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Gabriele De Feo, il colonnello italiano a Kabul con la passione per il podismo

Nel settembre 2018, lo Stato Maggiore dell’Esercito lo invia in Afghanistan, a Kabul, nell’ambito della Missione Resolute Support della NATO

Vincenzo PascalebyVincenzo Pascale
Gabriele De Feo, il colonnello italiano a Kabul con la passione per il podismo

Gabriele De Feo.

Time: 4 mins read

Tra Salerno e Kabul (Afghanistan) corrono 6283 Km. A Kabul è approdato il colonnello Gabriele De Feo, Ufficiale dell’Esercito Italiano, salernitano doc, classe 1968, Accademia militare di Modena (1988-1990). Già delegato nazionale del Ministero della Difesa presso diversi comitati NATO. Nel settembre 2018 lo Stato Maggiore dell’Esercito lo invia in Afghanistan a Kabul per ricoprire l’incarico di senior advisor presso il Plans and Policy Department del Mod nell’ambito della Missione Resolute Support della NATO, una Non Combat Mission voluta dai vertici della NATO a partire dal luglio 2015.

Il colonnello De Feo è un podista a tutto tondo. Fondatore dell’Associazione Sportiva Dilettantistica (ASD) “42Kappa Running Team Salerno”. “Attualmente i soci sono 40 – sottolinea il Colonnello De Feo – e quasi ogni fine settimana un gruppo dei 42Kappa è impegnato in qualche gara”.  “A 42Kappa non piacciono l’intolleranza, il razzismo, il doping, il fanatismo, l’emarginazione e il senso di solitudine. Lo sport deve essere un bene per tutti e di tutti, e soprattutto per tutte le età!”.

Colonnello De Feo, ci parli del suo lavoro a Kabul.
“Lo scopo della Missione Resolute Support è contribuire all’addestramento, assistenza e consulenza a favore delle istituzioni afghane e delle Forze di Sicurezza locali, per fare in modo che esse possano conseguire un’autonoma capacità di difendere il proprio Paese e garantire la sicurezza ai propri cittadini. In quest’ambito, io fornisco il mio contributo: faccio parte di un gruppo di consiglieri militari (advisors) provenienti da diversi angoli del mondo (sono ben 41 i Paesi che partecipano alla Missione Resolute Support). Siamo diretti da un Generale Americano e lavoriamo nell’ambito del Dipartimento che nello Stato Maggiore della Difesa Afghano elabora la politica militare e la pianificazione generale per gli anni a venire. Tra i miei compiti c’è quello di affiancare il Generale dell’Esercito Afghano che dirige il Dipartimento e i suoi diretti collaboratori agendo così da Ufficiale di collegamento tra la NATO e lo stesso Ministero”.

Come nasce la sua passione per il podismo?
“Posso dire di aver sempre corso, per mantenermi in forma e mantenere i requisiti per essere un buon soldato, ma anche per allenarmi alla pratica del calcio. Poi nel 2006, mentre ero a Vienna in qualita` di Advisor presso l’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e Cooperazione in Europa), partecipai alla mia prima maratona, quella volta come staffettista, correndo la sezione di 16 km. Mi innamorai della corsa per l’atmosfera straordinaria che si era creata tra tutti i partecipanti. Da allora  mi autobattezzai “runner””.

Correre a Kabul. Non solo possibili problemi di sicurezza ma anche di altura (Kabul è a 1800 m). Ci racconti la Sua esperienza di podista Kabul. ”
“Appena arrivato mi sono reso subito conto che sarebbe stato arduo allenarmi, non solo per il ritmo lavorativo, ma anche per le severe condizioni ambientali. Kabul e` una citta` dall’indice di insalubrita` dell’aria tra i piu` elevati al mondo. Ho elaborato un sistema di allenamento che potesse compensare la quasi totale impossibilita` di correre all’aria aperta. Utilizzo il tapis roulant per la corsa. Di tanto in tanto, sono state organizzate delle gare di 5 e di 10 km all’interno della base. Periodicamente prendo parte alla sessione di Cross Fit. Molto impegnativo ma divertente per lo spirito di gruppo dei partecipanti, che il Comandante della Missione, il Generale US a quattro stelle Miller, organizza per incrementare lo spirito di corpo tra i militari delle 41 nazioni presenti”. 

Lei è nel contingente multinazionale a Kabul. Chi sono i suoi compagni di allenamento?
“
Qui a Kabul ci sono molti militari ma anche tanti civili. Il livello atletico è notevole, in particolare si sono distinti un capitano dell’Esercito USA, campione di triathlon, un sottufficiale spagnolo molto forte, un collega polacco, ma proprio nel mio stesso dipartimento c’è un colonnello Americano che macina chilometri e che nel giorno in cui si è corsa la New York City Marathon, ha corso internamente alla base anche lui i suoi 42 km e 195 metri”.

A Kabul ha creato un running team dal nome 42Kabul Running Team. Ci parli di questa esperienza.
“Il team è nato più per gioco che altro, in effetti prima di partire mi è stata fatta questa battuta: “Ora fonderai la 42Kabul! Idealmente rappresenta un simbolo di unione tra Italia e Afghanistan, nella speranza che, come dico spesso, “l’unione faccia la corsa” e che in questo caso “la corsa faccia la pace””.

Il podismo può essere davvero la nuova frontiera della soft diplomacy? Capace di avvicinare le persone al di la di ogni attrito politico e religioso?”
“Credo proprio di sì, sarebbe bello infatti, un giorno, suggellare la pace in Afghanistan con la Kabul Marathon. La maratona oggigiorno rappresenta un evento multidimensionale, che dà la possibilità di perseguire tanti valori e soprattutto che aggrega in maniera positiva migliaia di persone, senza riguardo per etnia, nazionalità, fede politica o religiosa, sesso”.

Secondo lei lo sport può essere una pratica utile per creare stili di vita più sani e contribuire a creare una società meno divisiva?
““Superare se stessi” è il segreto, in senso metaforico, cercando di utilizzare lo sport per stare meglio con se stessi, ma soprattutto per stare bene con gli altri; questo secondo me contribuisce al benessere di qualsiasi comunità, sia in senso individuale che collettivo. E il motto “correre per stare bene” dovrebbe essere alla base del nostro approccio al running. Lo sport può contribuire ad  unire la società e renderla più equa e solidale, e far sì che gli eventi sportivi, le gare, siano non solo una competizione, ma un recipiente di azioni e iniziative il più possibile coinvolgenti dal punto di vista sociale”.

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Vincenzo Pascale

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