È curioso vedere come i festival newyorchesi, o almeno quelli principali, non possano prescindere dalla città, sia per la forte caratterizzazione dei luoghi in cui si tengono sia per la programmazione, che vede una forte presenza di film su New York o di autori newyorchesi.
Per ricordare solo i più noti: il quartiere di Tribeca, rinato grazie anche alla creazione del Tribeca Film Festival, fortemente voluto nel 2003 da Robert De Niro, Jane Rosenthal e Craig Hatkoff per far ripartire quella downtown messa in ginocchio economicamente ed emotivamente dopo l’11 settembre 2001; il Lincoln Center, tempio della cultura newyorchese che dal 1963 ospita il New York Film Festival. Ma anche gli storici Kaufman Studios di Astoria, sede di numerosi festival che ruotano attorno a temi e comunità newyorchesi, o il prestigioso BAM che ospita film e autori indipendenti dal sapore tutto brooklyniano.
E se i luoghi danno un’impronta tutta loro ai festival che ospitano, è vero anche che ciascuno di loro richiama un pubblico diverso, una diversa attenzione della stampa e della critica e una diversissima partecipazione del quartiere. La guerra più o meno aperta fra il festival di Tribeca e quello di New York è cosa nota, ma non tanto tra i direttori o programmatori dei festival quanto all’interno dell’audience, fatta di pubblico e di addetti ai lavori. In generale, il mondo intellettuale newyorchese, cineasti compresi, prediligono il New York Film Festival, mentre il Tribeca ha un appeal più internazionale quanto a stampa ed è più giovane quanto a pubblico, interattivo e non. Si perché il festival di Tribeca negli ultimi anni ha puntato molto alla realtà virtuale e aumentata, sugli eventi multimediali, sui videogame e sui talks di professionisti del settore, alcuni anche molto tecnici. E mentre il festival negli anni si è fatto più casual e attento alle nuove tecnologie e alle nuove forme di produzione e fruizione del cinema, il quartiere intorno si è fatto più elitario e inarrivabile per quello stesso pubblico e per quegli stessi autori che il festival ha voluto mettere in luce e supportare (grazie anche al Tribeca Lab). Siamo comunque confortati dal fatto che Tribeca, dall’essere il quartiere più caro di New York, è sceso al secondo posto, cedendo il passo a Dumbo, un tempo quartiere portuale di Brooklyn, fatto di moli e magazzini fatiscenti, ora sede di loft esclusivi fatti apposta per quei ricchi, ricchissimi ma un po’ colti e alternativi, a cui Park Avenue sa troppo di vecchio e repubblicano. Ma questa è un’altra storia.
Tornando a Tribeca, e tornando al festival che si è da poco concluso, la presenza di New York nei film e nei documentari presentati è stata anche quest’anno rilevante, e si è conclusa con l’evento newyorkese per eccellenza: al Radio City Music Hall sono stati presentati The Godfather Part I e Part II (Il Padrino Parte I e Parte II), in versione restaurata, con una meravigliosa reunion del cast. Tra lo schermo e la platea c’era tutta New York in quel lungo pomeriggio: la New York degli anni Settanta che nel bene e nel male non esiste più e la New York di oggi, quanto mai varia e variegata, anche qui nel bene e nel male. E lo stesso Radio City compare nel Padrino, una delle tante location fra Brooklyn e Manhattan a essere fissate per sempre sullo schermo, così com’erano in quegli anni, da Francis Ford Coppola. Poi, in realtà gran parte del film è stata girata a Hollywood, ma anche questa è un’altra storia.
A Tribeca, i film di ambientazione newyorchese anche quest’anno erano parecchi: tra tutti, Keep the Change di Rachel Israel, commedia romantica delicata e profonda, vincitrice del festival come miglior film, mentre Israel ha vinto come miglior regista esordiente – una piccola, felice nota personale: i premi principali quest’anno sono andati a film diretti da autrici donne: oltre a Keep the Change, vincitore nella US Narrative Competition, il concorso internazionale è stato vinto da Son of Sofia di Elina Psykou e Bobbi Jene di Elvira Lind ha vinto come miglior documentario. Nobody’s Watching, un film argentino, ma tutto newyorchese quanto a plot e location, che racconta frustrazioni e realtà di un attore, uno dei tanti, che cerca di sfondare in città; Saturday Church, un autentico Bronx movie, film sociale e musicale, tra il dramma e la commedia; The Boy Downstairs, che ha tutti i cliché della commedia romantica newyorchese ma, o proprio per questo, funziona, con protagonista Zosia Mamet, newyorchesissima “Girl” per ruolo, nascita e illustre ascendenza.
E poi i documentari a tema o sfondo newyorchese che, accanto alle realtà virtuali in tutte le loro declinazioni, sono sempre il punto forte del Tribeca Film Festival: The Death and Life of Marsha P. Johnson, sulla leggendaria fondatrice di Street Transvestites Action Revolutionaries, gruppo attivista trans basato nel cuore del Greenwich Village; Shadowman, intenso ritratto di Richard Hambleton, noto artista newyorchese degli anni ’80 poi scomparso dalle scene ma che viene oggi ritrovato, ancora a dipingere, totalmente sconosciuto; Dare To be Different, sulla WLIR 92.7, storica radio di Long Island che negli anni ’80 ha anticipato in America la musica di U2, Blondie, Duran Duran, Billy Idol, Depeche Mode e tanti altri, trafugando letteralmente i loro singoli in aeroporto e correndo a metterli on air prima della loro distribuzione; Julian Schnabel: A Private Portrait, diretto dal nostro Pappi Corsicato, un ritratto di Schnabel dalla scena artistica di Manhattan degli anni ’80 al suo passaggio al cinema. E infine Frank Serpico, e qui non serve aggiungere altro.
Quindi, dal reciproco scambio tra New York e il cinema, anche quest’anno sono nate cose belle e il Tribeca Film Festival ha scelto alcuni tra i film migliori. Alcuni di questi avranno la fortuna di essere distribuiti nei cinema, molti si vedranno in TV e nelle varie piattaforme di download, molti altri in streaming di fortuna, altri ancora purtroppo rischiano di essere visti assai poco. Tuttavia, i festival restano un luogo unico nel dare l’occasione a un film di essere visto nel modo giusto, con la giusta attenzione, restando a volte l’unico modo per fare conoscere un nuovo film. E al pubblico danno l’occasione di una visione appropriata, di piacevoli scoperte, di incontri con autori con cui poter effettivamente dialogare e di première internazionali in cui magari ci scappa anche qualche star. Lunga vita ai festival quindi, e complimenti allo spirito del Tribeca Film Festival, che nel dar luce a film e temi urgenti, urgentissimi, quali l’ambiente e le conseguenze della globalizzazione, contribuisce a quella consapevolezza del mondo che questa città, come poche, fortunatamente mantiene ancora ben salda.
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