Abbiamo raggiunto e avuto l’onore di parlare con la voce italiana che meglio sa raccontare dei ragazzi e dei bambini con difficoltà e disabilità, di come stanno affrontando il periodo pandemico, quali le problematiche e i giusti provvedimenti che andrebbero valutati e messi in atto per rendere il loro presente protetto e la loro crescita solida, perché il contagio da Coronavirus è anche un contagio emotivo, da non sottovalutare.
Tutto questo ce lo ha spiegato il Professore, Direttore della Scuola di Specializzazione in Neuropsichiatria Infantile dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e Responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma dal 2007. Ha svolto periodi di ricerca presso istituti esteri accreditati scientificamente, come il Center for Research in Language of the University of California di San Diego o l’Institute for Basic Research in Developmental Disabilities di New York ed è membro di numerose società nazionali ed internazionali come la Società Italiana di Neurologia, la Società Italiana di Neuropsicologia, la Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile, la Società Italiana di Terapia Cognitivo Comportamentale, la International Association for the Study of Child Languages, la International Society of Infant Study e della American Association on Mental Retardation. Inoltre, è membro dello Special Interest Research Group on Aging and Intellectual Disability dell’International Association for the Scientific Study of Intellectual Disability. Autore di numerosi libri in italiano e in inglese, svolge da più di trent’anni attività clinica e di ricerca sui disturbi del neurosviluppo, psicopatologici e dell’apprendimento in età evolutiva.

La nuova variante del Covid-19 sembra essere tra il 10% e il 60% più trasmissibile rispetto alla versione originale. Ciò significa che può aumentare la quantità di virus che le persone infette portano nel naso e nella gola, il che a sua volta aumenterebbe la probabilità che infettino gli altri attraverso la respirazione, il parlare, lo starnuto, la tosse e così via. Nei prossimi mesi è importante come azione di contrasto ridurre la diffusione del virus, attraverso una combinazione di mascheramento, allontanamento sociale e test estesi. Questi sono gli sforzi che possono ridurre il carico di lavoro e, per estensione, i decessi, più rapidamente di quanto possa fare una campagna di vaccinazione di massa. Sembra che nei bambini questa mutazione sia più trasmissibile, e dato che hanno maggior difficoltà per loro natura a mantenere distanze e mascherine, pensa che tra di loro possano diventare trasmettitori maggiormente attivi?
“È un aspetto preoccupante e poco conosciuto. Se vogliamo guardare il bicchiere mezzo pieno i bambini hanno una minore gravità nel manifestare la sintomatologia da Covid, tant’è che la mortalità al di sotto dei 15 anni è più bassa rispetto ad altre fasce di età. Non sono tanto i bambini a infettare gli adulti quanto il contrario, nelle scuole il contagio è molto ridotto, secondo i dati che emergono le vie di contagio principali sono gli affollamenti non protetti, mentre la scuola consente un utilizzo di strumenti di garanzia e tutela molto più controllato di altri ambienti. Gli adolescenti che ricovero non solo con autismo, ma con disturbo psicotico o schizofrenico, fanno molta fatica a mantenere un distanziamento. Contemporaneamente altri gruppi di pazienti, come i depressi e i fobici sociali, sono bravissimi. Anche gli autistici ad alto funzionamento sono osservatori di regole indefessi, è opportuno distinguere, è più facile generalizzare e ridurre la complessità di un tema come questo così complesso. Il singolo paziente e la singola famiglia si muovono in modo diverso. Non dobbiamo essere portati a scegliere per una sorta di categoria che categoria non è, perché la variabilità è molto alta”.
Nei bambini con disabilità, autismo, ritardo mentale, la quarantena in molti casi ha esasperato aspetti comportamentali come l’aggressività o l’iperattività. Ma i ragazzi con autismo ad alto funzionamento, amano stare per conto proprio, la parola “autismo” deriva dal greco, e il suo significato letterale è proprio “stare soli con sé stessi”, per loro è una situazione al contrario rassicurante? Questo comporta che con il ritorno ai ritmi di vita più consueti, faticheranno più di altri?
“Con il primo lockdown abbiamo avuto modo di verificare che per alcuni pazienti con diagnosi molto particolari, come gli autistici ad alto funzionamento, ma anche i fobici sociali (coloro che hanno l’angoscia di trovarsi in posti affollati), il lockdown è stata una benedizione, perché si sono trovati a loro perfetto agio, quella condizione ha esaltato la loro sintomatologia. Il problema è stato ricondurli nella vita di relazione quando l’allarme è cessato, alla fine della prima ondata, perché è stato rinforzato un comportamento che però in condizioni di normalità non è funzionale, ma disfunzionale. Hanno faticato di più e stanno faticando di più. Lavorare sulle relazioni per le persone autistiche (l’isolamento sociale è un elemento disfunzionale per loro, li invalida) è qualcosa di difficile con la chiusura così marcata. Noi abbiamo visto bambini autistici migliorare nel primo lockdown, e questo deve farci riflettere sulle terapie che utilizziamo per loro. Funzionavano di più soprattutto perché i genitori erano sempre presenti, e quindi avevano una stimolazione più diretta da figure di riferimento più stabili e anche emotivamente più positiva per alcuni, per altri è stata una tragedia. Abbiamo fatto una Survey su tutti i nostri pazienti psichiatrici e ci siamo accorti che una quota non del tutto irrilevante, il 12% è migliorata nel corso del lockdown. Un altro aspetto poi che nei disturbi mentali impatta molto è l’uso di sostanze, e nel primo lockdown gli adolescenti hanno avuto difficolta a comprare sostanze stupefacenti e anche questo fattore ha avuto un effetto positivo. I motivi possono essere molteplici ma in alcuni casi c’è stato un miglioramento”.
Molte sono le difficoltà che i bambini e i ragazzi con Sindrome di Down e le loro famiglie hanno avuto dal momento che sono stati chiusi tutti i centri riabilitativi e socioeducativi, che hanno portato ad un arresto totale di tutta la vita di relazione che per loro è importantissima; questi luoghi e soprattutto la scuola, infatti non hanno solo una funzione didattica, ma è luogo di relazioni positive e ammortizzatore di tensione. È il luogo dove si costruisce l’identità. Quali sono gli effetti di queste chiusure a lungo termine?
“Io ho preso posizione pubblicamente sulla necessità che la scuola rimanesse aperta anche nel primo lockdown, è stata con leggerezza valutata la necessità di chiuderla e oggi sappiamo appunto che il virus non viaggia moltissimo all’interno delle scuole, ma molto di più su tutto ciò che circonda la scuola. La scuola è relazione, è il luogo dove i ragazzi imparano a relazionarsi con gli altri, dove apprendono il valore delle proprie emozioni e le relazioni con i coetanei, noi impariamo e scopriamo chi siamo proprio nel confronto con gli altri. Nella stragrande maggioranza dei casi, la chiusura delle scuole è stata una tragedia, e l’impatto che tutto questo sta avendo sugli adolescenti lo scopriremo negli anni a seguire, sarà lunga la fase di recupero. Questo è il mio timore e quello di molti psichiatri dell’eta evolutiva. Non è certamente un aspetto generalizzabile a tutti, in molti casi è stato un vantaggio, ma ci sono casi che finito il lockdown si fa fatica a tirare fuori casa, i ragazzi che si chiudono nelle stanze e non vogliono uscire nel lockdown stanno benissimo, il problema è che dobbiamo tirarli fuori dalle loro stanze perché la vita di relazione è un aspetto rilevante della qualità di vita di ciascuno”.
Si parla poco dei ragazzi con disabilità e in questo contesto non hanno ricevuto adeguata attenzione, molti genitori dei bambini autistici e con sindrome di Down parlano di forte regressioni. Il lavoro terapeutico e di accompagnamento è possibile in parte svolgerlo a distanza? Lo schermo virtuale è nemico o amico dei ragazzi speciali?
“Con un 50% dei casi abbiamo continuato la terapia a distanza con effetti positivi, è una buona notizia in parte, certo in alcune situazioni, come per i bambini piccoli autistici, i genitori sono stati trasformati in terapisti o terapeuti, e questo non è un male perché le linee guida sull’autismo invitano affinché ciò avvenga. Quello che forse è mancato è che non c’è stato un coordinamento, ognuno ha improvvisato in base alla sua esperienza e buona volontà, il terapeuta più sensibile ha continuato anche a distanza, però mi sembra che sia mancata una regia. Polemizzai con il Sottosegretario nel periodo di marzo, perché nella task force riunita al Ministero dell’Istruzione, c’erano tutti meno che i rappresentanti delle associazioni dei ragazzi con difficolta e disabilità. Poi con la riapertura delle scuole nella seconda ondata si è scelto di far andare i ragazzi con disabilità, lasciando a casa tutti gli atri, e anche questo porta al rischio di farlo diventare un altro ghetto. La scuola è un luogo di relazione, la si può svolgere anche poche ore al giorno, se il problema è l’affollamento, ma non porsi il problema mi è sembrata una disattenzione grave”.
L’obbligo del distanziamento sociale ha privato, in modo inappellabile, le persone con disabilità intellettiva delle loro peculiarità più gratificanti e preziose: l’espressione della loro affettività, la necessità di abbracciare, di un contatto fisico, spesso unico canale espressivo e comunicativo, compromettendo ulteriormente i loro limiti e disagi. Ci sono dei canali alternativi, cuscinetto, che riescono per loro in questa nuova normalità a sopperire queste mancanze?
“Quello che noto è che tutto è calato sopra i genitori, questi si fanno carico di tutto. Famiglie già provate si trovano a fare i terapeuti, insegnanti. Anche su questo avremmo potuto fare di più con gli insegnanti che sono terrorizzati nell’andare a scuola e potersi ammalare, magari avremmo potuto fare dei corsi per spiegare loro che si il Covid si prende, ma ci si può difendere. La percezione da parte di chi ha responsabilità educative è fuori controllo tanto da diventare una lotta corporativa degli insegnanti, ma nessuno si mette dalla parte dei bambini”.

L’uso delle mascherine è particolarmente impegnativo, per bambini e ragazzi con disabilità intellettive soprattutto perché hanno problemi di elaborazione sensoriale che rendono difficile per loro tollerarle sul viso. Una disabilità intellettiva di per sé non è un fattore di rischio per Covid-19, ma i bambini con disabilità dello sviluppo spesso hanno altre condizioni mediche di base che potrebbero esserlo. Inoltre, uno studio pubblicato sul Journal of American Medical Genetics suggerisce che tra le persone più vulnerabili a Covid-19 vi siano coloro che hanno la Sindrome di Down. Serviranno altre analisi per saperne di più, ma intanto gli autori del lavoro evidenziano che alcune caratteristiche della sindrome (come l’essere associata a problemi della risposta immunitaria e l’invecchiamento precoce segmentale) potrebbero spiegare la maggior fragilità dei pazienti. Qual è la sua esperienza a riguardo rispetto i mesi pandemici che stiamo vivendo?
“Questo è il motivo perché insieme a una serie di ricercatori italiani che si occupano di Sindrome di Down e alcuni colleghi, abbiamo firmato un appello affinché abbiano precedenza per la vaccinazione. In questi mesi noi non abbiamo ricoverato ragazzi, c’è stato un caso in tutto l’ospedale di un malato Covid con Sindrome di Down, mediamente tra l’altro sono molto bravi a osservare le regole, molto di più di alcuni adolescenti privi di disturbi mentali, ma assolutamente irresponsabili. Forse potremmo considerare tra i cittadini che hanno maggiore diritto a essere vaccinati per primi quelli che hanno meno risorse mentali, dato che sono maggiormente esposti proprio per la loro difficoltà a cogliere il pericolo che può derivare da alcuni comportamenti atipici e metterli in sicurezza”.
Uno studio ampiamente citato del 2010 ha scoperto che le madri di bambini con autismo avevano livelli di stress simili a quelli dei soldati in combattimento. Questo è particolarmente vero soprattutto quando i bambini hanno comportamenti provocatori. Secondo un rapporto dell’American Psychological Association pubblicato a maggio, nel periodo pandemico, i livelli di stress di famiglie con presenza di disabilità, segnalano livelli di stress vertiginosi superiori a quelli riportati del 2019. Le crisi mentali del nucleo familiare quanto influiscono sull’equilibrio delle crisi del bambino con spettro autistico?
“Moltissimo. Questa è un’osservazione che non ha a che fare solo con l’autismo, sono Primario di un reparto di Neuropsichiatria Infantile e siamo associati a un grosso pronto soccorso, abbiamo otto posti letto dedicati alla psichiatria, che possono sembrar pochi ma in Italia non arriviamo a 100. Io non ho mai ricoverato come in questo periodo e non ho mai avuto tanti tentativi di suicidio in adolescenti come in questo periodo, c’è stata un’impennata che ancora non so quantificare, ma per settimane ho avuto reparti e gli otto letti tutti occupati da tentativi di suicidio, non era mai accaduto. Gli adolescenti sono la fascia più debole. L’autistico ad alto funzionamento ubbidisce a queste stesse regole, ad esempio il rischio suicidario tra gli autisti ad alto funzionamento è alto, arriviamo al 19%. Questo per dire che la crisi sociale che si accompagna al Covid, la stanno pagando molto gli adolescenti”.
Cosa succede nella testa si un ragazzo autistico e di un ragazzo con Sindrome di Down in pandemia? Quali le conseguenze a lungo termine e su cosa lavorare per mantenerli in equilibrio clinico?
“L’aspetto fobico, lo stress sociale che percepisce, la preoccupazione diffusa e l’allarme che vive in famiglia, impatta come i nostri dati ci dicono, in modo rilevante su di loro. Il primo fattore che gli adolescenti percepiscono, è l’alto stress sociale e poi non hanno ammortizzatori, come gli amici. Le relazioni virtuali che invadono molto il loro tempo non sono equivalenti a quelle sperimentate direttamente. In questi casi la psicoterapia è importante perché comunque è uno spazio di relazione positivo, in cui l’adolescente può parlare e trovare motivazioni sulla base cognitiva della propria conoscenza, per poter sviluppare risorse e strategie per andare avanti. Ad esempio, è importantissimo per un ragazzo andare a scuola e fare un tema sul Covid, raccontare le proprie esperienze e confrontarsi. Questo aspetto è mancato insieme ad altri fattori che influiscono, come il vivere una condizione di stress ripetuto che spesso si accompagna all’alterazione dei ritmi del sonno, e la mancanza di cuscinetti sociali, che sono le relazioni. Nelle famiglie altamente disfunzionali, la scuola presenta per i ragazzi l’unica possibilità. Come per la violenza sulle donne, la situazione del lockdown amplifica le situazioni difficili. In alcune famiglie ci sono situazioni critiche e la presenza di una disabilità mentale rende tutto ancora più esplosivo”.

Le confido che una delle mie più care amiche, è una ragazza affetta dalla Sindrome di Down, per gli impedimenti pandemici, quest’anno non ho potuto partecipare in presenza al suo compleanno, si è molto offesa, nonostante abbia cercato più volte di farle comprendere i motivi e non mi ha parlato per due settimane. Cosa succede nella testa di un ragazzo autistico e nel caso di specie di una ragazza con Sindrome di Down in pandemia? Hanno una percezione ovattata del reale e non avvertono il pericolo?
“Dipende dalle gravità, spesso i ragazzi con disabilità mentale vivono l’immediato e il qui e ora, non fanno conseguenze sull’agire, è la loro difficolta per eccellenza. Molti ragazzi dimostrano un grandissimo senso della responsabilità, molti genitori mi riportano che vengono richiamati dai figli sullo scarso rispetto delle norme, ma anche con un aspetto fobico, molto egoistico e non solo altruistico”.
Lei è in continua relazione con bambini speciali che sanno essere una risorsa continua di gioia autentica e inaspettata. C’è stato un incontro che in questo tempo così sciagurato le ha saputo riempire il cuore? Dove vede per loro la luce nel futuro pandemico?
“In realtà il mio ospedale pediatrico non ha avuto questo forte impatto con il Covid, come in altri ospedali italiani, in pediatria ce la siamo cavata discretamente, non c’è stata questa forte risonanza, e quindi la mia particolare esperienza è più legata all’aumento dei casi psichiatrici che sono elevati, l’impressione è che c’è una grande disperazione che colpisce gli adolescenti che sono soli, questo è quello che loro riferiscono. Si tagliano, tentano il suicidio, si strafanno finche possono e questo è un elemento che sfugge ai più e a una fetta della popolazione non solo importante. Loro sono il nostro futuro, la prossima classe dirigente. In qualche modo questo è un paese che ha privilegiato quelli della mia generazione e ha svantaggiato molto le nuove. Anche ora, c’è una grande libertà per i più grandi e meno per i giovani, è vero che sono irresponsabili, perché è tipico dell’adolescenza considerarsi immortali e invincibili, però c’è anche qualcosa che non torna, altrimenti non sarebbe il paese dei vecchi che siamo”.
Qual è il consiglio che oggi darebbe a un giovane?
“Di contare sempre sulla vita di relazione, di trovare degli amici preziosi, anche in famiglia se ce la fa, di non arrendersi e di costruire delle relazioni positive. Questo è il mio consiglio che darei a chiunque, il benessere mentale c’è se abbiamo delle buone relazioni, questo è l’elemento che ci salva, le amicizie, l’amore e soprattutto di viverle e di non guardarle attraverso uno schermo. Il problema è di evitare che questo messaggio non passi come una predica altrimenti allontana e si rischia il comportamento contrario”.
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