Le cascine disperse nella pianura dell'Emilia e certi mattoni rossi sotto il cielo che ha cancellato ogni traccia di Appenino. In uno di quei borghi di campagna trovi una ragazza dagli occhi grandi, a cui piace disegnare visi con occhi grandi. E immagini tutti i sogni che ci possono stare dentro, quegli occhi, e che scuotono il petto in piena notte. E immagini lei, ad occhi aperti, a sognare, un giorno, di partecipare a quella grande festa che sono gli Oscar, magnificando il suo lavoro e le sue origini, con orgoglio italiano.
Lei è Monica Manganelli, scenografa di teatro lirico e cinema, specializzata come concept artist e vfx art director di set virtuali (colei/lui che crea il look visivo di un film o di uno spot attraverso bozzetti e scene). Un eclettismo naturale la guida di volta in volta ad approcciare diversi ambiti, dal linguaggio cinematografico, agli eventi di moda, al teatro. Determinata giovane donna che ha concepito e realizzato il corto di animazione The Ballad of the Homeless che rappresenterà l'Italia all'Academy. Non la voglio immaginare, ci voglio parlare, e così la incontro in una mattina di nebbia leggera, un caffè in tazza grande – americano, ovvio – e No Surprise dei Radiohead che suona nella stanza.
Traccia un tuo autoritratto di artista…
“Dal punto di vista artistico faccio fatica a 'scattarmi un selfie', in quanto ritengo che la mia qualità migliore sia proprio la versatilità, ovvero permettermi di lavorare in più ambiti, dal cinema alla lirica, alla moda, agli eventi, sperimentando linguaggi complementari o differenti. L'approccio a livello di contenuto è lo stesso, ti relazioni con una sceneggiatura o un libretto d'opera e cerchi di entrare nella testa di un regista per esprimere visivamente le sue idee; poi sarà solo il linguaggio tecnico che cambierà e per ognuno va attentamente studiato. La curiosità infatti è la mia caratteristica principale, risorsa secondo me fondamentale per un creativo-scenografo”.
Veniamo subito al punto cruciale. Concorrerai agli Oscar con un corto d'animazione dedicato ad una terra antica, la tua terra, l'Emilia Romagna, sfregiata dal terremoto del 2012, ideato, scritto e disegnato da te. Hai mai considerato quella statuetta tra i tuoi sogni?
“Quella 'statuetta', come dici tu, rappresenta il mio sogno fin da bambina. La passione per il cinema e l' arte me l'ha trasmessa mia madre, ed io fin dall'età di otto anni ogni notte caricavo la sveglia per vedere la serata degli Oscar [l'emozione le illumina gli occhi]. Quindi sì, è uno dei miei sogni nel cassetto arrivarci. Anche perché lavorando nel mondo del cinema rimane, in fondo, il premio sempre più ambito, non credi?”.
Sicuramente il più eclatante, sì. The Ballad of the Homeless è il titolo della tua opera, prova ad offrirne ai nostri lettori un assaggio.
“La Ballata dei senzatetto è un viaggio surreale e poetico attraverso gli occhi di Tommy un bambino, nelle terre dell'Emilia Romagna devastate dal terremoto del 2012. Tommy è simbolo di speranza e spontaneità. Ho scelto di chiamarla 'ballata' perché il racconto è intriso di musica [del compositore Massimo Moretti, nda], che accompagna lo spettatore in questo viaggio di testimonianza e scoperta. La mia carriera è iniziata con collaborazioni nel campo della lirica, perciò la musica ha sempre un ruolo importante nei miei progetti personali, anche perché proviene dall'antica tradizione dei cantastorie emiliani. Mentre mi documentavo ascoltando i testimoni del terremoto, il tema dei “cantastorie” che tramandano una memoria è emerso in maniera naturale. Il termine "ballata" trova la sua specificazione nei "senzatetto", perché visivamente, per me, fin dall’inizio, rappresentare il terremoto significava immaginarmi questi luoghi dove i tetti venivano scoperchiati e le persone rimanevano senza la loro casa, emblema di uno spazio che accoglie i nostri momenti condivisi, intimi, familiari, emotivi. Il terremoto è stato quindi l'annientamento di questo luogo. Scoperchiare i tetti con le mongolfiere è poi un preciso riferimento ad una festa che si svolge a Ferrara, una fra le terre purtroppo protagoniste del terremoto del 2012”.
Quando e come si è sviluppata l'idea di quest'opera?
“Abbiamo impiegato sette mesi per realizzarla. I primi di giugno 2014 ho impostato un piano di produzione e abbiamo iniziato. Con scadenza di presentazione fine progetto per inizi 2015: rispettato. In totale abbiamo lavorato col mio team 7-8 mesi totali. I primi due io mi sono concentrata su storyboard e ideazione-realizzazione dei matte painting, per poi iniziare con la modellazione e animazione 3D di personaggi e successivamente il compositing vero e proprio. E l'idea è nata dal fatto che era da tanto tempo che io volevo iniziare a firmare la regia di diversi progetti filmici”.
La tua professionalità ha quindi un eccellente rapporto con l'orizzonte lirico, grande tradizione italiana. Che tipo di progetti stai sviluppando in proposito?
“Un altro sogno nel cassetto: lavorare con il regista Alfonso Antoniozzi. Stiamo infatti preparando insieme la produzione della Trilogia delle regine Tudor di Donizetti: Maria Stuarda, Anna Bolena, Roberto Devereux, una co-produzione tra il teatro Carlo Felice di Genova e La Fenice di Venezia; mi occuperò di firmare le scenografie. Inoltre l'Associazione Opera Morlacchi e il maestro Tirilli mi hanno notato e coinvolto per realizzare un progetto unico al mondo: riportare la stagione lirica al Teatro Morlacchi di Genova e realizzare AIDA. Dal punto di vista scenografico la sfida sarebbe realizzare delle scene completamente virtuali, utilizzare le tecniche di animazione e compositing cinematografico per creare una immersive opera, videoproiettando anche sull'esterno del palcoscenico”.
Molto interessante, e mi viene da chiederti quali siano stati gli elementi portanti per l'architettura di questa formazione così ricca…
“Devo dire di essere stata fortunata nel mio percorso di crescita professionale e formazione in quanto sia all'istituto d'arte che alla università [Parma, nda] ho avuto dei professori incredibili, idem quando ho iniziato a lavorare. Non posso dire quindi di avere avuto un solo maestro, ogni persona incontrata lungo la mia strada mi ha insegnato qualcosa. E cerco di mantenere questo approccio ancora oggi: ogni lavoro deve essere motivo di crescita professionale e umana”.
Ma c'è un ricordo particolare o una persona che più connota l'avvio di tutto il percorso?
“Mia madre, donna di grande cultura, che mi ha avvicinato fin dai tempi dell'asilo al gusto per il bello e l'arte; mi ha riempito di libri, mi portava al cinema, a vedere mostre… tutte cose che ancora facciamo e devo dire che mi ha educata ad un grande gusto estetico, anche involontariamente, trasmettendomi passione per l'arte e la cultura. Tutt'oggi cinema e mostre le condividiamo insieme e ci confrontiamo nelle idee. Poi ha un grande senso critico, quindi, nel bene e nel male, mi ha sempre “stroncato” se doveva o appoggiato se meritavo. Ricordo benissimo quando mi portò a vedere Cenerentola e Labyrinth (questo ultimo citato anche in una scena iniziale del corto), due capolavori. Ed io che non arrivano neanche all'altezza della poltrona tanto ero piccola”.
Torniamo al corto. Dopo essersi aggiudicato il Los Angeles film short Festival ecco la nomination per l'Oscar. Peccato che in Italia non sia stato anche solo lontanamente considerato da nessuno. Raccontaci l'amarezza di questo non-riconoscimento e la reazione della tua terra.
“Mah, oramai ci sono abituata e non è una novità, dai tempi in cui ho iniziato a lavorare all'estero per Cloud Atlas, ad esempio, e successivamente in altri Studos per film-spot, per la moda a Bruxelles e Parigi. La meritocrazia l'ho assaporata fuori dai nostri confini. Se ho scelto di andare via ad un certo punto è proprio perché non mi riconoscevo nel sistema italiano. Ancora oggi non mi riconosco in questo ambiente, ma con le alte credenziali acquisite fuori oggi qualcosa in più lo posso dire. Io poi vengo dal nulla e non devo quindi dire grazie a nessuno per dove sono arrivata oggi. Di questo vado molto orgogliosa”.
Quando hai deciso di non demordere, di andare via e come. Quali sono stati i tuoi ponti?
“Ho deciso di andare via quando ho capito che sia in teatro che nella produzione cinematografica non avrei mai avuto possibilità di crescere e sarei stata costretta a rimanere un'assistente a vita. Io sono una persona ambiziosa, nel senso positivo del termine e la voglia di imparare e arrivare ad alti livelli qualitativi di un progetto sono fondamentali per me. Aspiro all'eccellenza e sono molto esigente quindi anche la qualità di quello che si faceva da noi non mi bastava più. Volevo vedere come si lavorava dove 'si fa sul serio'…e ancora oggi è così, ci sono maestri con cui mi piacerebbe lavorare”.
In che direzione vuoi andare con la tua arte negli States?
“Indipendentemente da quale sia la parte del mondo in cui voglio esprimere il mio talento in ogni caso io punto sempre sulla mia alta professionalità e come ho detto prima aspiro all'eccellenza, a mostrare la mia tenacia, sensibilità artistica e impegno che metto nei miei progetti. Poi il resto viene da solo. Vorrei proseguire nella regia di progetti filmici.Sto preparando un film sperimentale dove unirò il linguaggio del documentario con animazione per raccontare la magia del mondo dell'alta moda italiana degli anni '50 e delle sorelle Fontana, When the Dream Comes True: Sorelle Fontana, e il mio primo film, The Opera Son”.
Naturalmente ti seguiremo e tiferemo per te durante la magica notte degli Oscar. Tre "cose" che ti porterai dietro e una dedica (si può fare, perché questa è già una grandissima vittoria).
“Questa è difficile! Incrociamo le dita perché tutto vada in questa direzione… Tre cose che porterò con me: una dedica che mi fece mia madre per un compleanno 15 anni fa, 'sei proprio una figlia da Oscar'; quella che tanti anni fa mi fece una persona ai tempi in cui ero bambina con scritto 'la tua voglia ogni volta di ricominciare ti servirà nella vita' e che ancora oggi mi rappresenta bene; e per ultimo il mio leone portafortuna che è il mio simbolo. La dedica invece la faccio ai miei genitori, che sono le persone più importanti della vita, che mi hanno sempre sostenuto a perseguire i miei sogni e dove sono ora lo devo anche a loro”.
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