Dai casi di furto in un negozio sulla Fifth Avenue a quelli di criminalità organizzata. Tutti sono passati e continuano a passare dal suo studio di Park Avenue. Germana F. Giordano, quarantenne barese, dal 1998 a New York, vanta un risultato lodevole: è l’unica italiana nella Grande Mela a svolgere la professione di avvocato penalista.
Una laurea in giurisprudenza all’Università di Bari e una specializzazione negli Stati Uniti prima di iniziare la sua carriera in un’organizzazione non profit di Harlem, per poi avviare una collaborazione con il Consolato Generale d’Italia nella Grande Mela. Oggi lavora nel famoso studio Don Savatta a Park Avenue, affermato penalista ed ex PM.
È lei a difendere soprattutto cittadini italiani (ma anche di altre nazionalità) che finiscono nei guai.
Ci racconta in che cosa consiste il suo lavoro, degli effetti del Muslim Ban emanato da Donald Trump, della sua Bari e del suo sogno americano.
Agli italiani che vengono nella Grande Mela consiglia: “Attenzione a non infrangere le regole. È facilissimo essere arrestati! In America è semplice ‘imbrogliare’ ma è ancora più semplice essere arrestati”.
Sei l’unica italiana penalista a New York. Hai una formazione italiana e una specializzazione americana. Di cosa ti occupi nello specifico?
“Mi occupo prevalentemente di diritto penale sia a livello statale che federale. Rappresento tanti cittadini Italiani o stranieri in generale. Poiché una conseguenza collaterale e automatica derivante da un semplice arresto (anche senza necessaria condanna) è legata all’immigrazione, ho sviluppato negli anni una buona conoscenza del diritto di immigrazione. Nel mio processo formativo, ho avuto la fortuna di collaborare con uno studio di immigrazione altamente specializzato anche a livello di criminal immigration, con cui lavoro da anni, che mi ha dato sempre degli ottimi risultati per i miei clienti. Per forza di cose ho sviluppato una buona conoscenza della materia”.
Veniamo all’attualità. Ti riconosci nell’America delle ultime settimane?
Sì, mi ci riconosco, ma mi piaceva di più l’America del mio amato presidente Barack Obama.
Qualche settimana fa, una ragazza italiana è finita con le manette ai polsi ed è stata fermata per ben 7 ore all’aeroporto di Atlanta perché dal suo passaporto risultavano viaggi frequenti in paesi islamici. Questo è uno dei tanti effetti del decreto Trump. Da avvocato penalista come commenti il fatto?
“Lo sfortunatissimo incidente riguardante la ragazza Italiana fermata ad Atlanta è sicuramente un risultato esasperato dai tanti effetti derivanti dai vari ordini esecutivi firmati dal presidente Trump. Tuttavia, incidenti simili sono purtroppo quasi di normale amministrazione. A livello d’immigrazione, durante i controlli doganali, quella che è teoricamente definita una secondary inspection è per molti un’interrogazione straziante, una fishing expedition per informazioni di ogni genere. Attraverso le tecniche di interrogazioni utilizzate dalla US Customs and Border Protection (CBP), si ottengono in moltissime circostanze delle false ammissioni a causa della natura involontaria delle stesse, letteralmente estorte con false promesse da parte delle autorità dopo ore ed ore di interrogazioni con tecniche di questioning specializzate all’ottenimento di quelle stesse ammissioni”.
Tra le “vittime” del decreto Trump ci sono anche alcuni italiani che nei giorni scorsi sono stati respinti all’ingresso negli Stati Uniti. Puoi darci una casistica generale aggiornata?
“Purtroppo sono legata dal segreto professionale e pertanto non posso discutere nessuno dei miei casi attuali o passati. L’unico consiglio che posso dare agli Italiani che si preparano a viaggiare negli Stati Uniti è di far estrema attenzione alle informazioni contenute nei propri social media, cellulari, computer, etc. L’esempio della ragazza Italiana arrestata all’aeroporto di Atlanta, dimostra come l’immigrazione, riesce di solito (e non necessariamente legalmente) ad aver accesso a cellulari, Facebook, Instagram, Twitter, Snapchat, e in generale a tutto ciò che è disponibile on line. Le informazioni mediatiche vengono spessissimo interpretate erroneamente e l’accesso negli Stati Uniti viene come conseguenza negato”.
Quali pensi saranno gli effetti nella società americana del decreto Trump?
“Come direbbe Trump, a disaster! Secondo me gli elettori Repubblicani non hanno realmente valutato la sua pericolosità a livello nazionale ed internazionale. Le prime tre settimane del suo mandato presidenziale hanno aperto gli occhi (spero) a tanti suoi supporters. Sicuramente l’opinione sul Muslim Ban emessa dalla Corte d’Appello Federale lo scorso 9 febbraio è un passo verso la giusta direzione legislativa. La Corte D’appello Federale nella sua decisione ha suggerito un profondo scetticismo rispetto alla posizione del nuovo presidente e in contemporanea tra le righe ha dato un’indicazione su quella che sarà la sua posizione rispetto agli appelli, che con altissima probabilità seguiranno”.
15 procuratori generali hanno affermato l’incostituzionalità del provvedimento e un Federal Judge di Seattle ha emesso un emergency stay. Dalla tua analisi di cittadina americana e avvocato, quali valutazioni ti senti di fare sul piano giuridico e umano?
“Mi associo a quella che è l’analisi costituzionale incorporata nella decisione dalla Corte d’Appello Federale del 9 febbraio scorso. A livello umano sono sconvolta. L’America è un paese la cui grandiosità deriva dalla sua diversità. Io son un’immigrata, questo è un paese di immigrati. New York è una delle poche città al mondo in cui, anche se straniero, non lo sei“.
Da un lato Trump dall’altro, un ‘America che agisce e reagisce contro il presidente e i suoi provvedimenti. Due facce di un paese, l’America, complesso e diversificato. Che aria si respira in America in questi mesi? Quali sentimenti dominano?
“A New York, si respira l’aria di un’America che ha paura ma che allo stesso tempo ha speranza. Io vivo quotidianamente la realtà super democratica della mia città. Di fatto New York non è l’America. New York continua ad essere una realtà a sè. La speranza che noi viviamo con le nostre proteste è solo la nostra percezione newyorchese. Ma purtroppo il resto dell’America è l’America che lo ha votato e che lo condivide”.
Tu sei di origini baresi ma a New York vivi ormai da tanti anni. Cosa ti appartiene di questa città e cosa invece ti manca dell’Italia?
“Mi mancano la mia famiglia, la cucina di mio padre, la nostra cultura in generale e i miei amici di sempre. Di New York mi appartiene la sua energia. Un’energia unica al mondo, quell’energia che ti fa svegliare al mattino, dinamica e sognatrice, che ti da la forza di affrontare una città dove tutto succede a 300 chilometri all’ora. Un’energia speciale derivata da tanta diversità”.

Quali sono le differenze tra il sistema giudiziario italiano e quello americano nel diritto penale?
“I sistemi sono molto diversi, in primis il sistema Italiano è un sistema di civil law mentre quello Americano, come quello Anglosassone si basa sul common law. Durante lo svolgimento del procedimento penale, nella fase pre-processuale, la differenza più importante tra i due sistemi consiste nel fatto che in America, a differenza che in Italia, si può patteggiare non solo la pena ma anche il reato. L’Italia prevede a livello di patteggiamento solo lo sconto della pena. La differenza invece più grande è rappresentata dall’esistenza della giuria popolare (sin dal primo livello) come trier of facts. Il concetto di Giuria Popolare è qualcosa che ho capito solo in seguito. Neo-laureata e con un’impostazione prevalentemente di civil law, l’idea che una giuria fosse composta solo ed esclusivamente da membri della comunità di ciascuna contea mi sembrava inverosimile. Dopo oltre quindici anni di pratica a New York, non riesco più a immaginare il processo penale senza giuria. Un’altra differenza enorme è l’informalità del rapporto con la prosecuzione e in generale con la magistratura. La fase di patteggiamento è nella maggior parte dei casi (sempre che non si incappi in qualche PM folle, o esaltato) piacevole. Una seria analisi delle prove disponibili ti porta ad un risultato generalmente giusto per il tuo cliente. Io ho fatto pochissima pratica penale in Italia, ma confrontandomi con i miei colleghi penalisti italiani, mi rendo conto quanto più formale è il rapporto con entrambi gli organi”.
Quali invece le differenze nella formazione?
“A livello di formazione ritengo che la nostra università sia più formativa. La nostra università ci dà le basi per affrontare e risolvere ogni tipo di problema insegnandoci a ragionare, a collegare e a trovare soluzioni globali. L’università americana è più specializzata. Apprendi meglio la materia e con maggiore facilità (il materiale di studio per esame è equivalente, in proporzione, a circa 1/10 rispetto a quello delle nostre facoltà). Una volta superata la difficoltà linguistica iniziale, l’università Americana è molto più semplice. E’ facile transitare dalla scuola alla professione. Tuttavia credo che l’università americana, almeno nella mia esperienza, non ti insegni a risolvere l’imprevisto. T’insegna sempre a essere super prudente e a proteggerti. L’università Italiana mi ha insegnato a non aver paura, a credere nel mio istinto ed a trovare soluzioni”.
Che difficoltà si incontrano in un lavoro come il tuo?
“Il non poter mai completamente staccare completamente la spina. La difesa di un caso è un pensiero ricorrente che coesiste con il tuo essere. Per il tuo cliente sei indispensabile, la loro serenità dipende da te, dalla tua positività. La parte più difficile è l’analisi delle prove, è la difficoltà di far capire ai tuoi clienti il valore probatorio, per metterli nella condizione di decidere da sé, fornendo loro le conoscenze e gli strumenti necessari”.
Quali sono le situazioni che ti capita di affrontare più spesso?
“Per quanto riguarda i cittadini Italiani, assistiamo spesso turisti che si fanno arrestare per quelli che io definisco reati di superficialità. Nei periodi di vacanza, in particolare durante il periodo natalizio, prendono d’assalto i grandi magazzini, Macy’s, Bloomingdale, eccetera. Century 21 è dove avvengono, nella mia esperienza, la maggior parte dei furti natalizi. Difendiamo spesso ragazzini sempre in vacanza che acquistano o fumano marijuana per strada. New York è pienissima di polizia in borghese. Unmarked police cars spuntano da ogni angolo e ti colgono in flagrante. A questo tipo di reati minori, si alternano casi più seri, di criminalità organizzata, di sottrazioni di minori, di traffico di armi e di stupefacenti internazionali. Per quanto riguarda il resto dei nostri clienti rappresentiamo membri di varie gang sia a livello statale che federale con capi di imputazione che variano da spaccio, estorsioni, riciclaggio di denaro eccetera. Rappresentiamo inoltre clienti connessi a schemi di frodi digitali, di furti d’identità, di crimine cibernetico. Direi che a livello di casistica penale non ci facciamo quasi mancare niente. Rappresentiamo infine anche imputati accusati come sex offenders in varie categorie”.
Esiste l’American Dream per gli italiani che sognano di diventare avvocati nella Grande Mela?
“Assolutamente! Per me un sogno americano che continua dal 25 gennaio del 1998, la data in cui mi sono trasferita a New York”.