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Mario Monterosso, da Catania a Memphis al ritmo dello swing

Incontro con il chitarrista, compositore, produttore, cantante siciliano con carriera in Tennessee e autore del musical “Fui e sono Eddie Redmount”

Liliana RosanobyLiliana Rosano
Mario Monterosso, da Catania a Memphis al ritmo dello swing

Mario Monterosso (Foto di Billy Morris)

Time: 9 mins read

Dalla Catania rock celebrata dalle pagine di musica alla città di Elvis. Dalle aule giudiziarie ai palcoscenici musicali. Mario Monterosso, quarantenne catanese, lascia la sua carriera da cancelliere per seguire il suo sogno musicale iniziato a dieci anni, quando si è convertito sulla via del rock and roll.

Prima la Sicilia, quella Catania rock che ha vissuto i suoi momenti di gloria fino agli anni Novanta, poi Roma, la città dove Mario ha lavorato per sedici anni alternando faldoni a spartiti musicali.

Infine Memphis, la meta della svolta che ha segnato per Mario l’inizio della piena carriera musicale come chitarrista, compositore, produttore e cantante.

Mario Monterosso (Foto di Billy Morris)

La musica accompagna la vita di Mario sin dai primi giorni di vita, grazie alla passione del papà per le opere, la carriera musicale della zia Lis, cantante d’opera, gli studi da pianista della sorella.

A 13 anni Mario scrive le prime canzoni, a quattordici debutta come musicista e fonda la sua prima band Underground Blues Band, esibendosi nelle feste liceali del capoluogo etneo.

Molti gli artisti che hanno influenzato la sua formazione: dal fidanzato rockabilly della sorella a Chuck Berry, Carl Perkins, Scotty Moore, Cliff Gallup, Brian Setzer, Vince Mannino, Elvis Presley, Johnny Winter, Robben Ford, George Benson, Albert Collins, BB King and Eric Clapton. Non solo rock and roll e rockabilly, nel curriculum di Mario c’è molta musica country, il blues e lo swing, come dimostrano le sue numerose collaborazioni con diversi artisti come Carmen Consoli, Dale Watson, passando per i Jolly Rockers di Lillo e Greg e Tav Falco & The Panther Burns di cui ha prodotto due album.

Si definisce curioso e sperimentatore per natura e alla sua grande passione, la chitarra, alterna la scrittura musicale.

Dalla passione per lo swing nasce “Fui e sono Eddie Redmount” una commedia musicale  che ha debuttato prima a Roma e poi a Catania, scritta dallo stesso Mario e nata da un concept album che rende omaggio alla matrice siciliana dello swing. Molto di più di un semplice viaggio dalla Sicilia a Little Italy.

Oggi Mario vuole portare questa commedia a New York, il suo palcoscenico ideale, per condividere l’esperienza del viaggio, quello degli immigrati italiani di ieri e quelli di oggi, e soprattutto per condividere la musica swing, colonna sonora di questo musical.

Nell’attesa di vedere pubblicato Le corde dell’anima, il romanzo biografico che Alessandra Tucci ha scritto sulla vita di Mario, il musicista siciliano si prepara al prossimo tour europeo insieme a Tav Falco, di cui ha prodotto l’ultimo disco “The Cabaret of Daggers” .

E a proposito di “Fui e sono Eddie Redmount” dice : “Mi sono ispirato ai film di Scorsese sul tema ma soprattuto a certe visioni ed immagini di Nuovo Mondo di Crialese e alla musica di Louis Prima. Mi piace parlare di storia folcloristica, al netto dell’accezione negativa con la quale oggi si associa il termine folclore, riferendomi ad una storia genuina che ritorna alle radici”.

(Foto di Stephanie Gengotti)

Mario, chi è Eddie Redmount e come, da un’idea discografica, diventa una commedia musicale?

“Tutto nasce da un progetto discografico del 2015, anche se, in fase di scrittura, fino ai primi quattro pezzi, non pensavo ad un concept album né ad una commedia musicale. Dal quinto brano in poi, ho capito le potenzialità di questa scrittura musicale, complice il fatto che la lingua siciliana, grazie alla sua metrica, si presta, così come quella napoletana, alle sonorità della musica americana in generale, incluso lo swing.

Ho utilizzato il mio terzo nome, Edoardo, immaginando di avere un lontano parente che nel periodo a cavallo tra fine anni 40 ed inizi 50 decide di emigrare dalla Sicilia alla volta del Nuovo Mondo. Ogni brano del disco narra un episodio di Edoardo Monterosso divenuto in terra americana Eddie Redmount. E’ un misto fra realtà e romanzo, in fin dei conti racconto di me ma all’interno di una cornice temporale diversa, quella appunto di fine anni 40. Un misto fra passato e presente, fra finzione e realtà.

Registrato il disco in un piccolo teatro lirico in un paesino del riminese ho preferito tenermelo chiuso nel cassetto finché nell’estate del 2017 ho conosciuto Maria De Freitas una bravissima scenografa brasiliana trapiantata in Italia, nonché proprietaria di un fantastico tanto quanto bizzarro locale di Roma. All’ascolto del disco è stata proprio lei a darmi l’input di mettere su uno spettacolo teatrale.

L’ispirazione è la musica come contenitore di un racconto di ampio respiro dove sono molte le citazioni letterarie, cinematografiche, musicali”.

C’è lo swing, c’è il Siculenglish e c’è una vena ironica in questo tuo Fui e sono Eddie Redmount. Quanto di Mario Monterosso c’è dietro questa scrittura e soprattutto dietro il personaggio di Eddie?

“Le epoche storiche sono diverse e con esse il contesto socio-economico. Resta in entrambi i casi l’isolanità sicula, come dimensione che ti spinge ad uscire fiori dall’Isola. Eddie, rappresenta l’emigrazione sicula dagli anni Quaranta agli anni Cinquanta, l’ultima grande ondata migratoria dal Sud Italia. Non c’era la disperazione di fine Ottocento ma non era ancora l’emigrazione “intellettuale” oltreoceano di oggi. Eddie è un impiegato comunale che segue il sogno della musica intrecciandolo con quello americano. Parte con una chitarra, pochi spiccioli, la valigia di cartone. A supportarlo, in questo viaggio, la grande passione per la musica.

Nel mio caso, le condizioni storiche e socio-economiche sono diverse ma il viaggio inteso come cambiamento interiore, di vita, di paese, di processi e dinamiche, ha una dimensione eterna. Io come Eddie ho lasciato il mio paese, per inseguire un sogno e costruirmi una nuova identità in una terra straniera. Come lui, chiunque compia questa scelta, all’inizio è in balia degli eventi ma  poi acquista una grande lucidità e consapevolezza che consentono di vedere il tutto da una prospettiva diversa.

E’ una commedia musicale in cui ogni immigrato, di origine italiana e non, si riconosce e riconosce un pezzo di storia. Chiunque abbia lasciato il proprio paese, ripercorre le tappe che ci portano ad affrontare questa scelta”.

(Foto di Stephanie Gengotti)

La chiave però, hai detto tu, con cui decidi di raccontare questo romanzo, è quella dell’ironia e non necessariamente della nostalgia, sentimento associato all’emigrazione.

“Proprio così. Spesso una certa letteratura italo-americana o dell’immigrazione, sceglie il filo della nostalgia per la narrazione. Un sentimento del tutto legittimo e sicuramente appropriato. Io ho voluto, insieme alla nostalgia, raccontare le vicissitudini di Eddie e lo sviluppo del suo viaggio, in una chiave ironica, leggera, a volte scanzonata. Non mancano i momenti di pura nostalgia ma la commedia si apre in chiave swing e lascia il posto alla leggerezza”.

Oltre che un racconto legato al viaggio e alla migrazione, il tuo musical è anche un omaggio alla musica swing e alle origini siciliane di questo genere.

“Non dimentichiamoci del grande legame fra la Sicilia e lo swing. Pare che la paternità di questo genere musicale sia da attribuire a Nick La Rocca, direttore d’Orchestra di New Orleans ma di origini siciliane. Ricordo ancora il grande Louis Prima anche lui nato a New Orleans ma da famiglia siciliana, per non parlare poi dello stesso Frank Sinatra o di altri grandissimi italo-americani in genere tra cui Dean Martin.

C’è anche il grande Venerando Pulizzi, nato a Catania nel 1792, assoldato dal governo americano, ai tempi della presidenza di Jefferson,  per formare la banda dei marines, poi passata sotto la sua direzione.

Ancora un altro esempio che ci fa capire l’immenso contributo dato dalla Sicilia e dai musicisti siciliano allo swing e al jazz. Un patrimonio che oggi viene ignorato a cui voglio, in qualche modo, rendere omaggio con il mio spettacolo”.

(Foto di Stephanie Gengotti)

Dopo Roma e Catania, il tuo sogno è portare lo spettacolo a New York, che è un po’ la destinazione naturale di questa commedia musicale. Quale messaggio vuoi condividere con il pubblico italiano e non solo, e soprattutto quanto rischioso è confrontarsi con un  personaggio italo-americano senza scadere nei soliti stereotipi?

“Quella di ripercorrere il viaggio che hanno fatto molti dei loro antenati o che hanno fatto alcuni di loro. Il pubblico ideale non è solo quello che apprezza un certo tipo di letteratura italo-americana ma anche chi ama la musica. A fine spettacolo, regalo al mio pubblico un mio personale concerto rock and roll che consente a me di poter rilasciare alcune tensioni e a loro di godersi altra buona musica.

Anche se Eddie attinge pienamente ad una certa iconografia italo-americana, voglio stare lontano da certi stereotipi anche se sono consapevole che certi personaggi italo-americani e certi racconti legati ad un periodo storico ben preciso hanno molta presa.

Io mi sono ispirato ai film di Scorsese sul tema ma soprattuto a certe visioni ed immagini di Nuovo Mondo di Crialese e alla musica di Louis Prima.

Mi piace parlare di storia folcloristica, al netto dell’accezione negativa con la quale oggi si associa il termine folclore, riferendomi ad una storia genuina che ritorna alle radici”.

Dietro ogni viaggio ciascuno di noi si lascia dietro un baule di sentimenti contrastanti. Tu cosa hai lasciato e cosa ti sei portato quando sei arrivato oltreoceano?

“Ho lasciato molte certezze: un lavoro, una casa, una terra, la famiglia. Ho fatto questa scelta da adulto e questo mi ha dato molta consapevolezza e lucidità anche se quello che mi aspettava era un’incognita. Ti porti dietro i valori, alcuni punti di riferimento solidi ma è necessario ripartire da zero e resettare la tua mente per poter ricominciare.

Una cosa non mi aspettavo: riscoprire le tue radici in maniera forte”.

Dai faldoni alla chitarra. Ei fu Mario  Monterosso cancelliere. Oggi quando rivedi indietro quel pezzo di  vita, hai avuto qualche rimpianto?

“Quando finisce un rapporto, qualsiasi sia la natura, tendi a chiudere la porta e ricominciare. All’inizio è difficile trovare un punto di equilibrio e spesso tendi a rinnegare la tua vita passata. Nel mio caso, ho pensato che il tempo, 15 anni, dedicato al mio lavoro da cancelliere, era stato sprecato ma poi ho capito che non solo ognuno di noi deve fare il proprio percorso ma che il mondo del diritto e la mia carriera mi hanno aiutato ad affrontare certe scelte ma anche a livello pratico ad organizzare il mio lavoro di musicista. Non rinnego niente del mio passato e non ho nessun rimpianto”.

(Foto di Sabrina Susinno)

Diritto e musica convivono nel tuo Dna. Tuo padre era avvocato ma recensiva gli spettacoli musicali, soprattutto le opere,  tua zia cantante d’opera, tua sorella è pianista. Inevitabile quindi per te questa doppia carriera?

“Sono cresciuto con mio padre che ascoltava Louis Armstrong e mia zia, famosa cantante d’opera, prima al Santa Cecilia di Roma e poi al Teatro Bellini di Catania. Mia sorella è una pianista classica e la musica ha sempre fatto parte della nostra quotidianità. Musica e diritto, certo. So che per questo mio padre oggi sarebbe orgoglioso di me”.

New York è la prima meta per i musicisti italiani, tu però hai scelto Memphis. Una scelta solo musicale?

“Inevitabile. E’ la città di Elvis, del rock and roll, il genere che mi ha stregato quando avevo 10 anni. Una città che vive di  musica e per la musica. New York rimane un sogno e ti confesso che non mi dispiacerebbe fare un’esperienza newyorchese perché la Grande Mela rimane la città delle grandi opportunità e soprattutto l’unico posto al mondo dove  senti l’energia per fare alcune cose e la sensazione che quelle cose si possono avverare”.

Chi sono oggi i nuovi Eddie Redmount che dalla Sicilia sbarcano in USA?

“Ci sono i più genuini che faticano e realizzano i loro obiettivi e quelli più vanitosi che “fa figo vivere a New York”. Resta un fatto incontrovertibile: rimane il paese delle grandi opportunità. Se penso a quello che ho realizzato rispetto a due anni fa, quando sono arrivato, sento di aver fatto tanto. Però se guardo in avanti c’è molto ancora da fare. Dire di aver realizzato il sogno americano ti limita, non ti spinge ad andare avanti”.

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Liliana Rosano

Liliana Rosano

Sono nata a Catania, dove sono sempre tornata dalle mie peregrinazioni che mi hanno portato prima in Grecia, poi a Parigi. Con la mia laurea in Scienze Politiche, sognavo di lavorare nella cooperazione internazionale, ma sono finita a fare la giornalista, prima nella redazione di Telecolor poi del Quotidiano di Sicilia. ll mio ponte con l’America è iniziato grazie a un tirocinio per le Nazioni Unite a New York. Sono una freelance e collaboro con diverse testate e magazine nazionali. Vivo a Fairfield, nelle praterie sperdute dell’Iowa, in una comunità alternativa ed eco friendly e sono sempre alla ricerca di storie di italiani all’estero da raccontare.

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