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“Tu vuo’ fa’ l’americano”: vecchi e nuovi italiani in America

Un viaggio nell'identità italoamericana nelle diverse generazioni di immigrati

Giuseppe FortunabyGiuseppe Fortuna
“Tu vuo’ fa’ l’americano”: vecchi e nuovi italiani in America

Italian Americans celebrating at the Columbus Day Parade /Youtube

Time: 6 mins read

L’identità etnica degli italoamericani abbastanza forte nella prima generazione, segregata nelle omogenee “piccole Italie”, si è gradualmente indebolita in seguito al loro esodo negli eterogenei sobborghi suburbani.

La prima generazione ha dovuto affrontare varie difficoltà nel loro incontro con un nuovo tessuto sociale americano. Il loro inserimento nella nuova società lo hanno affrontato, il più delle volte, da soli senza un valido supporto da parte di entrambe le istituzioni: italiane e americane. Infatti, né le istituzioni italiane e né quelle americane hanno sviluppato programmi appropriati per facilitarne la loro integrazione. Le prime, spesso, hanno messo da parte le loro necessità, e le seconde non sempre li hanno accolti a braccia aperte. Le difficoltà per integrarsi economicamente e socialmente sono state tante anche a causa di pregiudizi e discriminazione nei loro confronti.

La legge del 3 ottobre 1965 portò dei cambiamenti nella politica d’ immigrazione degli Stati Uniti abolendo il sistema di quote che comportò un aumento dell’immigrazione italiana. Questi nuovi immigrati sono arrivati durante gli anni del risveglio etnico quando la teoria del “melting pot” era in declino a vantaggio del “multiculturalismo” che incoraggiava gli immigrati ad essere orgogliosi della propria cultura. Grazie al multiculturalismo essi hanno rinvigorito la cultura italiana. I teorici del multiculturalismo non hanno, però, chiarito quali tratti culturali implichi l’etnicità e chi abbia continuato a credere all’identità etnica. La loro nuova etnicità è stata definita dal sociologo Myrdal un “romanticismo intellettuale della classe elevata”. Pare che tale risveglio non sia stato un revival genuino dell’etnicità, ma una pura alterazione, come appare evidente, per esempio, dalle trasformazioni delle tradizioni culinarie italiane che hanno assunto caratteri propriamente italoamericani.

Il dibattito accademico tra le prospettive assimilazioniste e quelle pluraliste sull’etnicità è ancora molto acceso. Secondo gli assimilazionisti, i legami al proprio gruppo etnico, col tempo, si indeboliranno e gli immigrati si identificheranno più con la classe sociale che con il gruppo etnico. I pluralisti, al contrario, sostengono che nonostante la mobilità sociale, quella geografica e l’aumento di matrimoni misti, gli immigrati continueranno a identificarsi con questo o quell gruppo etnico. Le culture etniche non spariranno automaticamente.

Gli immigrati della prima generazione che non erano ancora assimilati, hanno conservato la loro identità etnica. La seconda generazione ha dovuto, invece, affrontare un conflitto di identità. Gradualmente, con la loro realizzazione  dell’assimilazione strutturale è subentrata la mobilità sociale, quella geografica, l’aumento di matrimoni misti con persone di altre etnie e la loro identità etnica si è sempre più attenuata.

Gli operai e le operaie italoamericane, ma anche i dottori, avvocati, architetti, ingegneri, politici, scrittori, attori, insomma quasi tutti, delle nuove generazioni mostrano una identità prettamente simbolica. Il loro è un legame simbolico legato ad una canzone, a un piatto tipicamente italiano, a una festa. Per la prima generazione che non era ancora assimilata e interagiva maggiormente con paesani e compatrioti nel ghetto etnico, la loro identità etnica era una parte vitale della loro quotidianità. Per le nuove generazioni che sono ormai ben integrati nella struttura sociale americana, la loro identità etnica non interferisce affatto nella loro vita giornaliera. Essi vivono in palazzi moderni o case blindate con recinti molto alti  nei sobborghi, vivono isolati nelle loro fortezze, senza appartenere a una vera comunità. L’identità etnica, sebbene simbolica, consente loro un senso di appartenenza a una comunità da loro scelta volontariamente tra le tante etnie ereditate.Si sentono parte di una comunità che non interferisce con la loro individualità. È una identità che non richiede interesse comuni, si limita a dei simboli e da loro la libertà di crearsi i propri networks sociali senza impegni di riunioni di associazioni o di organizzazioni etniche per programmare attività comunitarie. Sono liberi di scegliere, tra le tante diverse etnie ereditate, quella che più soddisfi le loro caratteristiche ed esigenze personali. Tale scelta da loro un senso di chi sono e da dove vengono. L’identità scelta crea in loro un senso di piacere, di soddisfazione, un appagamento nella loro vita professionale e sociale. È una identità che invoca un bagaglio culturale che più li soddisfi.

Nel passato i valori, usi e costumi culturali italiani venivano rinvigoriti dall’arrivo di nuovi immigrati, ciò non avviene più, infatti, a partire dal 1990 al 2000 l’emigrazione italiana in America ha continuato a diminuire. Nel 1990, 3.287 italiani sono emigrati in America di cui 515 si sono stabiliti a NYC. Nel 2000 erano 2,485 di cui 275 a NYC (Department oh Homeland Security). I vecchi immigrati si sono, man mano, americanizzati, il risveglio etnico da loro vissuto negli anni Sessanta e Settanta non è stato altro che un breve lampo che si è affievolito in una etnicità simbolica.

L’etnicità che sopravvive nelle nuove generazioni è volontaria, per loro è piacevole ricordare le proprie radici; la loro identità la manifestano nelle attività di tempo libero piuttosto che in quelle lavorative, mentre per i loro nonni e bisnonni era considerata una parte vitale della loro quotidianità. Ormai un flusso annuale di nuovi immigrati per rigenerare la cultura italiana non avviene più. Gran parte dei nuovi arrivi sono studenti, ricercatori, managers che fanno parte della categoria dei “brain drain”; sono, sopratutto, soujourners, celibi, nubili che vivono in quartieri eterogenei soggetti alla gentrificazione.Sono, parafrasando Piore, “birds of passage” che non hanno rigenerato una vera comunità etnica legata al proprio quartiere, ma una comunità dispersa, digitale e virtuale.

L’ultimo flusso di immigrati italiani è occorso negli anni Sessanta quando oltre 20.000 immigrati arrivavano ogni anno.Quelli meno istruiti hanno avuto difficoltà d’integrazione, mentre quelli più istruiti sono stati capaci di entrare attivamente a far parte della vita americana. Gli immigrati meno istruiti per raggiungere il successo economico sono stati, spesso, costretti ad abbandonare un lavoro dipendente e a crearsene uno in proprio. Gli immigrati più istruiti, nella maggioranza dei casi, più giovani, gradualmente sono riusciti a integrarsi nella struttura sociale americana grazie alla loro laurea, che ha dato loro accesso a lavori professionali ben pagati. Il loro risveglio etnico, col tempo, si è attenuato assumendo un valore simbolico.La loro etnicità rappresenta una cultura adulterata, fatta di frammenti di quella nativa che non sono in contrasto con la cultura americana della classe media.Questi simboli sono stati adattati ai modelli della classe media americana, perdendo così le loro qualità distintive.

Oggi più di ieri i matrimoni misti sono frequenti con un incremento di matrimoni anche interraziali tra persone di diversa religione e colore della pelle.Secondo dati del Current Population Survey nel 1980 La percentuale di matrimoni interrazziali era solo 6,7%, nel 2008 era 14,6%, nel 2011 le coppie di etnie diverse erano 4.700.000, nel 2015 erano 11.000.000, pare che uno su dieci optava per il matrimonio misto.Questo nuovo fenomeno può essere visto come un segno di disintegrazione etnica: i figli di queste coppie miste sentono, probabilmente, un legame culturale soltanto simbolico e superficiale verso le diverse culture dei genitori.Sono individui che mostrano un forte legame verso la cultura americana – i suoi valori di base, il suo stile di vita – e un debole valore tipicamente simbolico verso la cultura dei genitori, dei nonni e bisnonni.

Oggi le piccole comunità italiane sono meno omogenee di come lo erano nel passato, sia perché meno italiani emigrano negli Stati uniti, sia perché, sempre più, gli immigrati del passato e gli italoamericani hanno raggiunto una mobilita` sociale verso l’alto che li ha allontanati dalle omogenee “piccole Italie”. È da tempo che le isole culturali italiane metropolitane si sono spostate nei sobborghi di Long Island, dove sono state riprodotte su scala minore e con una etnicità sempre più simbolica e un po’ atrofizzata. 

Nell’America di oggi forme tradizionali di organizzazione sociale come la famiglia, la chiesa e la comunità locale hanno perso parte della loro autorità sulla vita degli individui che sentono un debole senso di identità e appartenenza.La nuova generazione di italoamericani non ha alcuna ancora con il proprio passato culturale. L’essere umano ha bisogno di conoscere le sue radici per meglio capire se stesso.Saranno i membri delle nuove generazioni capaci di conservare dei simboli della loro etnicità per rendere la loro vita più unica? Credo che le nuove generazioni di americani che si identificheranno come italoamericani continueranno a conservare dei simboli etnici che li collegano alla cultura dei loro nonni e bisnonni.Ormai sono pochi gli italiani che arrivano in America per ringiovanire la cultura italiana, che rischia sempre più di andare incontro a un processo di atrofizzazione che porterà l’etnicità simbolica a essere l’unica forma di identità etnica.

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Giuseppe Fortuna

Giuseppe Fortuna

Sono nato in Basilicata tanto tempo fa. Laureato a Torino in Scienze politiche indirizzo sociologico, ho anche fatto il metalmeccanico. In America sono arrivato come studente, conseguendo un PH.D in Sociologia nel 1983 al Graduate Center del CUNY. Per 30 anni ho insegnato come adjunct nel Dipartimento di Urban Studies al Queens College. Nel 1991 ho pubblicato The Italian Dream e poi diversi altri libri in italiano, recentemente"Italiani nel Queens" (Carocci 2013) e "Una Piazza Meridionale" (Guida Editori 2016). Da pensionato, non ho mai smesso di scrivere e ogni volta che posso "scappo" in Italia

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