Passione per i numeri, per i motori, ad una radiolina a transistor chiesta come regalo a sei anni. Patrizia Livreri è un ingegnere elettronico che ha fatto della sua professione una scelta emozionale e della ricerca un modus vivendi.
Dal 1988 con laurea e tesi in comunicazioni satellitari si imbarca per l’avventura americana, dal 1992 ho svolto in Italia attività di ricerca e didattica per il corso di Laurea in Ingegneria Elettronica dell’Università di Palermo, alternando lunghe permanenze nella Silicon Valley. Oggi vive a New York lavorando come consulente e ricercatore per l’esercito americano. Ecco la sua intervista.
Ci può raccontare in breve la sua formazione?
“Probabilmente in culla avevo già scelto il mio percorso formativo: sarei diventata un ingegnere come papà e non un insegnante di lettere come mamma. Il mondo delle parole era per me troppo dispersivo. Quello dei numeri era molto più efficace e in grado di regalarmi emozioni e scoperte uniche. Passione ed emozione sono state il motore del mio percorso di formazione e mi hanno accompagnata in tutte le mie scelte.
A 13 anni è difficile affrontare le prime scelte che incideranno sul proprio futuro. Ma io non avevo dubbi: liceo scientifico, dove ho avuto la grande fortuna di incontrare un grande insegnante di matematica “tutto d’un pezzo” che come compito per casa mi assegnava di trovare la dimostrazione di alcuni teoremi da spiegare l’indomani alla lavagna davanti a tutti i miei compagni. E’ proprio vero che “L’opera del Maestro non deve consistere nel riempire un sacco ma nell’accendere una fiamma”.
Dopo il liceo scientifico fu Ingegneria la mia scelta. Ingegneria Elettronica! Dove trovare le radici della scelta di Elettronica? In un regalo che chiesi per la mia prima comunione: la radiolina a transistor. Fresca fresca di invenzione!
Gli studi universitari volarono in fretta, 5 anni tutti d’un fiato! La mia media finale era 112. Laurea in Ingegneria Elettronica, 110 e Lode accademica fu il verdetto. Troppo per una ragazza, troppo in fretta per i tempi!”.
Cosa l’ha portata negli Stati Uniti?
“La fiamma di Plutarco che si accese mi portò a sbarcare i primi di dicembre del 1988 negli States con un passaporto nuovo di zecca e un visto che occupava due pagine.
La tesi di Laurea sulla progettazione di sistemi di ricezione a microonde per trasmissioni via satellite, svolta alla seconda università di Roma, fu una scelta importante che mi aprì le porte degli Stati Uniti, la patria della tecnologia elettronica. Due anni dopo la laurea ero negli Stati Uniti per lo svolgimento del Dottorato di Ricerca sulla progettazione di sistemi di ricezione a microonde in monolitico: Boston, New York, Washington. Era il 1988, avevo 26 anni e dalle Torri Gemelle mi sembrava di poter abbracciare tutto il mondo. Furono tre anni intensi di ricerca dediti alla progettazione di sistemi a microonde e all’integrazione spinta dei circuiti: si avviava velocemente il processo della miniaturizzazione dei circuiti elettronici. La tesi di dottorato fu coronata dall’invenzione di una equazione matematica per la progettazione di amplificatori a basso rumore a microonde.
Aver vinto un concorso di ricercatore universitario mi portò di nuovo in Italia nel 1992. Ma sia io che il tempo sapevamo bene che non sarebbe stato un addio. Dal 1992 ho svolto in Italia attività di ricerca e didattica per il corso di Laurea in Ingegneria Elettronica dell’Università di Palermo, alternando lunghe permanenze nella terra della Silicon Valley, fino a quando dalla California arrivò una chiamata di un cliente chiedendo di visionare il mio curriculum. Dopo poco capì che mi si stava offrendo la possibilità di essere Consulente per un progetto dell’ US NAVY. Realizzai in quello stesso istante che avevo vissuto due Americhe e forse anche due vite. All’incarico di recente si è aggiunto quello per una società americana nel settore aerospaziale e della difesa”.

Quali le differenze a livello lavorativo tra Sicilia e New York?
“Devo tanto all’Italia, il sistema di formazione italiano è il migliore al mondo e porta i nostri laureati ad eccellere in ogni campo, dall’ingegneria alla medicina, dalla chimica alla fisica, e in questo ambito la Sicilia siede al podio per numero di eccellenti laureati, ma ragionando in termini lavorativi l’Italia è l’ultimo dei Paesi ad alta innovazione dove si possa pensare di fare ricerca. In Italia la ricerca è la “Cenerentola delle professioni” e la Sicilia anche in questo caso è la pecora nera. Invece puntare su ricerca scientifica, trasferimento tecnologico, infrastrutture di ricerca, creazione di spin off dalla ricerca e di start up innovative sarebbe l’unica chiave di successo e di riscatto sociale che consentirebbe di fermare questa emorragia di laureati e diplomati che ogni anno lascia la Regione. Qualcosa si è fatta in Sicilia, ma ancora è troppo poco e con tempi troppo lunghi. Si sconta una arretratezza in termini di tempi di almeno dieci anni, si sta completando adesso, in parte, la progettazione del 2008. Per fortuna ci sono anche punte di eccellenza che però vengono poco valorizzati “. Un siciliano che lavora a New York non si distingue da un newyorkese, un’azienda siciliana a New York non si distingue da una newyorkese. La differenza? Politics and Policy. A New York si attuano politiche per lo sviluppo e la crescita a ritmi incredibili, in Sicilia si attuano poltrone per i politici. Basti ricordare che New York ha pensato bene di dotarsi di un logo per costruire il suo impero, la Sicilia prima dell’unità di Italia era già un impero, era florida durante il regno delle due Sicilie, e la politica dell’unità d’Italia l’ha portata in condizioni di arretratezza rispetto al Nord”.

Secondo lei in America un lavoro come il suo, svolta da una donna, viene considerato diversamente rispetto all’Italia? Se sì come?
“L’America valuta, l’Italia giudica! L’America ha cercato un professionista, al di là del genere. L’Italia avrebbe fatto appello alla politica e quindi ricorso agli amici degli amici. E poiché le donne in Italia sono fuori dai giochi di potere della politica…a lei il privilegio della conclusione”.
Ci racconti nello specifico di cosa si sta o curando ora.
“Mi occupo di progetti militari. E qui la sintesi degli ingegneri si sposa con la riservatezza degli incarichi. Per la USNAVY ho curato il progetto MUOS, un sistema di comunicazione satellitare. Per la società di difesa americana sto curando un progetto di ricerca”.
Il matrimonio tra scienza e cultura è quindi possibile? In che modo?
“Il primo germoglio di matrimonio tra scienza e culturale possiamo farlo risalire a Galileo Galilei, grande scienziato e umanista. Paradossalmente il suo metodo scientifico gettò le basi per la separazione tra scienza e cultura, considerati antitetici.
Interdisciplinarietà e multidisciplinarietà sono i paradigmi su cui basare il matrimonio tra scienza e cultura. Non è un caso che l’Italia dei baroni ancora non premi e non riconosca la ricerca multidisciplinare, anzi la punisca”.