Caro hater,
sei arrabbiato, arrabbiatissimo. Hai votato il 4 marzo e speravi nel cambiamento invece ti trovi come con i piedi nella marmellata, appiccicosi, e con la sensazione che nemmeno questa volta si potrà correre veloci. Salvini, Di Maio, Conte. Poi Savona e Mattarella. Voto anticipato sì, voto anticipato no, governo tecnico, governo politico. Borse in calo e spread, notizie che girano all’impazzata. Mentre a te gira all’impazzata qualcos’altro.
Potrei fare il tuo gioco, visto che in questi giorni mi hai attaccato perché non ho le tue stesse idee politiche (leggete i commenti sotto l’articolo linkato), perché magari sono donna o, peggio, expat.

Ma ho deciso di scendere dalla giostra, fare un bel respiro e chiedermi perché.
Perché hai trasformato i social nella gara del tiro al piattello? Da dove ti esce tutta questa energia nell’insultare con veemenza il prossimo che spesso non conosci e che non hai mai incontrato?
Ci sono delle statistiche, risalgono a qualche mese fa. Dicono che il sacro fuoco dell’hater, dell’insultatore professionista e populista, si chiami in realtà rancore sociale.
Nel 51esimo rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese l’87,3% degli italiani appartenenti al ceto popolare pensa che sia difficile salire nella scala sociale. Prima che mi insulti perché ti ho dato del ‘povero’ ti dico che non cambia di tanto nemmeno per i ricchi: pensa la stessa cosa il 71,4 per cento del ceto benestante.
Pensa che sia facile scivolare in basso nella scala sociale il 71,5% del ceto popolare e il 62,1% dei più ricchi.
Se il declassamento sociale è il nuovo fantasma che permea la società allora ti credo caro hater che tu voglia prendere le distanze da tutto e tutti.
Il 66,2% dei genitori italiani si dice contrario al matrimonio della propria figlia con una persona di religione islamica, il 42,4% è contrario al matrimonio con un partner dello stesso sesso e il 41,4% dice no ad un genero immigrato.
L’immigrazione evoca sentimenti negativi nel 59% degli italiani, una percentuale che si alza al
72 per cento tra le casalinghe, 71% tra i disoccupati, 63% tra gli operai.
Caro hater è vero quindi che meno hai, più sei colpito da diffidenza, rancore e “haterismo”? Solo in parte. La pulsione antisistema è più democratica di quanto pensiamo.
Se, caro hater, vivi a nord, è più facile che tu abbia votato Lega e che tu stia meglio rispetto ai tuoi colleghi che hanno votato 5Stelle e che vivono a sud. Ma il rancore vi accomuna, nuova espressione dell’unità d’Italia. A nord vince la paura della messa in discussione della propria condizione individuale, a sud il sangue amaro scorre tra le opportunità che mancano, il lavoro che non c’è, per ciò che non si riesce ad avere e per ciò che si avrebbe voluto essere.
Quindi, hater, hai due strade per urlare tutto il tuo scomposto disappunto: o guardi in su e te la prendi con i politici che non sono in grado di farti stare meglio, o guardi verso giù a caccia di capri espiatori: migranti e rifugiati, rom e homeless, neri e gay. I diversi. O semplicemente chi non la pensa come te.
Caro hater ti devo dire una cosa importante: in ogni caso non serve.
Le parolacce, i vaffa non servono, non servono le minacce e l’aggressività, non serve puntare il dito o seguire come caproni chi punta il dito verso qualcosa. Specie se quel qualcosa è qualcuno.
Se ti senti schiavo ribellati con il rispetto.
Pensa che la frustrazione arriva anche dal non sentirsi gratificati dal punto di vista lavorativo. Che l’Italia è sì una Repubblica fondata sul lavoro ma negli ultimi anni se lo sono un po’ dimenticati. Con il risultato che se non puoi mostrare il tuo talento ed essere equamente remunerato per questo, laureato in un call center, madre di famiglia alla domenica in un centro commerciale, a fare straordinari non pagati perché ‘sennò mi licenziano e fuori c’è la fila di chi vuole prendere il mio posto’, il rancore diventa purtroppo fisiologico.

Non diamo la colpa a nessuno ma prendiamoci le nostre di colpe, caro hater.
Prima di scrivere un commento cattivo gratuito nel profilo di qualcuno di cui non sai nulla conta fino a 10 e fai anche tu un respiro profondo. Tranquillo, non passerai per buonista.
Prima di scrivere ad una persona che se n’è andata dal proprio Paese che è un traditore, pensa che gli italiani non sono solo quelli che vivono dentro ai confini.
Prima di scrivere che avremmo dovuto stare in Italia a soffrire e lottare, pensa che soffriamo e lottiamo tutti i giorni all’estero e che quando ti diciamo che vivere via è difficile stiamo ancora usando un eufemismo.
Prima di scrivere che rinneghiamo le origini, sappi che le origini sono come un guinzaglio al collo: più ti allontani e più tira, rendendoti chiara la tua appartenenza.
Prima di dire che ce la tiriamo parlando in italiano con troppi vocaboli inglesi, sappi che ci vergogniamo tra di noi ogni volta che non ci viene più la parola nella nostra madrelingua e passiamo interi minuti a chiederci: ‘Ma affordabile è italiano?’
Prima di appellarci come furbi, viziati, presuntuosi, poco umili, arroganti, pensa che a volte andare via è l’unico modo per non diventare furbi, viziati, presuntuosi, poco umili o arroganti.
Prima di dirci che non possiamo parlare perché vivendo via non capiamo più la nostra società, sappi che con il telescopio si può vedere bene la Luna nei suoi dettagli anche se da molto lontano. Se vuoi camminarci sulla Luna però capita anche che ti manchi l’aria.