È un brutto momento. Anche gli “sboroni” (o burini, gradassi, fighi, sbruffoni, a seconda delle aeree geografiche) sono chiusi per Covid. Fra le tante cose che non si possono più fare liberamente, che non ha più senso praticare, c’è anche questa. Uomini e donne, senza distinguere, non possono più applicare alla vita quotidiana il loro aspetto, scelto e misurato davanti allo specchio, per sembrare “fighi”, termine inventato da pochi anni, bruttissimo, ma che rende l’idea.
Non c’è bar, non c’è ristorante, non c’è ritrovo dove ostentare il sigaro sul lato della bocca (con la mascherina è infumabile e anche se lo fosse dopo hai per tutto il giorno un impacco di odore di sigaro che ti entra nell’anima). La scarpa quadra non viene più notata, la voce roca volutamente arrogante non viene ascoltata perché o parli da solo o buonanotte. Perfino la passeggiata della domenica mattina con la tuta e la scarpa da tennis da trasandato sportivo non ha più quell’impatto che ti fa dire, guardandolo: “Però, quello chissà che notte di fuoco ha passato”. Anche perché di notte non ti puoi avvicinare a nessuno, c’è il coprifuoco di baci e di abbracci. E poi hai voglia di scegliere la mascherina più bella, più originale. Con la mascherina siamo dei musi neutri, per giunta a punta, con dentro degli aliti da dromedario dopo un mese che non beve. Niente da fare.
L’uomo poi, rispetto alla donna, è penalizzato anche dal fatto che il suo sguardo, sopra alla mascherina, non sempre è bellissimo, azzurro, profondo, sexi. Più spesso è grigio topo. E allora sei chiuso per Covid caro “sborone”. Così come la tua controparte femminile. La “burina” che scende dal Suv con fare imperiale, tacco alto, leopardo sulle spalle e criniera leonina, non c’è più. È distanziata dal mondo degli sguardi, perché anche lei è penalizzata dal fatto che non si può più truccare, tutt’al più gli occhi. Il suo fondotinta è un pastone disegnato sulla mascherina, se va a prendere un caffè non può sedersi che le amiche o le altre mamme, dando voluttuosi tiri con la sigaretta o pippando la Icos come un ciuccio. Deve farlo in asporto. Fuori dal bar, col bicchierino di carta in mano e il tovagliolino che pende tristemente di lato, fra due dita senza smalto.
La categoria è veramente in crisi. Basta che non chiedano ristori. Sono “chiusi” e basta. Verrà anche per loro, un giorno, un’altra primavera. Ah, a proposito: anche con un vaccino non guariscono.