Il 23 luglio del 1993, Raul Gardini forse si suicidò. E pensare che solo il 7 giugno aveva appena compiuto 60 anni. Sulla scena c’era una vecchia Walter Ppk 7, 65, una pistola semiautomatica di fabbricazione tedesca, resa nota soprattutto dai film di James Bond, l’agente 007. Probabilmente sapeva che poche ore dopo sarebbe stato arrestato. Era nella sua residenza meneghina, il famoso Palazzo Belgioioso ed era lì che, pochi giorni prima, aveva saputo del suicidio di Gabriele Cagliari, ex presidente dell’ENI.
La domanda principale è: poteva un uomo con quella tempra suicidarsi?

E se la riposta fosse stata affermativa, perché la sera prima aveva convocato i suoi legali, Giovanni Maria Flick e Marco De Luca, oltre al figlio Ivan e la moglie Idina, per gestire il “dopo” delle aziende?
Attesi come fossero delle star, arrivarono a Palazzo i sostituti procuratori Di Pietro e Greco che vennero accolti, come era d’uso in quel periodo, con un forte applauso da una valida rappresentanza di “italiani” accorsi sul posto: figli, o molto più probabilmente nipoti, di quegli stessi italiani che il 25 aprile di qualche decennio prima si erano scoperti anti fascisti quando, fino a poche settimane prima, scendevano in piazza al grido di “Duce, Duce!”.
Il solito popolo che non faceva mai i conti con la storia ma, soprattutto, con se stesso.
Il gruppo Ferruzzi-Montedison di fine anni ’80 era una grande holding italiana con una enorme e formidabile presenza in campo internazionale e una leadership sul proscenio mondiale in molti campi. In primis l’Eridania, che produceva zucchero e a cui affiancò la francese Beghin Say, costituendo così un colosso come Eridania-Béghin Say nel settore alimentare nonostante la forte opposizione esercitata in molti modi dal presidente francese Valery Giscard d’Estaing.

Per non parlare della Novamont, che stava progettando proprio su spinta di Gardini le plastiche biodegradabili mettendo in commercio già nel 1992 i primi sacchi biodegradabili.
Il suo primo grande successo fu quello che definì la “rivoluzione verde”, introducendo in Italia la coltivazione della soia già nel 1981 e come non citare l’operazione etanolo che previde, nel 1985, la produzione del bioetanolo come carburante, mettendo a frutto le eccedenze di cereali.
Poi c’è stata Erbamont, che all’epoca produceva ottimi farmaci antitumorali e, a seguire, la Fondiaria Assicurazioni, la Selm nel campo dell’energia, la Himont nel polipropilene, un polimero termo plastico con un’ottima resistenza termica e all’abrasione. L’Ausimont S.p.A. forte nel settore della produzione e della commercializzazione degli ausiliari chimici per l’industria, la Tecnimont capace di progettare e costruire impianti industriali.

Alla fine degli anni ’80, il gruppo Ferruzzi contava più di 100.000 dipendenti e circa 500 impianti sparsi in tutto il mondo: un vero gigante che l’Italia, nel suo complesso, ostacolò ed osteggiò, facendoci perdere l’occasione storica di diventare il centro mondiale della bio economia.
Con questo non si vuole rappresentare Gardini come un santo, che, dovendo navigare in un mare di squali bianchi, altro non poteva fare se non adeguarsi al motto pertiniano: “a brigante, brigante e mezzo!”
In un recente libro dal titolo dal titolo L’uomo che inventò la bioeconomia: Raul Gardini e la nascita della chimica verde in Italia, Mario Bonaccorso ripercorre in modo documentato la nascita e lo sviluppo del progetto di integrazione tra chimica e agricoltura, che era al centro delle strategie di quello che diventò uno dei maggiori gruppi industriali europei: Enimont. Un progetto che prefigurava con 30 anni di anticipo quelli che oggi sono posti come indirizzi obbligatori per la sopravvivenza dell’economia europea: bio economia, economia circolare, chimica verde, materiali biodegradabili basati sull’utilizzo di materie prime rinnovabili da scarti e sottoprodotti dell’agroindustria.