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“Transiti”, una startup per aiutare gli expat ad affrontare gli effetti della mobilità

Anna Pisterzi, psicologa, psicoterapeuta e CEO di "Transiti",  ci racconta come si sia arrivati all’avvio della startup a marzo del 2018

Liliana RosanobyLiliana Rosano
“Transiti”, una startup per aiutare gli expat ad affrontare gli effetti della mobilità

Anna Pisterzi

Time: 10 mins read

Si chiama psicologia di espatrio e nasce per fornire assistenza a chi si trasferisce all’estero affrontando le conseguenze complesse, e spesso sottovalutate, legate all’esperienza della mobilità.

In Italia, gli unici ad occuparsene sono gli esperti della startup Transiti, un team di quindici terapeuti, un comitato scientifico multidisciplinare, che funziona come un vero e proprio centro clinico che segue rigorosamente i principi della psicologia.

Transiti ha avviato un servizio on line nato per gli italiani espatriati, grazie ad una sofisticata tecnologia d-voip che ha permesso di trasformare una piattaforma digitale in una sorta di chaise longue di uno studio di psicoterapia. Anna Pisterzi, torinese, psicologa, psicoterapeuta e CEO di Transiti,  ci racconta come, da un  lavoro preparatorio e di ricerca, si sia arrivati all’avvio di Transiti a marzo del 2018.

Ansia, depressione, inappetenza, bulimia, solitudine, sono i sintomi di alcuni casi di expat. La consulenza psicologica ne cura la sintomatologia portando il paziente sulla strada di un percorso consapevole e sereno, che in alcuni casi significa anche la via del ritorno. Alcune destinazioni, più di altre, accentuano la distanza e la complessità dei problemi rendendo difficile il radicamento. “Il vero problema con cui fare i conti però non è la destinazione dell’expat”, dice Anna Pisterzi, “ma quell’irrisolto che abbiamo lasciato a casa e che ci porteremo in giro per il mondo”.

Perché la mobilità, la globalizzazione, se da un lato ci regalano la libertà di scelte, mete e spostamenti, dall’altro ci obbligano a fare i conti con questo seme del nomadismo che genera disorientamento e spaesamento, fino a fare sentire gli espatriati stranieri nel proprio paese e nel paese dove vivono. Affrontare il percorso della permanenza all’estero con consapevolezza, serenità, facendosi affiancare da esperti, aiuta gli expat a vivere pienamente la prorpia condizione beneficiando dei vantaggi dello status di espatriato.

“Transiti” nasce come consulenza psicologica online a servizio degli italiani espatriati. Perché avete attenzionato questo segmento e come si è sviluppato il servizio?

“Transiti nasce come risposta ad alcune esigenze frutto della mobilità, globalizzazione e ai global workers. Nasce dalla curiosità di approfondire, a livello clinico, l’esperienza della mobilità partendo dalle situazioni di espatrio vissute da alcuni amici. È un servizio che mette insieme gli elementi scientifici, solidi e classici della psicoterapia insieme alla tecnologia e alla mobilità del nuovo millennio. Si chiama psicologia di espatrio perché forniamo supporto a quegli italiani che si trasferiscono all’estero e che si trovano a gestire situazioni  di disagio emotivo, relazionale, linguistico, personale e culturale che derivano dalla lontananza da casa o legate al nuovo contesto.

 Ci rivolgiamo a chi vuole ritrovare equilibrio, serenità e consapevolezza di sé durante un’esperienza di vita complessa e destabilizzante, in aree geografiche dove non esiste la possibilità di avere assistenza psicologica in italiano.

Abbiamo deciso di focalizzarci sugli italiani espatriati perché il fenomeno della mobilità, che porta migliaia di persone a spostarsi per motivi di studio o lavoro in un’altra area geografica, sta diventando in Italia sempre più normale e stanno aumentando i numeri.

La globalizzazione ha reso più facili gli spostamenti, temporanei o a lungo termine, anche per moltissimi italiani. L’OCSE ha stimato che l’Italia è attualmente l’ottavo paese di emigranti al mondo, al ritmo di 120.000 persone l’anno. Il dato riguarda solo chi si trasferisce, alcune ricerche parlano di stime 3 volte superiori. E la tendenza è in continua crescita.

La nostra è una start up innovativa formata da un gruppo di professionisti che credono nelle grandi possibilità della terapia online. Per affrontare il web con serietà, Transiti si avvale di un comitato tecnico scientifico multidisciplinare formato da psicologi, esperti in ricerca sull’efficacia della psicoterapia, sociologi e antropologi esperti di migrazioni e nuovi media. Questo è servito a studiare i tre elementi che compongono la complessità del servizio: la psicoterapia online, i fenomeni di migrazione degli italiani, la rivoluzione digitale. Parallelamente, Transiti utilizza un gruppo di colleghi, clinici esperti, per avere una supervisione continua sul lavoro svolto.

Siamo partiti dalla ricerca per arrivare a creare una vera e propria clinica on line che offre un vero e proprio supporto psicologico professionale, qualificato e scientifico.

In Italia, siamo i primi mentre le radici di questo servizio sono da ricercare in Australia negli anni 70 con il “radio maestro” e negli Stati Uniti. In Europa dobbiamo guardare a paesi come l’Inghilterra e la Francia”.

Perché un trasferimento comporta delle conseguenze di disagio e sconforto sul piano emotivo, relazionale, culturale e in che modo interviene la psicologia?

“La psicologia si è sempre occupata  di sfide evolutive e il trasferimento in un paese straniero rappresenta una sfida evolutiva che mette la nostra psiche in uno stato di fragilità dandole allo stesso tempo la possibilità di svilupparsi, acquisire una sorta di nuovo sistema immunitario.

La psicologia applicata al fenomeno delle migrazioni non cambia i suoi cardini fondamentali. Vale a dire che il nostro approccio è quello di matrice psicodinamica che offre dei percorsi non a termine, anche se stiamo lavorando alle terapie brevi.

La psicologia interviene attraverso il lavoro dei nostri psicoterapeuti che hanno come obiettivo il miglioramento della sintomatologia dei nostri pazienti e la presa di consapevolezza, da parte degli stessi, dello stato emotivo in cui si trovano, in modo da poter essere liberi e consapevoli di prendere le proprie decisioni e affrontare il problema”.

Anna Pisterzi.

Quali sono i sintomi dell’italiano expat e c’è  una casistica più ricorrente legata a certi trasferimenti in determinate aree del mondo?

“I sintomi iniziano con la nostalgia e si manifestano con ansia, depressione, inappetenza, bulimia, disagio, solitudine. Le problematiche con cui ci confrontiamo sono molteplici perché gli espatri sono diversi e diverse sono le storie e i protagonisti: dai ricercatori, professionisti, agli studenti. Se parliamo di trasferimenti dei professionisti che lavorano per aziende multinazionali, tocchiamo una tematica delicata e ricorrente che  è quella dell’ambientamento della famiglia.

Dati alla mano: il 96% degli espatri ha come titolare di contratto un uomo, con la conseguenza che le mogli e i figli dovranno partire al seguito. Per le donne, il disagio e la sofferenza notevole che ne consegue prende il nome di “sindrome delle spose”.

Si tratta di donne che spesso sono costrette a lasciare la propria professione per seguire il marito trovandosi ad accettare e subire passivamente una scelta, un ambiente e un contesto.

Altra problematica è quella relativa ai bambini che sono costretti a cambiare casa e paese anche se loro, in teoria, si adattano più facilmente”.

Ci sono dei disagi legati a  determinati  paesi piuttosto che ad altri?

“Noi psicologi non amiamo generalizzare ma se dovessi tirare fuori una casistica con riferimento ai casi di cui ci siamo occupati e ci occupiano, potrei dire che alcune zone dell’Africa e Asia sono mete di particolare difficoltà . Molti italiani che si trasferiscono in quelle aree per motivi professionali, vivono spesso in compound dorati ma con difficoltà legate alla lingua, il cibo, il contesto politico. Da alcuni casi che abbiamo affrontato, è venuto fuori, ad esempio, che i giovani a Londra si trovano bene ma alcune famiglie no. Alcune persone si sentono a casa in paesi simili all’Italia, come l’America Latina,  perché questi paesi si basano molto sulle relazioni piuttosto che  in paesi dove le popolazioni sono dedite al compito come quelle anglo-americane.

In alcuni casi, quelli relativi alle destinazioni asiatiche, il  problema del cibo per alcuni italiani è stato rilevante e di ostacolo ai fini di un’integrazione.

Per la psicologia però il punto fondamentale per affrontare la questione non è quello che legato all’elemento oggettivo del paese dove andrai ma come  ti poni in qualità di  expat. Per qualcuno, mangiare insetti è un limite, per altri, una curiosità. Non è una questione legata al luogo ma come si maturano le competenze dell’essere expat e come la personalità di chi parte affronta le sfide”.

Presentazione di “Transiti”

Altri sono i casi di expat che decidono liberamente di vivere all’estero e cominciare una vita ex novo senza avere una precisa progettualità. In questi casi, se l’expat sceglie con consapevolezza la meta, a quali disagi può andare incontro?

“A quello dell’illusione e del sogno che si infrange. Spesso, chi parte senza un preciso progetto, motivato dall’appeal della meta piuttosto che dalla pianificazione dettagliata a livello professionale, dopo un periodo di luna di miele, si  scontra con il rebound e la consapevolezza di aver enfatizzato e mitizzato un paese riponendo in esso speranze di cambiamento radicale. Se questo non succede, lo si vede come un personale fallimento che può portare alla depressione e allo sconforto”.

In quali casi il rientro in patria è la soluzione ottimale per il benessere dell’expat?

“Quando si rompe il patto del distacco e diventa necessario programmare un rientro anticipato.

Transiti offre il supporto nel momento in cui si esce fuori dalla comfort zone, si supera la “luna di miele” e si scopre che c’è dell’irrisolto in noi che ci portiamo dietro dalla partenza ma che assume proporzioni gigantesche quando si vive all’estero perché è fuori dalla nostra area protetta che ci confrontiamo ogni giorno con il nostro io più di quanto non lo facciamo a casa nostra.

Il rimpatrio è una soluzione solo quando il paziente la vede tale con piena consapevolezza, come una scelta matura, necessaria, serena. Noi non forniamo soluzioni ma portiamo il paziente ad essere pienamente sereno e consapevole nelle scelte accompagnandolo ad avere un percorso placido e uno sviluppo progressivo”.

La vostra metodologia segue fedelmente i principi della classica psicoterapia ma l’innovazione sta in due elementi fondamentali: la tecnologia e la lingua madre.

“Transiti nasce cavalcando l’onda della tecnologia, sfruttandone tutti i benefici. Tutti gli incontri  effettuati online durante la terapia avvengono nella Di-stanza. La Di-stanza è una stanza virtuale creata appositamente da Transiti per gestire le consulenze psicologiche in luoghi e fusi orari diversi. Di-stanza è chiamata così per evidenziare la differenza e la specificità dell’essere sul web.

È un ambiente sicuro e accogliente, dove ci si può relazionare via d-voip con il terapeuta ed esprimersi in assoluta libertà. Entrarvi è semplice, si accede direttamente dal sito. La Di-stanza è protetta da una tecnologia avanzata con crittografia end-to-end, che garantisce totale sicurezza e rispetto della privacy. Non è richiesto alcuno scambio di informazioni personali tra paziente e terapeuta. Gli incontri non vengono  registrati né i dati di accesso venduti a terzi. I soli dati utilizzati, resi anonimi, verranno usati esclusivamente a fini di ricerca scientifica.

La consulenza con terapeuti di lingua madre italiana è fondamentale perché, affrontare a livello intimo i problemi nella madre lingua è diverso che affrontarli nella seconda lingua parlata. Solo nella lingua madre siamo in grado di esprimerci intimamente riconnettendoci con quella parte di noi con cui non riusciamo a fare i conti in un lingua diversa, sebbene sia quest’ultima diventata la nostra seconda lingua”.

Spesso l’expat si trova a vivere in un limbo sentendosi un ibrido. Non si riesce mai a integrarsi veramente nel paese di destinazione e ci si sente uno straniero in patria. Che percorso suggerite per questo disagio complesso?

“Se da un lato ci sentiamo global workers, liberi nel  partire, cambiare meta in qualsiasi momento della nostra vita, dall’altro dobbiamo essere consapevoli che il nomadismo  di oggi, nato dalla precarietà, dalla globalizzazione, è come una malattia, un virus radicato in noi. Bisogna gestirlo con equilibrio perché il rischio è quello di continuare a partire alla ricerca di nuove mete senza radicarsi in nessun paese in maniera profonda e continuare a sentirsi stranieri nel proprio. Bisogna lavorare a quella parte irrisolta che è in noi, che prescinde dai luoghi. Altrimenti il rischio è di portarla sempre in viaggio con noi e di reprimerla quando arriviamo nella nuova meta per poi vederla materializzarsi inevitabilmente a un certo punto del nostro percorso”.

Rispetto agli expat di fine Ottocento e inizi Novecento quali sono le nuove condizioni emotive che caratterizzano gli emigrati italiani del nuovo millennio?

“La condizione di espatrio, sebbene nella diversità del contesto storico, economico, sociale, ha sempre in comune il sentimento della nostalgia, delle difficoltà di adattarsi ai nuovi contesti. Prima si lasciava il proprio paese per necessità, spesso rompendo i ponti con i luoghi di origine in maniera drastica. Oggi, si ha la libertà di tornare, di restare permanentemente in contatto con il proprio paese, di vivere addirittura in due continenti diversi , ma la nostalgia, il disorientamento, le difficoltà di un radicamento, rimangono sentimenti eterni ed immutabili. Basta pensare all’Ulisse di Omero e all’elemento della nostalgia, del viaggio, del ritorno”.

“Transiti” sta crescendo, puntando a diventare un riferimento nel campo della psicologia dell’espatrio. Quali saranno i vostri obiettivi futuri?

“Stiamo attuando una serie di convenzioni con le  aziende di modo da garantire ai loro dipendenti l’accesso ai servizi di assistenza psicologica online quando si trasferiscono all’estero. Il nostro percorso inizia prima della partenza fornendo una sorta di “cassetta degli attrezzi” alle famiglie che devono partire per poi continuare nel corso dell’espatrio .

Una fase che curiamo particolarmente è quella del rientro dopo un espatrio medio lungo. Stiamo anche lavorando con l’Universita’ di Torino affiancando i ragazzi  Erasmus nella fase iniziale. Siamo in possesso di alcuni dati,  secondo i quali, alcuni ragazzi trovano degli ostacoli e rischiano di non partire e vivere questa importante esperienza all’estero.

Lavoriamo anche con Organizzazioni non governative mettendo a disposizione il nostro servizio di  assistenza alle persone che partono, a loro volta, per prestare soccorso e assistenza in zone difficili.

Ci piacerebbe, infine, collaborare con la rete consolare e quella delle ambasciate per poter mette a disposizione il nostro servizio agli italiani all’estero in maniera capillare”.

Manuale per chi sta per trasferirsi all’estero?

“Avere piena consapevolezza  della destinazione. Bisogna prepararsi al nuovo contesto culturale, burocratico, linguistico con entusiasmo, curiosità, prendendo la sfida come un arricchimento, ricordandoci che dopo questo tipo di esperienza si torna inevitabilmente diversi e più ricchi in conoscenze, sapere, esperienze”.

E a chi vede la via del rientro come indispensabile?

“Dipende dai fattori che lo motivano. Se personali, professionali, familiari, legati all’invecchiamento dei genitori. Ad ognuna di queste diverse ragioni bisogna affiancare un sentimento di consapevolezza, serenità e non di fallimento partendo dal bagaglio di conoscenze che ci stiamo portando a casa. Bisogna anche prepararsi allo shock culturale del rientro in patria. Per questo, occorre vivere e affrontare il tutto con serenità, ma anche facendosi guidare e accompagnare da esperti in grado di traghettare ogni cambiamento con professionalità”.

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Liliana Rosano

Liliana Rosano

Sono nata a Catania, dove sono sempre tornata dalle mie peregrinazioni che mi hanno portato prima in Grecia, poi a Parigi. Con la mia laurea in Scienze Politiche, sognavo di lavorare nella cooperazione internazionale, ma sono finita a fare la giornalista, prima nella redazione di Telecolor poi del Quotidiano di Sicilia. ll mio ponte con l’America è iniziato grazie a un tirocinio per le Nazioni Unite a New York. Sono una freelance e collaboro con diverse testate e magazine nazionali. Vivo a Fairfield, nelle praterie sperdute dell’Iowa, in una comunità alternativa ed eco friendly e sono sempre alla ricerca di storie di italiani all’estero da raccontare.

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