Chissà se è una leggenda. Piace, comunque, credere che sia davvero accaduto. Si racconta che la Titanus, storica casa cinematografica italiana cui dobbiamo una quantità di capolavori, nei primi anni ‘ 60, abbia offerto a Mario Soldati di dirigere un film “Gattopardo”, di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. “No”, risponde Soldati,e spiega: “Non conosco abbastanza a fondo la Sicilia e i siciliani”. Stesso “no” qualche anno dopo, a Emilio Segrè: gli suggerisce di scrivere, sulla base delle notizie in suo possesso, un racconto a cavallo tra la storia e l’immaginazione, sulla scomparsa di Ettore Majorana. Soldati indica chi meglio di lui può occuparsene, ritenendolo perfetto per la storia: Leonardo Sciascia. In effetti Sciascia ne ricava, qualche tempo dopo, uno dei suoi libri più belli.
Soldati non fa il nome di Sciascia per caso: per lui, torinese e sabaudo fino al midollo, Sciascia e’ una vera e propria bussola all’interno della cultura siciliana’.
Il rapporto tra i due scrittori risale primi anni ‘50: Sciascia recensisce i tre racconti di “A cena col commendatore”. Soldati valuta Sciascia uno dei migliori narratori italiani del secolo, il perfetto narratore siciliano, quello più affidabile: su “Il Giorno” pubblica una entusiastica recensione a “Il giorno della civetta”, contrapponendo il romanzo a “Divorzio all’italiana” di Pietro Germi, ritenendo la denuncia di Sciascia molto più attuale del pur fortunato film. Negli anni Ottanta, Sciascia scova e ristampa per Sellerio un libretto uscito cinquant’ anni prima sotto pseudonimo, “24 ore in uno studio cinematografico”. In una raccolta di interventi sparsi (“Fine del carabiniere a cavallo. Saggi letterari 1955-1989”, Adelphi), Sciascia “dipinge” una galleria di “irregolari”, refrattari a congreghe e combriccole “corrette”: da Alberto Savinio a Vitaliano Brancati, da Leo Longanesi a Giuseppe Antonio Borgese; e, per l’appunto, Soldati: rappresenta qualcosa che “e’ sulla soglia della felicita’…questo e’, esattamente definito, il mio sentimento di lettore, da quando, per la prima volta su “Il Mondo” di Pannunzio, lessi un suo racconto”.
Perché questi aneddoti? Vent’anni fa, in questi giorni (il 19 di giugno, per l’esattezza), Soldati muore: e con lui viene meno un personaggio straordinario, unico: gran giornalista; grande scrittore; grande regista… autore di programmi e inchieste televisive che hanno fatto epoca; al di sopra della politica politicante, ma ugualmente animato da spirito civile, partecipe, appassionato, sia pure con sguardo ironico, divertito e disincantato…
Il 25 luglio del 1943, quando cade il regime fascista, l’articolo di fondo su “Il Messaggero” “Per la patria” (“…Occorre far fronte con profonda consapevolezza ad una situazione di cui tutti comprendono le minacce, i pericoli, le difficoltà immani…”), lo scrivono Mario Pannunzio e Arrigo Benedetti; ma mentre i due lo battono a macchina, attorno ci sono con spunti e suggerimenti, Leo Longanesi, Ennio Flaiano, e, appunto, Soldati: i sodali e gli amici di sempre, insomma).
Nato a Torino il 17 novembre 1906, Soldati quella città l’ha nel sangue. A Torino cresce, studia, si forma: l’Istituto Sociale dei Gesuiti, ha per lui una importanza fondamentale. Per qualche tempo accarezza anche l’idea di entrare nell’ordine; per poi giungere a una sorta di personalissima fede che riesce a conciliare con la visione razionalistica; tutto questo chiaramente si riflette e traspare nella sua produzione letteraria. Sempre a Torino le grandi amicizie: Piero Gobetti, Felice Casorati, Riccardo Gualino, Mario Bonfantini, Giacomo Debenedetti, Carlo Levi, Giacomo Noventa, Agostino Richelmy… Poi, in anni piu’ maturi, la felicita’ di essere tra i fondatori del Centro intitolato a Mario Pannunzio, presidente per un ventennio.
Per queste ragioni fugacemente trattate (ma tante altre se ne possono citare), Soldati merita un posto particolare nella nostra ‘memoria”, nella storia della nostra cultura; anche se non sappiamo se e come la sua città, la sua regione, il suo stesso paese lo ricorderanno, e come. Dice qualcosa il fatto che il recente salone del Libro a Torino poco o nulla abbia dedicato a Soldati; e il pochissimo lo si deve a Pier Franco Quaglieni: infaticabile direttore del Centro Pannunzio, e di Soldati amico e grande estimatore.
Proprio a Quaglieni si deve un libro che merita, importante: “Mario Soldati, la gioia di vivere”, Golem edizioni (316 pagine, 20 euro). Libro “leggero” e al tempo stesso denso, costituito da preziosi saggi e testimonianze: di e su Soldati ragionano e scrivono oltre lo stesso Quaglieni, pesco qua e là: Giorgio Barberi Squarotti, Mario Baudino, Guido Davico Bonino, Lorenzo Mondo, Bruno Quaranta, Mara Pegnaieff, Arrigo Petacco, Raffaello Uboldi…e mi scuso per i non citati, ma sono davvero tanti, gli autori.
Conviene interrogarsi come anche per Soldati si consumi una sorta di schizofrenia: molto amato dalle persone comuni, e ricordate le sue animate apparizioni gastro-televisive, i suoi “I racconti del maresciallo”, le sue sapide cronache sportive, la passione per i sigari toscani, e il gusto (la gioia, appunto) del buon cibo. Per contro una certa schifiltosità della critica laureata: quella dei dotti di molta nozione e poco sapere.
Annota Quaglieni, nell’introduzione: “Forse non e’ piaciuto a certa critica proprio perché sfuggiva agli schematismi semplicistici, alle sintesi generiche e confuse. E’ stato un anticonformista per natura e per scelta. Uno degli aspetti che da sempre mi colpi’ in lui era il gusto appassionato per tutta la vita e la volontà, spesso turbata da dubbi e contrasti morali, di godersela avidamente in tutte le sue espressioni…”. E ancora: “…Soldati è stato come un destriero che non ha mai sopportato ne’ morso, ne’ briglie. Egli è stato ed ha voluto sempre rimanere un uomo libero, senza condizionamenti di sorta…”.
Per Soldati vita e letteratura finiscono per identificarsi: tra Pascal e Montaigne, socialista umanitario e liberale: per lui valgono i sentimenti umani, non le ideologie. E’ evidente, “natural” che un tipo con gusti cosi’ radicali non sia popolare, sia guardato con sospetto e diffidenza.