All’inizio sembrava una ricerca sui musicisti siciliani nel jazz – che sono tanti – ma alla fine Michele Cinque si è imbattuto in un viaggio a ritroso verso le radici del jazz negli Stati Uniti, partendo dalla Sicilia. Un viaggio al contrario, in cui si parte dall’America per arrivare in Italia.
L’incontro tra Michele, il giovane regista del film Sicily Jass: The World First Man in Jazz, e la storia di Nick La Rocca, da molti considerato l’inventore del jazz, è avvenuto casualmente a New Orleans, durante le riprese di un documentario per la Rai su Louis Armstrong.
“La storia di Nick La Rocca mi ha molto colpito quando ne sono venuto a conoscenza e ho deciso di raccontarla per cercare di trasmettere il fascino che ho provato quando ho scoperto questa storia” ha detto Michele Cinque alla presentazione del suo film lo scorso aprile al John D. Calandra Italian American Institute di New York durante una serata, organizzata in anticipazione della conferenza annuale Italian Sonorities and Acoustic Communities: Listening to the Soundscapes of Italianità, in cui insieme allo studioso George De Stefano si è parlato di storia della musica.
Ma facciamo un passo indietro. Romano di origini siciliane, classe ‘84, Michele Cinque ha studiato filosofia a La Sapienza di Roma e dal 2006 si occupa di documentari per la televisione e per il cinema. La sua carriera cinematografica è segnata dalla presenza del documentario e della musica, fin dai suoi esordi, forse perché, come dice lui, essendo figlio di un musicista, è cresciuto a stretto contatto con la musica. Nel 2007 ha realizzato il documentario Lavoro Liquido che prende le mosse proprio da un evento-concerto di Luigi Cinque dedicato al mondo del lavoro, tenutosi al Link di Bologna nel 2006 all’interno del Multimedia Labor Festival, un dibattito sul tema del lavoro accompagnato da musica rock, jazz, elettronica e popolare. Un paio di anni dopo ha realizzato Top Runner, un docu-film che racconta in modo poetico la doppia vita di Giorgio Calcaterra, diviso tra il mestiere di tassista e la passione per la corsa come maratoneta ad alti livelli. Dopo aver ricevuto prestigiosi riconoscimenti per questi primi due lavori – il Premio Opera Imaie, il Premio Speciale del Senato della Repubblica Italiana al FICTS 2009 e un premio speciale al Palermo Sport Film Fest – Michele ha diretto due film su due mostri sacri della musica contemporanea: Bob Marley e Louis Armstrong, entrambi andati in onda su Rai 2. Al momento sta lavorando a una serie televisiva sugli sport estremi per la Rai, a un documentario per il cinema sul massacro di Uchuraccay in Perù e sta portando a termine Iuventa, un film documentario sulla “nave che salva i migranti”, comprata dai giovani tedeschi (tra i 20 e i 30 anni) della Jugend Rettet, con l’obiettivo di mettere in salvo le vite dei migranti in mare.
Il film che ha presentato al John D. Calandra Institute di New York, Sicily Jass: The World First Man in Jazz – una produzione Rai, Ga&A, MIBACT e Lazy Film – ha visto la luce nel 2015, dopo tre anni di lavorazione, due set, uno in Sicilia e uno negli Stati Uniti e collaborazioni prestigiose con il musicista e produttore discografico siciliano Roy Paci e con l’attore, cantastorie e cuntista siciliano Mimmo Cuticchio.
La storia raccontata da Michele è ancora oggi considerata un po’ tabù, perché sul protagonista delle vicende, Nick La Rocca, aleggia una sorta di damnatio memoriae, a causa delle posizioni razziste che assunse nella New Orleans degli anni ‘50 e ‘60. Tanto che il regista, al pubblico del Calandra Insitute, ha spiegato: “Non pochi critici musicali mi hanno attaccato per aver fatto un film su Nick La Rocca, pensando che fosse apologetico. Riconoscergli un ruolo importante nel jazz a molti risulta come una giustificazione delle sue posizioni politiche, ma ovviamente non è così, anche perché nel film si parla molto dei suoi difetti e delle sue problematiche caratteriali”.
Che Nick La Rocca sia l’inventore del jazz è una teoria diffusa tra molti studiosi e amatori del jazz, e di lui in questi termini già si era occupato il musicista siciliano Claudio Lo Cascio, l’unico musicista siciliano ad avere la cittadinanza onoraria di New Orleans, che nel 1991 ha scritto il libro Una storia del jazz: Nick La Rocca e, per rimanere nel panorama italiano, Renzo Arbore ha prodotto anni addietro il film di Carlo Di Blasi Da Palermo a New Orleans, e fu subito jazz che riconosce a Nick La Rocca il ruolo di precursore del jazz.
E a sostegno della storicità del contributo di La Rocca alla musica jazz, abbandonando il terreno delle interpretazioni, entra in gioco la registrazione del primo brano jazz della storia, avvenuta nel 1917 per mano di La Rocca e della sua band. “La registrazione del 1917 è un fatto storico – ha detto Michele Cinque – è come il Sacro Graal, la prova per tutti che Nick La Rocca, nonostante non sia l’eroe musicale che tutti vorremmo, è stato il primo a incidere un pezzo jazz nella storia della musica”. E poi, ha aggiunto il regista, “parlare di questo film nel 2017 ha un senso profondamente simbolico, perché quest’anno si festeggia l’anniversario della nascita del jazz dovuta anche all’incisione del primo disco della Original Dixieland Jazz Band”. Ma andiamo con ordine e torniamo alla storia di Nick La Rocca.
Figlio di siciliani di Salaparuta, in provincia di Trapani, emigrati a New Orleans a fine Ottocento, Dominic James detto Nick La Rocca nasce nel 1889 a New Orleans dove, musicista dal talento naturale, cornettista e direttore di banda, fonda nel 1914 la famosa Original Dixieland Jazz Band (all’epoca si chiamava ancora jass), con la quale il 26 febbraio del 1917 incide le prime canzoni jazz della storia: Livery Stable Blues e Dixie Jass Band One Step con la Victor Talking Machine Company. Per i primi anni la band ha un enorme successo, tanto da arrivare a suonare anche a Londra nel 1919, come orchestra ufficiale per festeggiare la firma del Trattato di Versailles, alla fine della Prima Guerra Mondiale. Nel 1920 la band fa ritorno a New York dove, nel 1922 comincia a diffondersi un forte movimento contro il jazz, tanto che Nick e la sua band, per continuare a suonare, decidono di trasferirsi a Harlem, dove le leggi anti-jazz sono state approvate solo nel 1925. In quell’anno la band si scioglie e riprende le sue attività soltanto nel 1936 per un paio d’anni, prima dello scioglimento definitivo, anche a causa della personalità problematica di Nick. Negli anni a venire La Rocca cerca invano di ottenere qualche riconoscimento ufficiale come creatore del jazz e muore a New Orleans all’età di 72 anni, nel ‘61, senza lasciare alcuna traccia di sé.
La parte oscura della vita di Nick La Rocca, che gli è valsa la rimozione da molti libri di storia della musica, è legata alle sue dichiarazioni razziste contro i musicisti afro-americani, ritenuti da La Rocca incapaci di suonare e, quindi, indebitamente ritenuti responsabili della nascita della musica jazz. Ovviamente oggi come allora sappiamo che le cose non sono andate così, ma si può capire perché La Rocca abbia preso quelle posizioni all’epoca: come ha precisato Michele Cinque, “Nick La Rocca era un uomo semplice, non aveva gli strumenti culturali per gestire il conflitto, aveva un caratteraccio e soprattutto aveva un enorme bisogno di emergere e lo faceva come poteva. Era pur sempre il figlio di immigrati siciliani nella New Orleans degli anni ‘20”. La Rocca faceva parte di un mondo segregato, ma pochi anni prima, le cose erano diverse e le culture si mescolavano senza troppe distinzioni: “Prima della segregazione razziale – ha spiegato George De Stefano – la gente era mescolata, gli afro-americani e gli immigrati siciliani lavoravano insieme nelle piantagioni. Per esempio, Louis Armstrong, che si fece molto ispirare da La Rocca, mangiava spaghetti a casa sua, perché la cucina italiana era molto diffusa qui “.
Tornando alle polemiche, Michele Cinque ha spiegato la sua scelta di raccontare un personaggio come La Rocca e, scostando l’attenzione dal mito (negativo o positivo che sia) per arrivare alle vicende profondamente umane, si può intuire cosa di Nick possa aver attratto il regista: “Con il mio film non ho voluto difendere Nick La Rocca né inventare una controstoria della musica, ma soltanto mettere in luce quel cromosoma siciliano che c’è nel jazz, raccontando la storia di un looser, di un antieroe infantile”. La Rocca è stato condannato all’oblio per le sue posizioni segregazioniste e in effetti “è un personaggio difficile da amare”, come sostiene il regista, ma smuove qualcosa in più della curiosità e instaura con lo spettatore un dialogo quasi intimo, pur non essendo mai in video. La sua assenza, in qualche modo, si fa presenza che lo rende immortale e la poesia del controcanto dei pupi siciliani rende l’atmosfera ancora più mitologica e antica, surreale. Come se i due mondi di ieri e di oggi si mescolassero e si parlassero, per raccontare fino in fondo una storia dimenticata che ha bisogno di redenzione e di una conclusione.
“Questo film è un viaggio nell’anima di un uomo che ha tentato, sbagliando quasi tutto, di riservarsi un posto tra le stelle della musica” ha commentato il regista. E nonostante i suoi difetti di carattere e le sue posizioni poco condivisibili, la registrazione del ’17 gli dà ragione. Ma uno degli aspetti più interessanti a livello musicale, come hanno spiegato il regista e George De Stefano, è l’anello di congiunzione tra la musica tradizionale siciliana dell’epoca e il jazz dei primordi: la marching band dei funerali. “Nei funerali siciliani dell’epoca – ha spiegato Michele Cinque – durante la marcia verso il cimitero si suonava musica triste mentre al ritorno verso casa si faceva musica allegra, come avveniva nelle marching bands di New Orleans. Quindi la musica siciliana tradizionale portata dagli immigrati aveva molto a che fare con la musica jazz degli inizi”.
Al di là delle critiche storiche e delle dispute tra studiosi di musica, il film è un viaggio straordinario nella New Orleans negli anni ‘20 e nella Sicilia di oggi, in cui i due luoghi paradigmatici della vita di Nick La Rocca si alternano e si scambiano i ruoli. L’America di oggi è il futuro, in cui la memoria di Nick può ricominciare a diffondersi, attraverso al musica e forse grazie a suo figlio Jimmy, mentre la Sicilia di Salaparuta, il paese d’origine dei La Rocca, crollato nel ‘68 per un terremoto, è la metafora del mondo antico, irrecuperabile, fatto di pupi siciliani e di musiche tradizionali. E viceversa: l’America degli anni ‘20 diventa il passato remoto, il passato già scritto, mentre Salaparuta, diventa il presente, la futura memoria che riaggiusta tutto, attraverso l’arte, il cinema, la musica stessa.
Presentato in anteprima al Festival dei Popoli del 2015, Sicily Jass: The World First Man in Jazz ha preso parte al Taormina Film Festival e ha ricevuto una menzione speciale al Salina Doc Festival. Dopo Roma e New York, il film conoscerà il pubblico di Algeri, Berlino, Amsterdam, Londra, Osaka e Melbourne in un tour di celebrazione del centenario della nascita del jazz, organizzato con il contributo della SIAE. Inoltre, alcuni giorni dopo il nostro incontro a New York, il film è stato proiettato, alla presenza del quintetto di Roy Paci, nel Cretto di Burri, a Gibellina, in Sicilia, altro luogo distrutto dal terremoto del ’68 in cui l’artista Alberto Burri nell’89 costruì un’installazione per la futura memoria.
Così il viaggio a ritroso di andata e ritorno si compie: dall’America arrivano le note del jazz della banda di Nick, voraci, eccitate, ambiziose, e da Salaparuta la tromba di Roy Paci, malinconica, mediterranea, e la voce sibillina di Mimmo Cuticchio e dei suoi pupi siciliani, a ricordarci che, forse, la storia, una volta finita, può sempre ricominciare.
Guarda il trailer di Sicily Jass: The World First Man in Jazz: