Un amore per la musica, iniziato sin da bambino, si trasforma in una carriera da musicista jazz. Robin Kevin Daniel Grasso si definisce un “musicista versatile”, uno che mette insieme jazz, pop, RnB, sonorità della tradizione melodica napoletana e bossanova. Napoletano, Robin si diploma alla Music Academy di Bologna e poi in Contemporary Music alla Essex University di Luton, in Gran Bretagna.
Nel 2015 arriva a New York per proseguire i suoi studi che conclude con un Master of Music in Jazz Performance al Queens College, mentre continua la sua carriera da musicista assorbendo i vari stili musicali che offre la Grande Mela. Di recente ha pubblicato il suo primo Ep di musica originale, First Day, che lo ha portato in tour in Europa e ora, tra nuove collaborazioni, l’attività di insegnante, quella di musicista, sta lavorando ad un nuovo progetto.
Robin racconta a La Voce di New York la sua mappa jazz della città e la Colonna Sonora che dedica a Napoli e New York. A proposito delle due città, dice: “Per me la similitudine è evidente. Sono due città piene d’arte, aperte al diverso, progressiste e conservatrici allo stesso tempo. Entrambe sono capitali musicali delle rispettive nazioni: la cosa che mi ha sorpreso molto è quanto tutto ciò si traduca in una forma mentis comune delle persone che vi abitano. Newyorkesi e Napoletani vanno molto d’accordo!”

Il tuo primo EP “First Day” legato al tuo progetto Flying Robin Project ha influenze jazz, pop, RnB, latin jazz. Cosa ha preceduto il lavoro di questo disco e come è nato artisticamente?
“Flying Robin Project è stato, per anni ormai, il calderone dove ho amalgamato tutte le varie influenze che mi hanno formato in quanto artista. Tutto è cominciato svariati anni fa, nel 2012, quando la band di cui facevo parte si è sciolta ed ho deciso di proseguire il mio percorso artistico con un progetto solista. Ovviamente negli anni l’influenza di tanti amici musicisti con cui ho collaborato a fasi alterne, ha aiutato a dare una forma più definita al progetto, di cui oggi ho preso definitivamente le redini. First Day è il frutto maturo di tutti questi anni di lavoro, sperimentazione, incertezze e occasioni… sono finalmente riuscito a coronare il sogno di produrre un EP e, in tutta onestà, ho capito che non basta! Sto già lavorando al prossimo…!”.
NY è indubbiamente la capitale del jazz mondiale. Cosa ti ha dato questa città musicalmente , professionalmente e umanamente?
“Non ho dubbi sul fatto che trasferirmi a New York abbia segnato la mia definitiva presa di coscienza come artista. Il primo anno di vita nella grande mela è stata una vera e propria full immersion nel Jazz. Ho respirato musica 24 ore su 24; dalle mattinate di studio al Queens College alle Jam session notturne. Questo è possibile solo a New York. Tutto ciò ha definito anche un cambiamento di passo, necessario per tener testa a tutti gli stimoli. Ho dovuto evolvermi, diventare vero professionista della musica e focalizzarmi sugli obiettivi concreti di ogni giornata. Anche ampliare la mia conoscenza di generi diversi dal Jazz, il Pop o l’RnB che sono la mia specialità. In questo sono stato aiutato da chi mi circonda, perché questa città è piena di persone che si trovano ad affrontare, ognuna nel suo campo, le stesse sfide quotidiane. Ciò fa si che ci sia un forte senso di complicità e supporto reciproco e tutti questi fattori messi assieme, mi hanno aiutato a percorrere la strada che mi ha portato ad essere un musicista soddisfatto del proprio lavoro. Seppure con tanto ancora da imparare!”.

Cosa ti ha spinto a trasferirti?
“Il motivo ufficiale è sempre stato quello di proseguire gli studi nella prestigiosa patria del Jazz. In verità, dopo aver completato il triennio tra Napoli, Bologna e Londra, non potevo rimanere fermo. Sentivo il bisogno di dare una svolta significativa alla mia vita ed anche un pò la voglia di lanciarmi a capofitto in un’avventura nuova e sfidare i miei limiti. Devo ammettere che ci sono stati momenti in cui vivere a New York mi ha fatto molto rimpiangere la sicurezza e la familiarità di casa. Ma tutto sommato è stato amore a prima vista”.
NY e Napoli, la tua città, sono spesso descritte come due luoghi che hanno molto in comune. Come vedi il parallelo tra queste due realtà?
“Per me la similitudine è evidente. Sono due città piene d’arte, aperte al diverso, progressiste e conservatrici allo stesso tempo. In entrambe si celebra la tradizione come qualcosa di sacro, eppure non si smette mai di sperimentare ed essere aperti alle contaminazioni esterne. Entrambe sono capitali musicali delle rispettive nazioni… Ma la cosa che mi ha sorpreso molto è quanto tutto ciò si traduca in una forma mentis comune delle persone che vi abitano. Newyorkesi e Napoletani vanno molto d’accordo!”.
Hai creato “Na Bossa” un progetto che lega le melodie della musica napoletana tradizionale alla bossa nova.
“Tra gli altri progetti che ho ideato prima di trasferirmi a New York c’è “NA_Bossa“ che nasce all’inizio del 2014 ed è ora stato inglobato nella fucina musicale del Flying Robin Project. Ricordo che mentre ascoltavo un disco di classici sudamericani rimasi folgorato da quanto quelle melodie brasiliane ed i ritmi latini, mi facessero tornare in mente le note e l’emozione delle canzoni tradizionali napoletane. E’ in quel momento che nasce l’idea di ‘Na_Bossa. Credo sia sempre esistito un filo che lega la canzone tradizionale napoletana a quella brasiliana. Un filo fatto di melodia, le più belle del mondo, di ritmo, il sud del mondo pulsa al battito del cuore umano, e della profonda emozione che l’armonia di groove e passione suscita nell’animo umano. Così provo a portare dal vivo la mia versione degli standards di queste due culture così lontane ma così simili, avvicinandole con reinterpretazioni e riarrangiamenti di gusto jazzistico, lasciando però sempre intatta la solennità esecutiva che i brani della tradizione giustamente richiedono”.
Quali sono le tue influenze jazz nel panorama italiano e americano e le differenze tra il jazz italiano e quello oltreoceano.
“Sono un grande amante della musica in cui la sostanza prevale sulla forma. Nel jazz di tradizione, ad esempio, preferisco un “non” cantante come Chet Baker alla, seppur magnifica, Ella Fitzgerald. Nella musica italiana, alla quale sono stato esposto già da grande, adoro in particolare gli interpreti della mia terra come De Crescenzo.
Fare un paragone tra il Jazz americano e quello italiano risulta particolarmente difficile, principalmente per il fatto che il jazz nasce qui in America e sarebbe una sfida impari! Ovviamente però, oggi, grazie alla facilità nello scambio delle informazioni con internet o al fatto che tantissimi americani si sono trasferiti in Europa, abbiamo tanti grandi interpreti italiani di quella musica di radici d’oltreoceano. Anzi, facciamo anche noi scuola, aggiungerei finalmente, a livello internazionale. Ed esempio, una delle cose che gli italiani hanno dato al Jazz contemporaneo è, come amo fare anche io, fondere la musica classica napoletana, con i suoi ritmi e melodie uniche al mondo, a forme e accordi tradizionalmente jazzistici”.
I posti a NY che ogni appassionato di jazz non dovrebbe perdere?
“Per chi ama il Jazz qui è il palese dei balocchi. Potrei citarvi un appuntamento fisso ogni sera della settimana; dai lunedì con l’orchestra del Village Vanguard al sempre variopinto programma dei week-end allo Smalls o al 55 Bar. Anche se citarne solo qualcuno non rende giustizia alla quantità davvero impressionante di appuntamenti, fissi e non, in giro per Manhattan. Tra i quali forse potrei aggiungere anche i miei giovedì nella wine lounge dell’Hotel Stanford, o i Venerdì a Ribalta!”.
Il futuro del jazz dal punto di vista musicale?
“Parlare o scommettere sul futuro è sempre rischioso. E io non so quale, tra tante strade che ora si delineano davanti a noi musicisti, la musica finirà per percorrere. La mia speranza è che le percorra tutte. Il jazz contemporaneo è già caratterizzato da una grande commistione di generi, a tutti i livelli. Spero che nel futuro questo processo raggiunga una maturità ancor più grande e di certo sto facendo la mia parte in tal senso, provando ad unire la tradizione Napoletana con la musica Jazz, Pop ed RnB. A dire il vero non vedo l’ora di scoprire cosa ci riserva il futuro. Dal punto di vista musicale non mi definisco per nulla “conservatore”!”.
Una colonna sonora jazz per NY e Napoli…
“Che domanda difficile! Sceglierne solo tre… per Napoli direi Voce ‘e Notte, un brano che adoro in cui vedo espressa, con una profondità immensa, la condizione del musicista odierno. Era De Maggio, per l’augurio di tornare sempre a casa quando sbocciano i fiori e Je so pazzo di Pino Daniele. Un po’ di sana in-aderenza agli schemi è caratteristica immancabile per ogni napoletano verace! La grande mela l’ho conosciuta sulle note della New York New York di Frank Sinatra. Oggi passeggio volentieri per Central Park West ascoltando l’omonimo brano di John Coltrane, e nelle gelide notti invernali mi tiene caldo il cuore un brano tanto ottimista come I’ll Remember April”.