Sono lontani i tempi in cui gli immigrati italiani che arrivavano in America dovevano cercare di integrarsi anche a spese della propria identità culturale. Oggi i nuovi immigrati sono giovani, con un grado di istruzione generalmente alto, e non hanno intenzione di vergognarsi delle proprie origini né di recidere il legame con l’Italia. Professionisti tra i 30 e i 40 anni che si trovano a crescere i propri figli immersi nella cultura americana ma che allo stesso tempo desiderano che i propri ragazzi conoscano l’Italiano e le loro radici storiche e culturali. Per questo il Consolato di New York e l’Italian American Committee on Education (IACE) si stanno impegnando per avviare dei percorsi di studio bilingue all’interno delle scuole pubbliche newyorchesi.
Il 3 aprile un primo appuntamento con educatori, esperti del settore e genitori, per fare il punto sull’importanza del bilinguismo e sulla possibilità di creare a New York una o più classi dedicate al doppio studio della lingua e della cultura americana e italiana.
Tutto ha inizio con un articolo di giornale: quando si dice farsi ispirare da chi fa meglio… Qualche mese fa, leggendo un articolo su un’iniziativa francese per l’avviamento di classi bilingue nelle scuole pubbliche newyorchesi, Lucia Pasqualini, vice console al Consolato Generale di New York, si è detta: “Se lo possono fare i francesi, perché non noi?”. Domanda più che legittima, soprattuto se si considera che in città gli italiani sono molti più che i francesi.
Il passo successivo è stato contattare lo IACE dove il direttore esecutivo Ilaria Costa aveva da poco ricevuto la visita di tre genitori italiani, Marcello Lucchetta, Piera Bonerba e Martina Ferrari, che volevano capire come muoversi per avviare un dual program, a dimostrazione del fatto che non mancano a New York gli italiani tra i 30 e i 40 anni che, costretti a lasciare l’Italia spesso per motivi lavorativi, non vogliono che i loro figli crescano nell’oblio del paese d’origine. E una risposta per queste persone esiste: un programma della città di New York che prevede che una scuola pubblica possa creare una sezione in più da dedicare, appunto, a un programma bilingue. Perché questo avvenga bisogna garantire un numero minimo di studenti.

Ilaria Costa e Lucia Pasqualini
Da qui la necessità di chiamare a raccolta la comunità italiana per sondare il terreno e contare i potenziali interessati: nel giro di pochissimo tempo, Lucia Pasqualini e Ilaria Costa si sono messe al lavoro per organizzare l’incontro informativo in programma per il 3 aprile, alle 18.00, al Consolato di New York. L’incontro, dal titolo I vantaggi del bilinguismo: come creare una sezione bilingue nella vostra scuola pubblica, si svilupperà in diversi momenti. Si inizia con un panel sul bilinguismo: attraverso le voci di genitori francesi, giapponesi e russi che hanno già avuto esperienza con i dual program, verranno analizzati benefici e sfide dei programmi bilingue. Si proseguirà con la prospettiva degli educatori e il punto di vista dei presidi che spiegheranno come va presentata la proposta di avviamento del dual program alla scuola. Interverranno anche il responsabile educazione dell’ambasciata francese, Fabice Jaumont, che ha già avviato questo percorso in più scuole newyorchesi, e Claudia Aguirre, CEO dell’Office of English Language Learners del Department of Education della Città di New York. Infine i tre genitori che avevano inizialmente contattato lo IACE, guidati da Jack Spatola (preside del PS172 di Brooklyn e attivo componente della comunita’ italo-americana in qualità di presidente della FIAO), spiegheranno a chi interessato quali sono i successivi passi per trasformare in realtà il programma bilingue anche per la comunità italiana. I tre genitori hanno già creato un blog attraverso cui intendono raccogliere manifestazioni di interesse, dare informazioni e smistare e coordinare le varie richieste, in modo da poter individuare la scuola giusta nella giusta area. Il tutto, va detto, per l’Italia sarebbe a costo zero perché i dual program sono finanziati dalla municipalità di New York.
“Abbiamo già ricevuto conferma da 165 persone per l’incontro del 3 aprile. Questo dà una misura di quanto l’argomento sia sentito e di quanto sia altro l’interesse – ci dice Lucia Pasqualini – Quello che è importante è capire che in questo processo il coinvolgimento dei genitori è vitale. Bisogna che siano loro a impegnarsi personalmente perché le classi bilingue diventino realtà. E per questo motivo vogliamo creare una piattaforma all’interno della quale i genitori possano organizzarsi”.
L’obiettivo è di partire con un primo programma dall’anno accademico 2015-16, il primo utile per avviare il processo burocratico. La classe sarebbe rivolta a bambini nati nel 2009 e andrebbe dall’asilo alla 5th grade, ovvero fino alla fine delle scuole elementari.
E se quelle 165 presenze confermate all’incontro al Consolato non mentono, sembra evidente che i nuovi immigrati non vogliano percorrere la stessa strada degli immigrati di vecchia generazione i cui figli non hanno mai imparato l’Italiano, né sviluppato coscienza delle proprie origini.
“Magari gli immigrati di nuova generazione non si riconoscono nella definizione di immigrati – dice ancora la vice console – ma è quello che sono e hanno le stesse esigenze di chi arrivava qui 60 anni fa. Credo che per queste persone sia importante, come lo è per me, che i propri figli, quando andranno in vacanza in Italia, siano in grado di parlare con i propri nonni, di farsi capire e capire”.
Un desiderio che non è in opposizione alla voglia di integrarsi, ma che è al contrario, a questa complementare: “La cultura americana è una cultura molto orgogliosa delle origini – conclude Lucia Pasqualini – e in cui ognuno ha un legame con le proprie radici, basta pensare a de Blasio o a Giuliani. Volerle rinnegare è il primo passo per non integrarsi. Inoltre questo coinvolgimento dei genitori nei programmi scolastici è molto americano e, in questa esperienza, sarà indispensabile che i genitori italiani sposino questa abitudine tipica della società americana”.
Non sarebbe la prima volta per un programma bilingue italiano-americano: “Ne esiste uno, avviato proprio grazie alla sinergia tra la comunità italo-americana della zona, il Board of Directors dello IACE e l’associazione dei genitori locali, a New Rochelle, nello stato di New York – ci spiega Ilaria Costa – Il programma conclude quest’anno il primo ciclo ed è stata un’esperienza molto positiva, ma niente del genere è mai avvenuto nell’area metropolitana della città che è poi anche quella in cui la presenza di giovani italiani con figli è maggiore”. E il dual program, che riguarda solo le scuole pubbliche, non sarebbe alternativo a realtà consolidate come la Scuola d’Italia Guglielmo Marconi che è certamente un’importante risorsa per la comunità ma che non tutte le famiglie si possono permettere. Allo stesso tempo i dual program potrebbero fornire un bacino per l’esame AP di Italiano, solo di recente ripristinato e sempre a rischio, a causa di numeri troppo bassi.
“É vero che l’Italia da tempo cerca di puntare sui programmi AP – ci dice il direttore esecutivo dello IACE – ma è anche vero che se uno studente viene da un intero percorso di studi bilingue, l’AP diventa un punto di arrivo automatico”.
Innumerevoli i vantaggi e non soltanto per noi italiani. Anche le scuole che scegliessero di ospitare un dual program avrebbero dei notevoli benefici a partire da un rating più alto, fino a un aumento dei fondi conseguente a un aumento degli iscritti. “E poi i dual program riqualificano tutta la zona perché si portano dietro intere comunità – fa notare Ilaria Costa – Se avviassimo un programma bilingue in una data zona della città è probabile che in quell’area ci sarebbe un aumento della popolazione italiana, con conseguenti vantaggi per le attività commerciali e ricreative. Si tratta di un progetto dalla comunità per la comunità. È un movimento dal basso, grassroots, come si dice in America, che deve venire dai diretti interessati, dai genitori che si devono sentire parte di una comunità”.
Stai a vedere che oltre ai benefici del bilinguismo sull’apprendimento e lo sviluppo del cervello dimostrati da numerosi studi, la creazione del dual progam finisca per insegnare qualcosa anche agli adulti: la necessità del coinvolgimento individuale per il miglioramento della collettività.