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Violette Impellizzeri, l’astronoma cacciatrice del buco nero sognato da bambina

Nata ad Alcamo, studi in Germania e in America, ora lavora a Santiago del Cile: intervista con la scienziata siciliana che nelle galassie realizza i sogni

Liliana RosanobyLiliana Rosano
Violette Impellizzeri, l’astronoma cacciatrice del buco nero sognato da bambina

Violette Impellizzeri (Foto di Helge Rottman)

Time: 9 mins read
L’immagine ricostruita dopo varie rielaborazioni di dati che mostra il “buco nero”

La bambina  che amava guardare le stelle prima di addormentarsi, oggi è una delle astronome più affermate che ha visto in anteprima la foto del buco nero dello scorso 10 Aprile.

Violette Impellizzeri di strada ne ha fatta prima di arrivare a toccare il cielo con un dito. Originaria di Alcamo, la cittadina di origine araba in provincia di Trapani, lascia la sua isola a quattordici anni per la Germania. Poi il liceo a Bristol, la laurea e il PhD a Bonn e un post-dottorato negli Stati Uniti, in Virginia.

Siciliana cosmopolita, Violette si è già guadagnata il titolo di “donna delle stelle” e una pubblicazione su Nature per aver scoperto l’acqua più antica dell’universo.

Sposata con il collega francese Eric Villard, oggi vive a Santiago del Cile e lavora per il progetto internazionale Alma,  il radiointerferometro all’avanguardia che studia le galassie, costituito da 66 radiotelescopi.

Violette, quarantuno anni, ci racconta che da bambina non ha mai preso in mano una bambola e che voleva fare l’archeologa. Cresciuta a pane e scienza, di questo lavoro la appassiona la curiosità di conoscere i misteri della vita e la componente narrativa.

Quando ha visto in anteprima la foto del buco nero è rimasta paralizzata dall’emozione e l’ha subito mostrata al figlio Raphael.

“Questa scoperta dimostra che i buchi neri non sono fantascienza ma realtà”, dice Violette. “Ora che sappiamo che i buchi neri esistono dobbiamo occuparci di risolvere i problemi nel pianeta terra a partire dal cambiamento climatico.”

Foto di Pablo Carrillo

Sei stata tra le prime a vedere in anteprima l’immagine del buco nero. Cosa hai provato quando hai visto  la foto?

“Ho visto l’immagine tre mesi prima che fosse diffusa e sono rimasta paralizzata dall’emozione. Prima di inviarmela, i miei colleghi mi avevano detto che erano un po’ delusi perché la foto sembrava simile a una delle simulazioni fatta anni prima.

Quando l’ho vista mi sono emozionata ma non potevo condividere l’immagine con nessuno se non con mio figlio Raphael di quattro anni”.

La scoperta del 10 Aprile con l’immagine del buco nero è il risultato di un grande lavoro di squadra. Come siete arrivati a questo? Tutto comincia otto anni fa grazie proprio ad un tuo intervento…

“Scoperte come queste sono possibili grazie e soprattutto ad un importante lavoro di gruppo, ad una squadra affiatata che lavora insieme avendo in mente un unico obiettivo. A livello umano, questo spirito di lavoro dimostra che quando si è uniti e in sintonia, si arriva a grandi scoperte e non devono esistere manie di protagonismo.

Questo successo inizia dall’Alma (Atacama Large Millimeter Array) il progetto pubblico internazionale per cui lavoro dal 2011 a San Pedro de Atacama, nel nord del Cile. Quando gli scienziati dell’EHT (Event Horizon Telescope) sono venuti con l’obiettivo di trovare il buco nero, io sono stata tra quelli che ha spinto per appoggiare il progetto creando le condizioni per una collaborazione. Il mio ruolo in questo progetto è di support astronomer, tecnicamente chiamato  “Friend of VLBI” — tutte le stazioni VLBI hanno un “amico” tecnico, che supporta le osservazioni. 

VLBI é very long baseline interferometry — cioé la tecnica che usiamo per osservare con telescopi lontani anche e.g. 10,000km fra di loro come se fossero un unico telescopio con il diametro di 10,000km. 

A livello tecnico, nella prima fase di osservazione, durata dieci giorni e iniziata due anni fa, per osservare un oggetto così lontano abbiamo utilizzato otto telescopi in diversi continenti che puntano contemporaneamente verso lo stesso angolo di cosmo quasi a formare un’unica e gigantesca parabola.

I diversi radiotelescopi sono  stati sincronizzati con un orologio atomico e i dati ottenuti da ognuno sono stati combinati attraverso algoritmi che gli scienziati hanno impiegato anni a sviluppare e poi a far girare inviandoli in Nord America e a Bonn.

A due anni dall’osservazione, i ricercatori sono riusciti a mettere insieme tutti i tasselli e a comporre la foto scattata non con luce visibile, ma usando le frequenze delle onde radio.

Il contributo di Alma a questo progetto è stato importante perché  per le osservazioni VLBI e del EHT (Event Horizon Telescope), abbiamo usato  50 delle 66 antenne disponibili, unendole in fase, corrispondente ad un’antenna delle dimensioni di 70m.

La tecnica dell’interferometria ci ha aiutato a fornire dati fondamentali nella definizione di quella immagine”.

A livello scientifico, si parla di una nuova era. Cosa accade da questo momento in poi e cosa è cambiato?

“Intanto possiamo dire che i buchi neri non sono più fantascienza ma realtà e questo non mi sembra un risultato da poco. I buchi neri esistono così come esiste l’orizzonte degli eventi.

Durante la campagna osservativa del 2017 gli obiettivi da fotografare erano due: i buchi neri al centro di M87 e quello al centro della Via Lattea, denominato Sagittarius A. Siamo riusciti a fotografare il primo buco nero ma è stato più difficile visualizzare l’ombra di Sagittarius A che continua ad essere l’oggetto della seconda fase di osservazione.

A livello tecnologico, c’è stato un apporto significativo di nuove tecnologie mentre la fase narrativa che  accompagna questa scoperta ci porta ad un passo in avanti rispetto alle domande sull’origine cosmica, da dove veniamo, come ha inizio la vita.

Ora che sappiamo che i buchi neri esistono dobbiamo occuparci di risolvere i problemi del pianeta terra a partire dal cambiamento climatico”.

Il professore e fisico Antonino  Zichichi ha commentato la notizia della foto del buco nero affermando l’inutilità dello stesso. Come commenti la sua osservazione?

“Per me rimane una grande scoperta scientifica. E siccome sono una scienziata, poter affermare con dati reali che quello di cui prima parlavamo in termini  di ipotesi ora esiste, mi sembra una grande scoperta. Per non parlare del fatto che la scoperta dei buchi neri conferma le teorie di Einstein”.

Violetta Impellizzeri nella “control room” nel 2017

 

Sei conosciuta come la “donna delle stelle” e hai detto che da piccola sognavi di fare l’archeologa. Come sei arrivata a diventare una delle poche astronome e a lavorare per un progetto così importante?

“Ho sempre avuto un grande amore per la natura, per la scienza, per la terra e le grandi questioni legate all’origine del mondo. Da piccola, amavo osservare le stelle e mi ha sempre appassionato cercare la verità assoluta nelle cose e il senso della giustizia legato alla scientificità, alla certezza. Sono stata incoraggiata ad avere un approccio scientifico da mio padre,  professore di matematica e fisica. E’ stato  lui  a spiegarmi come funzionavano le cose  prendendo gli oggetti e smontandoli. Sono cresciuta a pane e scienza, insomma, e non è un caso che anche mio fratello sia diventato ingegnere. Certo, anche l’apporto letterario di mia madre è stato importante. Lei mi ricorda ancora ora che non ho mai giocato con una bambola”.

Anche tu incoraggi i tuoi due figli ad amare la scienza?

“Anche loro amano guardare le stelle prima di andare a dormire e li  incoraggio comprando dei libri di astronomia. Raphael Vincent, che ha quattro anni,  è già molto curioso e si è entusiasmato vedendo la foto del buco nero. Alla  piccola Eleonore di un anno e mezzo, ho però comprato la prima bambola”.

Foto di Pablo Carrillo

Scienza e donna è un bionomio non sempre facile. Oggi siete di più le donne che lavorano in campo scientifico ma cosa bisogna fare ancora per colmare il gap?

“E’ aumentato il numero delle donne che studiano materie scientifiche e anche di quelle che ricoprono alcuni ruoli importanti. C’è un dato, anch’esso scientifico: i vertici e certe posizioni importanti restano ancora in mano agli uomini.

Bisogna allora fare di più,  e in questo la scuola, la famiglia, hanno un ruolo importante nell’incoraggiare le ragazze a studiare le scienze creando le condizioni favorevoli ad un futuro ambiente lavorativo con più donne scienziate ai vertici”.

Tuo marito, Eric Villard è anche lui un tuo collega. Quali sono gli argomenti nella vita quotidiana e domestica di due astronomi?

“Parliamo di astropolitik….. Si parla di tutto ma quasi mai di lavoro”.

Violette col team Event Horizon telescope che ha fotografato il buco nero

Come si svolge la vita di un’astronoma che è anche moglie e mamma?

“Mi alzo presto e la prima cosa che faccio è leggere le email e i messaggi, mettendomi in contatto subito con i colleghi europei.

Il mio lavoro è sia scientifico-tecnico, che gestionale e di valutazione  delle proposte che arrivano all’Alma”.

L’Italia ha una grande tradizione scientifica e progetti come questo lo dimostrano ma i ricercatori italiani e gli scienziati del Belpaese devono ancora andare all’estero per affermarsi. La via di un ritorno in patria è così difficile?

“Investire di più in ricerca e creare  le condizioni per supportarla attraverso le sue risorse umane e le infrastrutture, sono azioni indispensabili per colmare il gap con gli altri paesi. A me non spaventa solo il fatto che non ci siano fondi sufficienti in Italia o che ci sia solo una facoltà di astronomia in tutto il paese ma questo atteggiamento antiscientifico a livello intellettuale, che va dai movimenti anti vaccinazione ai terrapiattisti.

Il ritorno in patria sarebbe certo bello ma ci devono essere le condizioni strutturali ed intellettuali”.

Sei una siciliana cosmopolita che ha lasciato la tua terra a quattordici anni per la Germania prima, l’Inghilterra e l’America successivamente. Oggi vivi in Cile e tuo marito è francese. In cosa ti senti siciliana?

“Sono molto legata alla mia terra, mi manca molto il mare di Alcamo e negli anni ho mantenuto i rapporti con i miei amici di infanzia e con il mio paese. Ogni estate non rinuncio a tornare in Sicilia per rivedere gli amici di sempre e  la mia famiglia. La mia sicilianità la ritrovo nel mio calore, il senso dell’umorismo e allegria, ma mi porto anche un po’ di “nervosismo” isolano (a volte posso sembrare esplosiva), e quell’essere permalosa. Non so se sono caratteristiche “solo” siciliane, ma sicuramente non sono estranee all’isola. 

Nonostante tutti questi anni all’estero, conservo con orgoglio il mio accento siculo. E’ parte della mia identità”.

Violette Impellizzeri

Nel  2008  ti sei guadagnata la pubblicazione scientifica su Nature perchè hai scoperto l’acqua più antica dell’universo. Oggi a cosa stai  lavorando?

“Torno ad un progetto che amo, che é quello di studiare la polvere e il gas intorno a buco nero però un po’ più fuori. Vorrei creare una immagine in 3 dimensioni dell’emissione di acqua e altre molecole intorno ad un buco nero. Sto parlando di una regione che comunque é 1000 volte più distante dell’orizzonte degli eventi che abbiamo visto in M87. Pur essendo più distante dal centro, questo gas ci dice come “mangiano” i buchi neri e perché una parte del gas viene espulso forno – quindi é uno studio molto complementare all’immagine spettacolare che abbiamo visto”.

Una curiosità, quante lingue parlate a casa?

“A casa parliamo tre lingue, io italiano con i bimbi, mio marito francese e fra di noi inglese. Io parlo pure il tedesco — anche se in casa non ho con chi farlo — e naturalmente il dialetto siciliano (anche con mio figlio, che qualche parolina già la sa)”.

L’astronomia spesso è difficile da approcciare a chi non è del campo. Come appassionarci a una scienza così affascinante e non vederla più così lontana?

“L’astronomia è di tutti. Tutti quelli che guardano le stelle e la notte sognano”.

 https://www.eso.org/public/videos/eso1907g/

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Liliana Rosano

Liliana Rosano

Sono nata a Catania, dove sono sempre tornata dalle mie peregrinazioni che mi hanno portato prima in Grecia, poi a Parigi. Con la mia laurea in Scienze Politiche, sognavo di lavorare nella cooperazione internazionale, ma sono finita a fare la giornalista, prima nella redazione di Telecolor poi del Quotidiano di Sicilia. ll mio ponte con l’America è iniziato grazie a un tirocinio per le Nazioni Unite a New York. Sono una freelance e collaboro con diverse testate e magazine nazionali. Vivo a Fairfield, nelle praterie sperdute dell’Iowa, in una comunità alternativa ed eco friendly e sono sempre alla ricerca di storie di italiani all’estero da raccontare.

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