un posto di New York in cui andavi molte volte e dove ora, per via del lavoro, non vai da tanto tempo?
“C’è un posto che si chiama Tudor City, tra 42th Street e 1st Avenue. È un piccolo borgo in stile britannico, con giardinetti e scoiattoli. Fa pensare un po’ alle atmosfere di Friends, che non trovi più spesso qui. È un posto dove i turisti non vanno, puoi andarti a sedere su una panchina, ritrovare un po’ te stesso, riflettere davanti all’East River, con un bel po’ di spazio a disposizione davanti a te, cosa rara a New York. Era il mio posto, dove andavo spesso appena avevo un momento libero e volevo rilassarmi. Adesso non ci vado da molto tempo. L’amore per questa città rimane lo stesso, cambia soltanto l’approccio che ho verso di essa. Ho vissuto a Roma, Frosinone, Francoforte, in Francia, ho studiato in Inghilterra. Sono abituato ai cambiamenti ma questa è la città più stabile, dove c’è la nostra società, qui c’è un po’ di cuore”.
Qual è il rapporto che ha Learn Italy con New York?
“Io dentro di me sento che Learn Italy è New York e che New York è Learn Italy. Vivono assolutamente in simbiosi, la città è sempre presente anche se noi siamo a Roma, in Francia o in Cina. È una presenza continua, forse anche per questo quando parto non mi sembra di abbandonarla, che era invece la sensazione che non mi faceva dormire la notte quando ci venni da turista”.
In dieci anni, Learn Italy cosa ha dato alla città? Ha cambiato il panorama dell’italianità?
“Sì perché prima non c’era niente di simile. C’erano delle istituzioni che si occupavano di cultura italiana, altre di marketing e italianità, altre ancora parlavano di lingua italiana e Learn Italy ha messo insieme un po’ tutte queste cose. Il segreto è non stare qui fisso, a meno che non sei un giornalista e ti hanno trasferito qui o un milionario, devi avere due basi. L’Italia è perfetta perché gli americani la amano in un modo irrazionale e noi amiamo l’America perché siamo cresciuti coi loro film e perché l’America è anche un po’ nostra, ci siamo un po’ dentro, abbiamo costruito ponti, autostrade, abbiamo portato il buon cibo, la moda. Learn Italy ha inoltre il vantaggio di non essere legata a un campo e di essere sempre rimasta neutrale rispetto alla politica. Siamo una realtà che può essere chiamata in qualsiasi momento perché lavoriamo seriamente tutto l’anno”.

Avete appena festeggiato il decennale di Learn Italy, come ti immagini il suo ventennale?
“Tra vent’anni la immagino in mano a qualcun altro. La novità di adesso è che sta entrando un board con dei soci. Io preferisco passare da CEO a Presidente, magari un domani anche a presidente onorario, che ci mette la faccia se serve ma non è più attivo. Fino a un anno fa mi occupavo ancora di tutto io, oggi le cose sono un po’ cambiate. Una delle missioni di Learn Italy è proprio quella di valorizzare i ragazzi bravi, facendolo però veramente, non a chiacchiere. Se siamo seduti attorno a un tavolo e l’idea migliore ce l’ha un mio collaboratore, io sono più felice perché significa che io ho scelto bene e che lui sta emergendo. Se emerge lui, cresce di più Learn Italy, perché sono idee ed energie nuove. Inoltre così io mi sento alleggerito, ho più tempo per pensare a me stesso, alla mia famiglia e al prossimo passo. Il compito di chi dirige un’azienda secondo me dovrebbe essere questo: far fare e condividere, non solo l’ordinaria amministrazione, ma condividere le idee”.
Qual è il prossimo passo?
“Il prossimo passo in realtà è il primo. Ho detto che all’inizio volevamo far venire gli americani in Italia. Ci abbiamo provato e non ci siamo mai riusciti, ma ora abbiamo un sito già pronto, perfetto, e inizieremo con l’inaugurazione della sede di Napoli a marzo per occuparci di turismo. Sarà la quarta fase di Learn Italy, dopo la lingua italiana, la cultura italiana, la promozione di prodotti, eccellenze e dei talenti italiani, adesso inizia la fase turistica. Vogliamo portare un pubblico soprattutto di pensionati statunitensi che hanno tempo e risorse per apprezzare l’Italia. Questo chiuderebbe il cerchio per me, dopodiché la missione sarebbe compiuta. Entreranno altre persone e io darò dei consigli da fuori, per non essere più troppo legato alle attività quotidiane”.

Scusami, ma a parte Jack Ma, il fondatore di Alibaba che ha rinunciato alla carica di presidente esecutivo a soli 54 anni, di solito a questa età nessuno lascia. Ho l’impressione che in questi dieci anni New York ti abbia dato tanto a livello personale e professionale, ma che al tempo stesso ti abbia richiesto tanto. È per questo che programmi già il tuo “dopo”?
“Io nasco come viaggiatore. Ho studiato lingue perché amavo viaggiare e ho fatto il musicista per viaggiare. Se tu ora mi dicessi di prendere la macchina e di farci sette ore per andare a Portland, ti direi immediatamente di sì. Perché il viaggio è una cosa, il lavoro, anche nella città più bella del mondo, è un’altra. Con questo non sto dicendo che sono disincantato, assolutamente! Io sono strafelice di tutto quello che stiamo facendo. Però credo che ci sia una nuova tendenza. Abbiamo capito tutti che la vita è una, che hai un tempo molto produttivo dopo il quale devi essere bravo a delegare agli altri, perché se non sai delegare ti porti nella tomba tutto quello che non hai mai condiviso. A me è sempre piaciuto delegare, contornarmi di giovani e delle idee più pazze per il semplice gusto di portarle avanti. L’entusiasmo ce l’ho ancora, ma non ho la voglia di farlo fino alla pensione”.
Questa impostazione te l’ha data anche un po’ New York? Tutti dicono che qui ci si può trascorrere un periodo della propria vita, magari anche il più bello, ma che non ci si può rimanere per sempre.
“Non so, magari fossi stato a Parigi sarebbe stata la stessa cosa, ma quello che dici è verissimo. In questa città non puoi starci per sempre se non hai delle caratteristiche ben precise. Tra l’altro il nostro lavoro sta funzionano meglio di prima perché lavoriamo in due continenti, mettendo in contatto gli USA con l’Italia e viceversa. Stiamo per portare qui un comico, un cantante, uno scrittore, prodotti di eccellenza. Questo mi piace perché posso girare, provare, assaggiare, viaggiare. Se dietro non ci fosse stato il viaggio non sarebbe mai nata Learn Italy”.
Non è un caso che qualche anno fa, usando un’espressione che si rivelò molto fortunata, consigliasti ai giovani di non essere cervelli in fuga, bensì cervelli in viaggio.
“Quando una persona ha un’idea, già si mette in viaggio, a prescindere da dove andrà a realizzarla. Non si deve fuggire da niente. Noi dobbiamo tutto ai nostri antenati, abbiamo tutto, è già tutto pronto e aspetta solo di essere promosso e venduto. Non ci manca niente, dobbiamo solo non rovinare ciò che abbiamo. Gli americani sono innamorati di noi, noi siamo innamorati di loro, loro hanno le possibilità, noi possiamo letteralmente nutrire il mondo. Vuoi vedere Michelangelo o Bernini? Devi venire da noi. Per respirare quell’aria, camminare su quei pavimenti, su quegli intarsi, tu devi venire da noi, non c’è un’altra strada. Però anche lì siamo tutti divisi e non c’è una mega Learn Italy che mette insieme tutti. Dovrebbe essere il Ministero del Turismo, ma quando c’è di mezzo la politica è tutto più complicato. Noi riceviamo quotidianamente messaggi da parte di aziende che cercano di sbarcare in America e cercano di farlo senza spendere un patrimonio. Learn Italy è un hub che promuove la cultura italiana, le sue eccellenze e i suoi talenti giovani e meno giovani. Mettiamo a disposizione le nostre risorse, partecipando anche alle spese dell’operazione, e forniamo tutti i servizi, dalla comunicazione alla logistica alla progettazione. In questo modo un’azienda paga meno di quanto pagherebbe per andare a promuoversi a Milano, arrivando però a New York. Dopodiché succedono due cose: se il loro prodotto piace, possono provare a venderlo al mercato americano, oppure possono tornare in Italia con una visibilità e un prestigio accresciuti che valorizzano in modo straordinario l’azienda e i prodotti”.

Anni fa ti ho conosciuto come l’esempio di italiano in grado di fare successo a New York vendendo l’Italia. Ora mi stai dicendo che la direzione è la stessa ma il verso è opposto, cioè che si viene a New York per fare successo in Italia?
“Andare a New York ti permette di essere conosciuto in Italia e in tutto il mondo. Noi con Learn Italy teniamo corsi di italiano a distanza nei posti più impensabili, come Atlanta, Oklahoma City, San Antonio in Texas. Abbiamo ricevuto una richiesta persino dalle Hawaii. Non saremmo mai arrivati a questo punto se non fossi venuto a New York a farmi conoscere e stimare. Tutto questo viene apprezzato anche dall’Italia, dove le aziende ci chiedono di aiutarle a mettere in contatto i due mondi. Non si fa in tre giorni, ma se lavori con serietà ce la fai, a patto che ti circondi dei contatti giusti e di validi collaboratori, senza i quali io avrei ottenuto nulla”.
Secondo te si arriverà mai al punto per cui un’azienda di New York dovrà recarsi in Italia per dare prestigio al proprio lavoro, o continueremo a essere principalmente un posto in cui si mangia bene, si prende il sole e si visitano i monumenti?
“Se sei nell’arte o nella musica sì, se sei nel business forse a Milano, ma per un certo tipo di affari ci si reca a Francoforte, Zurigo, Londra, Parigi. Noi purtroppo non abbiamo come Paese questa caratteristica, non si può avere tutto, ma ciò che abbiamo dobbiamo conservarlo. In Italia purtroppo c’è molto da migliorare e ristrutturare, ma il Paese attrarrà sempre chi ama il buon bere e il buon mangiare, l’arte e la musica soprattutto. Poi abbiamo eccellenze assolute anche nell’ambito tecnico e tecnologico, ma la nostra peculiarità secondo me resta il turismo. L’Italia può prosperare se riesce a vendere sé stessa nel migliore dei modi, con gentilezza e serietà. Learn Italy si è sviluppata in Italia come un franchising con varie sedi tra cui Roma, Torino, Firenze, Arezzo e ora anche Napoli, ma la sede è New York anche per un discorso di comunicazione, perché se sei un’azienda che è qui da dieci anni significa che sei capace e affidabile”.

Per far sì che una persona venga ispirata come sei stato ispirato tu la prima volta che sei venuto qui, quale posto di New York o città degli Stati Uniti consiglieresti di visitare?
“Per lavorare e vivere bene direi la Florida, anche per risparmiare. Una città che mi ha impressionato è New Orleans, ma anche Detroit, Nashville, Charleston. Ogni città ha le proprie caratteristiche, non è vero che gli Stati Uniti sono tutti uguali, è una banalità. Quando vedi questo Paese dall’aereo, poi, ti rendi conto della grandezza, dei grandi fiumi, dei monti Appalachi, delle enormi pianure e dei tramonti infiniti. Oltretutto è anche la storia americana a essere bella, una storia di combattimenti, di sangue ma anche di passione, orgoglio, dignità, forza e di un coraggio estremo che forse in Europa si riscontra solo negli inglesi. Qui ci sono valori su cui non si scherza e nei quali io mi ritrovo pienamente, come la lealtà, la correttezza, l’amicizia e il senso dello Stato. Guardare questo Paese dall’aereo, come ti dicevo, è una cosa che a me come viaggiatore toglie il fiato e mi commuove. In quei momenti penso che sono a New York, come se me ne rendessi conto per la prima volta, e mi domando: come ho fatto ad arrivare fin qui? Perché alle volte non mi sembra vero. Quanto ci ho messo, anche in termini di speranza, di fatica? C’era gente che all’inizio mi guardava come a dire: vai, vai, tanto non durerai a lungo. Io li ho visti quegli sguardi, le risatine. Io stesso non sapevo se ce l’avrei fatta, ma dovevo provarci perché per me era vitale”.
Come sei riuscito a farcela?
“Ti racconto una cosa che non sa quasi nessuno. Io come musicista ho viaggiato molto e sono stato tra i primi a suonare a Dresda dopo la caduta del muro di Berlino. Una volta presi l’aereo e fu un volo tremendo a causa di un forte vento. Ricordo che anche le hostess erano impaurite e quando atterrammo a Francoforte mi dissero che ero bianco come un lenzuolo. Da quel giorno mi prese il terrore dell’aereo. Quando Learn Italy cominciò a diventare concreta e dovetti venire qui per i primi appuntamenti, andai a Fiumicino insieme a un amico, ma il tempo era orribile. Non volevo più partire e mi vergognavo, così mi inventai delle scuse. Chiamai la mia segretaria di allora e fingendomi tranquillo le chiesi di spostarmi gli appuntamenti nella settimana successiva. Lei, con il suo accento della Cornovaglia, mi disse: “Massimo, se non parti oggi, tu non parti più”. Ed era vero, tra me e me ero certo che se non fossi partito avrei detto a me stesso che tutta quella storia non mi interessava più. La mia collaboratrice mi convinse, così presi l’aereo e la sera ero a New York. Se io e Learn Italy siamo arrivati fin qui è anche grazie a lei. Quando atterrai mi sentii a casa. Volevo essere una parte di questa città, come un muro, un palazzo, qualsiasi cosa. Non potrei vivere senza e ora voglio che ci siano anche altre persone a condividerla con me”.