La sua vita si divide in due capitoli: prima e dopo l’Italia. A segnare la linea di confine è la sua infanzia trascorsa a Firenze dove nasce da genitori italiani.Poi il trasferimento negli Stati Uniti voluto dalla madre per seguire il nuovo compagno. In quel dopo, si apre il capitolo America di Carlotta Scotti Pignato.
Adolescenza e maturità in giro per il Paese, dalla East alla West Coast passando per il Midwest. Fino all’approdo ad Atlanta dove vive da venticinque anni insieme al marito con cui è titolare della Tuscan Vineyard Imports che si occupa di import di vini, neanche a dirlo, italiani.
Prima le valigie piene di bottiglie al ritorno da ogni viaggio in Italia, poi la decisione di diventare una sorta di Ambasciatrice del buon vino Made in Italy. E la passione diventa più che un hobby. Del vino le piacciono le storie e il profumo. Grazie al vino è tornata alle sue radici e alla sua identità.
Come è iniziata la passione per il vino?
Ho un master in Storia dell’Arte, studi che in parte ho svolto a Firenze ma dopo qualche tempo mi sono resa conto che l’arte era solo un hobby. Ogni volta che rientravo dall’Italia, il vino mi incuriosiva molto e ne compravo sempre diverse bottiglie. Ho iniziato a studiarlo, ad approfondirlo. Così con mio marito abbiamo deciso di trasformare questa passione in un business.
Come scegli i produttori che volete rappresentare in America?
Sono interessata ai piccolo produttori e alle grandi storie dietro il vino. Mi interessa la qualità non la quantità. Vado a trovarli in cantina, assaggio i loro vini, ascolto le loro storie, chiedo suggerimenti. Nasce così il lungo processo che poi mi porta a scegliere le cantine.
Come è cambiato il mondo del vino negli Stati Uniti?
Dal punto di vista del consumatore c’è più conoscenza e curiosità. Il vino sta dventando sempre più parte della quotidianità degli americani. Si punta sulla qualità, anche se il prezzo rimane un fattore importante nella decisione.
Quali sono i vini che stanno facendo tendenza?
I vini siciliani legati ad uno specifico territorio, autoctoni, come i vini dell’Etna. Le cantine siciliane hanno fatto, anche se con ritardo rispetto agli altri colleghi del Veneto o del Piemonte, un buon lavoro di comunicazione e marketing. Resta ancora tanto da fare per promuovere la specificità di un territorio. Ci sono anche i vini biologici, biodinamici, vini naturali. Anche se per quest’ultimi il mercato è difficile per via della qualità che potrebbe cambiare durante il trasporto.
I vini che ormai non hanno più appeal?
Il Chianti credo sia superato anche perché il consumatore deve capire che, se si trovano bottiglie di Chianti a 9 dollari e a 1.000 dollari, ci sarà pure una differenza.
Il prosecco sembra conoscere un momento di gloria. Ma è vero che sulle bollicine abbiamo battuto la Francia?
Sono due prodotti diversi e personalmente credo che il prosecco rischia di fare la stessa fine del Chianti visto che ci sono bottiglie nello stesso scaffale che si possono comprare a 9 dollari e altre a 90.
Non decollano invece i vini da dessert…
Sono difficili perché costano molto e gli americani non sono abituati a bere un vino dolce dopo i pasti. Anche qui occorre comunicazione e educazione del consumatore.
Quali consigli alle aziende vitivinicole che vogliono entrare nel mercato americano?
Conta molto il packaging, la qualità e soprattutto il rating. Gli americani sono molto attenti al rating di un vino da parte di prestigiose riviste. Le aziende giovani devono puntare sulla particolarità e specificità di un territorio, comunicare la loro storia e la loro tradizione, essere trasparenti con i consumatori.
Il vino che non manca mai sulla tua tavola?
Amo i vini artigianali che raccontano storie. Non ho un vino o una lista di vini in particolare perché credo che sia come quando ti vesti e non vuoi metterti sempre lo stesso abito.
Dall’infanzia ad oggi, come è cambiata l’Italia rispetto ai tuoi ricordi di bambina?
È un paese meraviglioso che ho imparato a conoscere profondamente.