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Quelle statue di condannati a morte che da bambino mi facevano rabbrividire

Si trovano nel santuario di Grazie di Curtatone (Mantova), e mi tornano in mente ora che papa Francesco ha escluso la pena di morte dal Catechismo

Stefano AlbertinibyStefano Albertini
Quelle statue di condannati a morte che da bambino mi facevano rabbrividire

Le statue dei condannati a morte nel santuario di Grazie di Curtatone (credits: Ryan Elivo).

Time: 3 mins read
Il Santuario della Madonna delle Grazie.

Per la festa dell’Assunta e nei giorni immediatamente successivi, Grazie di Curtatone, un piccolo borgo a pochi chilometri da Mantova si anima con migliaia di pellegrini e turisti. L’attrazione principale sono i madonnari, pittori di strada che la notte prima della festa riempiono col colore dei loro gessetti il piazzale antistante il santuario dedicato alla Madonna della Grazie, un edificio quattrocentesco commissionato dalla famiglia Gonzaga all’architetto militare Bartolino da Novara, lo stesso che aveva progettato per loro il castello di San Giorgio. L’interno della chiesa è tra i più sorprendenti e strabilianti che possa capitare di vedere.

Oltre all’icona mariana venerata da secoli sull’altare maggiore, si può ammirare l’elegantissima cappella funebre in perfetto stile rinascimentale dove riposano i resti dell’autore del Cortegiano, Baldassarre Castiglione. La cappella fu concepita da Giulio Romano, architetto, scultore e pittore meglio conosciuto per lo splendore licenzioso e giocoso di Palazzo Te.  Quest’anno però dopo la storica decisione di papa Francesco di condannare senza riserve e senza eccezioni la pena di morte, la nostra attenzione non si rivolge alla venerata immagine o al capolavoro architettonico, ma ad alcune statue inquietanti che decorano le pareti laterali.

La madonnara Greta Stellini ha deciso di dipingere i suoi figli.
Il coccodrillo impagliato che pende dal soffitto (Credits: Ryan Elivo).

Da bambino entravo nella penombra del santuario ancora abbagliato dal sole che inondava il piazzale e, man mano che gli occhi tornavano a vedere, andavano inevitabilmente a posarsi non sul volto dolce e materno della più amata dai mantovani, la Madonna delle Grazie, non sulle risplendenti armature dei Gonzaga, che, a quei tempi, erano ancora nelle loro brave nicchie, e nemmeno sul coccodrillo impagliato che pende dal soffitto e che sembra assorbire in maniera esclusiva l’attenzione dei bambini.

Io mi incantavo a guardare quei quattro o cinque brutti ceffi nella prima galleria di nicchie, a destra guardando l’altare maggiore. Un impiccato, uno appeso per le mani, uno coi piedi in una gogna e poi c’era lui… la star, l’unico che aveva un nome: Giuanin dla Masöla, un nome che mi sembrava stranamente scherzoso per uno che di mestiere frantumava teste. Non sapevo niente delle loro storie e anche la nonna e gli altri adulti che mi accompagnavano, non sapendone di più, cercavano di dirigere la mia attenzione verso immagini meno inquietanti e più congeniali alle nostre devozioni e alla mia età.

La madonnara Simona Lanfredi Sofía si è ispirata ad una delle porte in bronzo del duomo di Milano.

Quei loschi figuri mi sono tornati in mente un paio di settimane fa, quando papa Francesco ha finalmente deciso di dichiarare sempre inammissibile la pena di morte, ordinando una correzione del catechismo della Chiesa Cattolica e dando disposizioni ai vescovi di esercitare tutte le pressioni possibili presso le autorità politiche, affinché la pena capitale venga eliminata in tutto il mondo. La posizione della Chiesa sul tema è stata piuttosto ondivaga: S. Agostino, S. Ambrogio e S. Tommaso d’Aquino la ritenevano conforme alle scritture e legittima, seppur da comminare solo in casi estremi. Vale poi la pena ricordare che l’ultimo condannato a morte dello Stato Pontificio venne ghigliottinato un paio di mesi prima della liberazione di Roma, nel 1870, e che la pena di morte venne abrogata dagli Statuti del Vaticano solo nel 1969.

Il volto della venerata Madonne delle Grazie.

E i ceffi delle Grazie cos’hanno a che fare con tutto ciò? Quelle statue che avevano popolato gli incubi della mia infanzia avevano qualcosa che le accomunava, a parte il loro autore, quel frate Giovanni Francesco da Acquanegra che nel ‘500 aveva creato quella folla di personaggi, fatti di materiali poveri come stoffa, cartapesta, legno e cera e che rappresentavano tutta la società del tempo: da papi, prelati, e imperatori a belle dame eleganti e a popolani vestiti a festa per finire proprio coi nostri malfattori. Che io sappia è l’unica chiesa della cristianità in cui, oltre alle statue dei santi, ci sono quelle dei gaglioffi. Gaglioffi veri, si badi, visto che erano stati condannati alla pena capitale e che erano stati tutti graziati in extremis non da un sovrano qualsiasi, ma direttamente e in maniera inappellabile dalla Sovrana del Cielo. Sì, perché se un’esecuzione non andava a buon fine la prima volta, si riteneva che fosse un segno del Cielo e al condannato veniva commutata la pena o addirittura concessa la libertà.

Se un giorno sarete anche voi tra le migliaia di pellegrini che nei giorni di Ferragosto affollano Grazie, dopo esservi riempiti gli occhi con i colori dei madonnari ed esservi rifocillati col tradizionale panino al cotechino, entrate in chiesa, guardate le povere statue dei quattro delinquenti graziati. Fra le preghiere per voi e i vostri cari, ditene una anche per chi languisce in una cella in attesa della morte, e pregate che il coraggioso pronunciamento di papa Francesco possa mandare presto in pensione i colleghi di Giuanin in giro per il mondo. La Madonna non si offenderà.

 

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Stefano Albertini

Stefano Albertini

Sono nato a Bozzolo, in provincia di Mantova. Mi sono laureato in lettere a Parma per poi passare dall'altra parte dell'oceano dove ho conseguito un Master all'Università della Virginia e un Ph.D. a Stanford. Dal 1994 insegno alla New York University e dal 1998 dirigo la Casa Italiana Zerilli Marimò dello stesso ateneo. Alla Casa io e la mia squadra organizziamo un centinaio di eventi all'anno tra mostre, conferenze, concerti e spettacoli teatrali. La mia passione (di famiglia) rimane però l'insegnamento: ho creato un corso sulla rappresentazione cinematografica della storia italiana e uno, molto seguito, su Machiavelli. D'estate dirigo il programma di NYU a Firenze, ma continuo ad avere un rapporto stretto e viscerale col mio paese di origine e l'anno scorso ho fondato l'Accademia del dialetto bozzolese proprio per contribuire a conservarne e trasmettere la cultura. I was born in Bozzolo (litterally 'cocoon') in the Northern Italian province of Mantova. I obtained my degree from the University of Parma, after which I moved to the other side of the ocean and obtained my Master’s from the University of Virginia and my Ph.D from Stanford. I have been teaching at New York University (NYU) since 1994, and I have been running the Casa Italiana Zerilli Marimò of NYU, since 1998. At the Casa, we organize more than one hundred events annually, including exhibitions, conferences, concerts and theatrical performances. My personal passion, however, continues to be teaching: I created a course on the cinematographic portrayal of Italian history, and one on Machiavelli in its historical context. I also run the NYU program in Florence every summer. I continue to have a close and visceral relationship with my town of origin, and 2 years ago, I founded the Academy of the Bozzolese Dialect to conserve and promote the local culture.

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