New York. Le Alpi. Mondi soltanto apparentemente disgiunti, ma uniti da un unico immenso problema: il clima che cambia. Era settembre 2019 quando all’Onu una giovanissima Greta Thunberg, arrivata al North Cove di Manhattan dopo una traversata oceanica in barca, pregava i potenti del mondo di cambiare rotta. In una città blindata si era parlato, e non per la prima volta, di quel riscaldamento globale con cui abbiamo fatto i conti nell’estate 2022, la più torrida degli ultimi cento anni.
Di clima che cambia, e della differenza dei suoi effetti nei diversi ambienti del mondo, ho parlato con Hervé Barmasse, alpinista di fama internazionale, che non perde l’occasione di parlare di tutela ambientale. Lo fa filmando, fotografando, raccontando, ed anche scrivendo. Sì, perché nato ai piedi del Cervino, ha dedicato un libro proprio alla montagna sulla quale ha mosso i primi passi, quella che ha scalato ormai decine e decine di volte.
Ma non la sola, considerato che ormai ha effettuato imprese alpinistiche ovunque. Hervé, sono così distanti questi mondi? “La montagna, a differenza della città, che è frutto dell’antropizzazione dell’uomo e per questo destinata a sparire, rimarrà a lungo. Credo che sparirà prima la nostra specie umana che la montagna”.
Un ambiente difficile “Sì, la montagna è come la vediamo, un po’ severa e un po’ dura, ma è da preservare. Ne siamo legati in modo indissolubile, perché le acque bianche del pianeta arrivano tutte da lì, dalla montagna. Oggi lo abbiamo capito, è un bene di estrema importanza”.
Sì, l’acqua, quella che la scorsa estate è mancata “tutto quello che vediamo di bianco sta scomparendo. Prima del 2022 si diceva che i ghiacciai sarebbero sopravvissuti soltanto per altri cento anni, adesso i dati sono peggiorati, si pensa a 60 anni. L’uomo deve cambiare atteggiamento, adattarsi alle regole”.
Il suo messaggio è molto simile a quello che Greta ha gridato a New York “Certo, tutto è in qualche modo collegato. Ambiente, natura, vita. La specie umana è come le specie animali, e l’uomo non può isolarsi, fauna e flora devono andare in simbiosi. Arriverà il momento in cui torneremo a guardare la natura che ci circonda con un senso di benessere, ne rivaluteremo i benefici”.
Quello di Barmasse è un pensiero positivo, forse più una speranza, ma c’è ottimismo. “Io penso che l’uomo possa cambiare atteggiamento e porsi dei limiti. Quello che è strano, e che tuttavia non mi spiego, è perché l’Italia, che ha dato le origini a tanti artisti e a una mente come quella di Leonardo da Vinci, non si sia ancora impegnata sulla desalinizzazione dell’acqua, come avviene altrove”.
Secondo Hervé è stato l’ego dell’uomo a rovinare tutto “Bisogna mettere in primo piano il progresso, ma facendo attenzione a non regredire”.
E mentre i ghiacciai si assottigliano, lontano, molto lontano dalle Alpi si cerca protezione dall’innalzamento dei mari e dagli uragani. A New York c’è un piano da 52 miliardi di dollari allo studio delle autorità, una sorta di Mose come quello di Venezia, durata prevista dei lavori 14 anni. Ma è ancora da capire se verrà o meno approvato.
Quel che si sa, invece, è che la Battery Park City Authority ha un altro progetto, che si sta facendo concreto per salvare il quartiere di Downtown Manhattan dalle future inondazioni. Per realizzarla, da agosto sono in corso i lavori che dureranno due anni per alzare il Wagner Park da tre fino a sei metri. Costo dell’opera completa, 630 milioni di dollari.
“Ecco – riflette Barmasse – ma bisogna proprio arrivare a spese così importanti per proteggersi da una cosa di cui siamo anche la causa?”.
Divulgatore, abbiamo detto. Perché l’alpinista valdostano ha sentito forte un’esigenza: comunicare la bellezza e la necessità di tutelarla. Non è il solo ad averla, ma in questo momento è colui che più di altri sta utilizzando differenti mezzi di comunicazione, dai social alla radio, dalle partecipazioni al Kilimangiaro di Rai Tre ai documentari “Devo molto alla montagna, non posso più far finta di nulla, lo vediamo cosa sta cambiando. Io devo dare agli altri ciò che ho ricevuto. Perché la bellezza è qualcosa che appaga tutti e, secondo me, è lì, nella natura più selvaggia, che ne troviamo tanta. È questo di cui l’uomo oggi ha bisogno”.
Ci sono anche rischi, l’ambiente d’alta quota è difficile “Sì, ma succede qualcosa di strano. Quando hai rischiato la vita, guardi la montagna e non pensi più alla roccia, alla neve, al ghiaccio. La montagna diventa un’entità che fa parte della tua vita, come un familiare”.
Hervé cosa pensa invece di ambienti metropolitani, così abituato alla solitudine in quota, al silenzio, ad albe e tramonti da cartolina, a orizzonti infiniti? “Devo dire che oggi vedo le metropoli più affascinanti di un tempo. Nelle grandi città sta cambiando il modo di costruire, la direzione è il green. Il genio dell’uomo piò andare avanti in modo compatibile con lo stile di vita, con fantasia e creatività. E poi mi piace che in grandi parchi cittadini siano tornate a vivere specie rare di animali. Oggi si può guardare il lato positivo della città”.
Di fascino metropolitano ne parla con un sorriso intuibile soltanto dal tono di voce. Perché questa chiacchierata non è stata a tu per tu, ma al telefono. Hervé mi ha parlato da un rifugio. Domani sveglia all’alba, pronto a pestare quel poco di neve fresca caduta. Ricomincia una nuova avventura.