Era un diciottenne solitario Salvador Rolando Ramos, autore della strage nella Robb Elementary School di Uvalde, in Texas.
Vittima di bullismo a causa di un difetto di pronuncia, con una vita familiare difficile e che, nel corso degli anni, si era già scagliato con violenza contro conoscenti ed estranei.
Aveva acquistato le armi pochi giorni prima dell’attacco, appena compiuti 18 anni, e nella sua furia omicida aveva messo in mezzo anche la nonna, ferita gravemente in casa.
A parlare di lui sono alcuni degli amici che Ramos ha lasciato, colpito a morte dalla polizia, in una cittadina con poco più di 16.000 abitanti, quasi tutti latini. Un piccolo centro, dove è normale conoscersi a vicenda.

ANSA/INSTAGRAM SALVADOR RAMOS
Santos Valdez Jr., 18 anni, frequentava Ramos dalle elementari. Erano amici stretti, fino a quando il comportamento del giovanissimo killer ha iniziato a peggiorare.
Giocavano a videogiochi come Fortnite e Call of Duty, ma poi Ramos è cambiato. Una volta, racconta Valdez, si sono incontrati in un parco dove spesso giocavano a basket e lui aveva grandi tagli su tutto il viso. Provò a dare la colpa a un gatto, “Poi mi disse la verità: si era sfregiato la faccia con dei coltelli, più e più volte”.
Colpa del bullismo, dicono, subito per anni senza fiatare. Stephen Garcia, il suo migliore amico in terza media, ha raccontato agli agenti la vita non facile che Ramos era costretto a subire a scuola: ”Veniva preso di mira duramente, da molte persone. Sui social media, per strada, ovunque”.
Anni passati con così tanta sofferenza da avergli persino cambiato lo stile, oltre che l’umore. A un certo punto, Ramos iniziò a vestirsi completamente di nero, a indossare grandi stivali militari e farsi crescere i capelli. Alle superiori saltava spesso lezione e non era sulla buona strada per diplomarsi in tempo.

“Non era una persona molto socievole da quando aveva iniziato ad essere vittima di bullismo per la balbuzie – ha detto Mia, cugina di Ramos – penso che non si sentisse più a suo agio a scuola”.
E questo disagio trasformato in violenza, nel tempo si era fatto sempre più evidente. Valdez ha raccontato di come, a volte, Ramos andasse in giro di notte con un amico a sparare alle persone con una pistola a pallini.
Circa un anno fa, poi, il post sui social media che ha messo molti sull’attenti: foto di armi automatiche che “avrebbe avuto nella sua lista dei desideri”.
Quella lista alla fine l’ha esaudita. Due fucili gli sono bastati per uccidere diciannove bambini e due insegnanti, sconvolgere Uvalde, gli Stati Uniti e il mondo intero. I nomi di chi è morto sotto i colpi di Salvador Rolando Ramos hanno iniziato a circolare da poco.

L’educatrice Eva Mireles, che aveva dedicato gli ultimi tempi a uno studente con sindrome di Down, Angel Garza, 10 anni, che con i suoi balletti e i suoi scherzi illuminava la casa della famiglia. Xavier Lopez, anche lui in quarta elementare, che aveva appena ricevuto dalla maestra il diploma d’onore per meriti scolastici.
L’ultima persona a parlare con Ramos prima della sparatoria è stato Valdez. Si sono scritti un paio di messaggi su Instagram, parlando scherzosamente della scuola.
“Ero a lezione di algebra – racconta invece Stephen Garcia – quando ho iniziato a ricevere una serie di messaggi con la notizia di ciò che era accaduto a Uvalde. All’inizio non ci ho creduto. Ho cercato su Google e ho visto il nome di Ramos. Non riuscivo nemmeno a pensare, non riuscivo a parlare con nessuno. Sono uscito dalla classe sconvolto, con le lacrime agli occhi”.
“Penso avesse bisogno di aiuto psicologico – ha concluso – di un legame più forte con la sua famiglia e di amore”. Un amore che non ha fatto in tempo a trovare.