Giovani donne talentuose alla conquista della Grande Mela, questa volta non solo per scalare la vetta del successo ma per portare con il proprio lavoro, un segno di speranza. E’ questo il caso della regista e produttrice, Anna Raisa Favale, classe 1986, che seguendo i suoi sogni è partita dalla terra natìa, la Puglia, per raggiungere la Palestina, il Sudafrica e sbarcare in quel di New York nel 2016.
A soli 30 anni la regista salentina, diplomata all’ Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico in regia Teatrale e poi specializzata in Cinema in Sudafrica, nonchè formatrice all’Università Roma TRE, vive e lavora nel Greenwich Village, luogo simbolo degli immigrati italiani.
Anna Raisa, selezionata dall’emittente televisiva italo americana TeleMater, nata dalla spiritualità della Chiesa della Madonna di Pompei, nel cuore della Grande Mela, ha alle spalle numerose iniziative affonda le sue radici nel teatro e successivamente nel documentario, spesso usati nell’ ambito delle operazioni di mediazione e di Peace Bulding.
Partiamo da dove sei ora. Come è cominciata l’avventura a Manhattan?
“Due anni fa, terminato il percorso alla The South African School of Motion Picture Medium and Live Performance, mentre lavoravo ad un progetto originale di lungometraggio su Abramo, personaggio biblico ma raccontato cinematograficamente in chiave moderna, è stato notato in Italia il mio lavoro da una web TV cristiana che ricercava una regista. L’obiettivo dei promotori era quello di portare in tutte le case italiane d’America un canale televisivo cattolico ed italiano in collegamento con TelePace, il Centro Televisivo Vaticano, e altre piccole e medie emittenti italiane, oltre che concentrarsi a sviluppare una produzione propria a New York. Ho accettato, passando al giornalismo televisivo che mi ha permesso di creare un rapporto diverso con il pubblico della rete, molto più diretto. Non ho accantonato però le mie ambizioni in campo cinematografico sognando la California. Nel giugno 2015 è arrivata la proposta da TeleMater di New York e io l ‘ho catturata al volo, trovando come Abramo…la terra promessa!”.
Quali problemi hai incontrato in campo lavorativo qui a NY?
“Non è stato facile, mi sono trasferita ad ottobre 2015 nel Village e ho avuto non poche difficoltà con il visto, ma grazie a padre Walter Tonellotto, parroco della Chiesa di Nostra Signora di Pompei che ha promosso l’emittente TeleMater, si è creata una sorta di perfect wave che ha fatto sì che venissi coinvolta nell’ iniziativa promossa da ScalaMedia, corporazione non-profit dei padri scalabriniani negli Usa. TeleMater ha poi ha stretto una partnership importante con Aleteia. Riguardo al visto lavorativo la cosa incredibile è che nonostante le difficoltà che tutti incontrano normalmente, io non ne ho incontrata quasi nessuna. Dopo soli 2 mesi che ero a New York abbiamo trovato il visto, che è arrivato davvero in maniera provvidenziale, e per me è stato davvero un grande segno della volontà di Dio!”.
Come si svolge la tua vita a New York City? Che differenze con le realtà in cui hai vissuto precedentemente?
“Abito e lavoro nel Village, tutti i giorni fino a sera sono occupata con servizi , montaggi, riprese ma trovo il tempo per scrivere sceneggiature per altri progetti e ho in cantiere due libri. New York City ha un ritmo serrato, e il mio obiettivo è dare più valore a ciò che faccio. Sono una donna del Sud e ho vissuto e lavorato in sud Africa, dove tutto è molto più lento e anche difficoltoso se vogliamo, ma dove non manca mai l’attenzione per ciò che si fa. Qui negli Stati Uniti c’ è molta frenesia, sono tutti concentrati sul proprio guadagno e a volte si perde un po’ il concetto che tutti valiamo allo stesso modo. New York è comunque una città straordinaria, dalla grande energia, infinite possibilità lavorative e dalla grande capacità visionaria!”.
Pensi spesso all’Italia?
“Mi manca molto. Quando mi sono trasferita qui ho ricevuto complimenti da amici vicini e lontani…a tutto questo non sono abituata e mi mette quasi in imbarazzo. Non ho mai parlato tanto della mia vita e del mio percorso, perché credo che siano i fatti e gli altri, a dover parlare per noi. l riconoscimenti del paese da cui si proviene e in cui si è nati, è però sempre un’emozione speciale. New York è arrivata dopo un lungo percorso di vita e di formazione, ed è solo l’inizio di una lunga, lunghissima strada. Sento che ho ancora tantissimo da lavorare, crescere, imparare. Ringrazio Dio: Lui è il senso della mia vita, delle mie scelte e del mio lavoro qui. Lui è la mia gioia, il mio talento, la mia energia, e se sono qui lo devo alla sua grazia, unicamente”.
Ci sono state difficoltà nel vivere a New York? Quali sono e come le hai superate?
“Qui prevale l’ambizione professionale, si corre tutti per realizzare i propri progetti ma allo stesso tempo è emarginato soprattutto chi non ce la fa a scalare la vetta della società. Ho notato molta solitudine nelle persone, però sono contenta di poter informare la gente sul fatto che esistono, anche in città, delle realtà pronte ad accogliere ed accettare chi non ha possibilità di farcela da solo. Appena fuori città ho incontrato famiglie di gente che hanno perso il lavoro e che educa i figli in casa e nonostante ciò con loro si respira un’atmosfera carica di positività e fede. New York ha tante facce, ed è bello conoscerle tutte superando i pregiudizi e i luoghi comuni, nel bene e nel male”.
Parlando di religiosità che differenze hai notato con le altre città in cui hai vissuto?
“In Israele e in Sud Italia la vita è molto semplice e scandita dai riti, dal rispetto delle tradizioni, si respira fede in ogni strada, ma spesso questa è una religiosità molto di facciata. A New York invece la fede si trova più raramente, prevale quella nell’ uomo, ma a volte incontrando persone di fede si viene a contatto con un sentire molto consapevole, fondato su un vero incontro con Dio. Sicuramente nel Sud Italia, almeno fino a qualche decennio fa, si veniva educati con alcuni principi di rispetto, come è successo a me, e di questo ringrazio mia nonna! Mi ha insegnato a curare non solo il corpo ma lo spirito, per cui il mio compito in questo luogo è proprio quello di trasmettere un messaggio a chi cerca Dio tra queste strade: Lui c’è e ama tutti allo stesso modo, dal miliardario nel suo attico all’homeless che vive per strada”.