Nella “guerra” dei nervi, nel “conflitto” fra mentalità, fra i vari modi d’intendere l’agonismo, d’interpretare il rapporto fra se stessi e l’agonismo, e il rapporto che un uomo ha col proprio “self”, fra ieri e oggi nell’ottava edizione della Coppa del Mondo di Rugby, l’Emisfero Sud nei quarti di finale svoltisi a Londra e a Cardiff ha scaraventato fuori dalla competizione l’Emisfero Nord e affermato una supremazia assai più netta di quella cui potemmo assistere nella finalissima del 1995 fra Sudafrica e Nuova Zelanda (gli All Blacks), vinta dai sudafricani, e in quella del 2011 con la vittoria degli All Blacks sulla Francia. Per la prima volta nella Storia del torneo, non una sola compagine europea è riuscita a guadagnare le semi-finali. Vanno alle semifinali Sudafrica, Argentina, Australia, All Blacks. Vi pervengono nel suggello d’una superiorità tecnica, atletica, mentale, quindi interiore, “filosofica”, che sarebbe sciocco, puerile, autolesionistico negare.
Fra sabato e domenica i campioni del mondo uscenti, i neozelandesi, hanno battuto la Francia; il Sudafrica ha piegato il Galles, l’Argentina ha prevalso sull’Irlanda, l’Australia ha superato la Scozia. Quattro incontri in stadi del tutto esauriti, quattro “tempeste” seguite in tv – almeno secondo le prime stime – da almeno mezzo miliardo di persone. Quattro confronti d’altissimo livello tecnico, agonistico; quattro “battaglie” di un’intensità che ha lasciato stupefatti non solo gli esperti stessi, ma che ha affascinato anche i neofiti e guadagnato così alla “causa” del Rugby altri cuori, altre menti. Le semifinali di sabato e domenica prossima si presentano quindi così: Nuova Zelanda – Sudafrica, Argentina – Australia.
Questo Mondiale alle sue prime battute ci aveva regalato l’inebriante, e assai inattesa, vittoria del Giappone sul Sudafrica; ci aveva regalato prove di mirabile orgoglio da parte di Stati Uniti, Namibia, Uruguay, Georgia. Ora ci ha resi testimoni della “catastrofe” francese, della “catastrofe” irlandese nel susseguirsi di emozioni sempre più vibranti per via, appunto, dell’impegno tecnico e morale dei protagonisti.
La Francia sabato nell’incontro con gli Blacks ha subito la sconfitta più dura della sua antica e nobile Storia: 62 a 13 per la Nuova Zelanda, un disastro di queste proporzioni, una rotta di questo significato, non hanno precedenti neppure nelle partite sostenute dalla Francia nei primi anni del torneo delle “Cinque Nazioni” (con Inghilterra, Galles, Irlanda, Scozia) nato nel 1910. Nove mete quelle realizzate dagli All Blacks, una la meta segnata dai transalpini. In forma strepitosa i ‘tre-quarti’ neozelandesi Millner-Scudder, Conrad Smith, Savea, Carter; gli ‘avanti’ Reade, Whitelock, Mealamu: celti, anglosassoni, maori, un solo blocco, invincibile! Il “ciclone” neozelandese che spazza via la Francia: la ‘ragione’, tuttora contadina, operaia, che umilia, sì, la ‘ragione’ illuministica, speculativa, e anche quella proletaria, degli eredi di Voltaire, Montesquieu, Rousseau; dei combattenti della Comune di Parigi, degli anticonformisti del Sessantotto. Due volte, nel 1999 e nel 2007, la Francia aveva eliminato dalla Coppa del Mondo i celebri, temutissimi All Blacks. All Blacks che dal 2007 in poi un solo obiettivo hanno inseguito: battere, sì, la Francia…! Superata nella finale, appunto, del 2011; frantumata ieri in Gran Bretagna.
Duri, sì, tradizionalmente duri, durissimi, ed estrosi i francesi; ma anche dialettici, forse perfino ‘troppo’ dialettici: insanabile la frattura creatasi fra squadra e commissario tecnico, Philippe Saint-Andrè; creatasi, si dice, su questioni tecniche. Ma secondo noi dev’esserci qualcosa di più profondo nella crisi che ha attanagliato nelle ultime settimane i vice-campioni del mondo. Forse un qualcosa di “culturale” fra allenatore e giocatori: un signore, un vero signore, Saint-Andrè, col difetto, però, di non saper parlare a uomini non poi molto eruditi. Ecco, così, il fossato fra personalità…
La Francia – almeno secondo noi – avrebbe comunque perso il confronto con gli All Blacks. Con un avversario di per sé fortissimo in termini tecnici quanto in termini atletici, ma apparso ora ancor più sicuro di sé, più che mai sicuro di sé e al riparo dalle vecchie tentazioni di strafare, di chiudere subito la partita.
Morale: alla Francia l’indisciplina nel match coi campioni del mondo, è costata, è costata diverse mete. Ma, alla fine, la Nuova Zelanda avrebbe comunque vinto per la propria sagacia tecnica, la propria corsa esplosiva, la tenuta atletica. E per la voglia di liquidare una volta per sempre i “demoni” francesi del ’99 e del 2011.
La “disfatta” l’ha patita oggi anche l’Irlanda, campione del “Sei Nazioni” 2014 e 2015, Nazionale indicata come una delle favorite alla vittoria finale. A eliminarla con grande autorità, è stata l’Argentina (terza ai Mondiali del 2007), 43 a 20, quattro mete contro due mete: folgorante avvio dei sudamericani che chiudono il primo tempo sul 20 a 10, fronteggiano con ordine e vigore il brillante ritorno irlandese e nei venti minuti finali lanciano la seconda offensiva, quella che col gioco ‘al largo’, quindi aperto, ‘alla mano’, fatto di fraseggi, accelerazioni, cambiamenti di fronte, stendono in modo definitivo il grande avversario.
L’Argentina. L’Argentina ha impiegato i seguenti giocatori di origine italiana: Lavagnini, Orlandi, Senatore, Cubelli, Matera, Morroni, Petti Pagadizabal; uomini resisi determinanti per presenza di spirito e incisività di gioco nel memorabile trionfo sull’Irlanda. Diversi, duole dirlo, da alcuni dei nostri i quali vestono la maglia azzurra. Diversi in quanto a maturità, sia come uomini che come rugbisti; diversi in quanto a concentrazione, a spirito d’iniziativa, a senso del collettivo, a capacità di discernimento. Rugbisti che ispirano fiducia; che dànno affidamento.
Il Mondiale delle sorprese, questo, sissignori. Una grande sorpresa la Scozia, la Scozia che non ha molto ben digerito l’avvento del professionismo. La Scozia che oggi ha sfiorato la qualificazione alla semifinale nell’incontro con l’Australia, 35 a 34 per gli “Aussies”, per una compagine composta da professionisti, professionisti esperti, maturi, alcuni dei quali (Foley, Hooper, Beale, Genia, Giteau, Ashley-Cooper, Mitchell) rugbisti di classe eccelsa. Nessuno alla vigilia avrebbe potuto immaginare che a tre minuti dalla fine del ‘match’ con la Scozia, l’Australia avrebbe rischiato appunto l’eliminazione. E’ stata salvata alla distrazione da parte d’uno scozzese nel quadro d’un ‘tourbillon’ di quelli che mettono a dura prova i nervi d’un uomo, d’un giocatore. Morale: fallo scozzese, punizione per l’Australia, Foley non sbaglia il calcio, vincono così i “Wallabies”. Ma tanto onore, sì, alla Scozia, realizzatrice di ben tre mete in campo aperto, via con la cavalleria leggera!
S’è risolta nel finale anche la partita fra Galles e Sudafrica, 23 a 19 per i sudafricani, gli Springboks; incontro tiratissimo che tutto ha chiesto ai trenta in campo e tutto hanno dato i trenta in campo. Decisivo uno spettacoloso passaggio a rovescio di un ‘avanti’, il n. 8 Vermeulen, indirizzato al saettante mediano di mischia Du Preez, che schiaccia in meta nei pressi della bandierina, Galles di sasso… Un Galles che molto aveva seminato, per poi nulla, ahimè, raccogliere.
Probabilmente era fatale che un bel giorno, come ora accaduto, quattro ‘nazionali’ dell’Emisfero Sud avrebbero guadagnato le semifinali della Coppa del Mondo; e fatale che l’Argentina si sarebbe appunto unita a Nuova Zelanda, Australia, Sudafrica, servendo così all’Europa un calice ben più amaro del solito…
La diversità di metodologia fra il Rugby dell’Emisfero Sud e quello dell’Emisfero Nord, ora ci risulta più accentuata del solito. Neozelandesi, australiani, sudafricani (anche argentini) non vengono posti sotto esame (preventivo) da commissari tecnici e allenatori. Non vengono sollecitati a concentrarsi. Non si sentono osservati poiché non sono osservati, né tantomeno spiati o guardati con aria interrogativa, con aria di sospetto, sospetto condito da grammi di sfiducia. Né si cade nell’errore opposto: agli uomini in procinto di andare al “combattimento” non si strilla che i più grandi al mondo sono loro e tutti gli altri pigmei che non possono far per nulla paura. Nel Sudafrica, nell’Australia, nella Nuova Zelanda non ci sono primi della classe, non ci sono figli e figliastri. Il giocatore è invitato a esporre le proprie idee, ma sa che il proprio punto di vista deve servire al bene comune, questa è la condizione per l’accesso al dialogo, per il diritto al dialogo. Si rispettano i singoli, ma non si scade nei particolarismi. Non c’è allenatore che, di volta in volta, si congedi dai giocatori nell’atmosfera di questioni irrisolte o con l’aria del capo che ti manda un’occhiata espressione di sfiducia, di tacita sfiducia, proprio per questo terribile. L’Inghilterra uscita clamorosamente dal proprio girone in seguito alla disfatta con l’Australia, aveva un allenatore, Stuart Lancaster, che ai giocatori non parlava o parlava assai poco, cambiava ogni volta formazione e si presentava impenetrabile, inaccessibile, distaccato. Alla luce dei fatti non c’è da meravigliarsi che, contro un’altra ‘grande’, l’Australia, appunto, gli inglesi abbiano subito un colossale rovescio.
Impareremo qualcosa noi italiani da tutto questo? Ai nostri vertici si sapranno trarre le dovute conclusioni?
Il Rugby molto insegna a chi ha la volontà d’imparare. In caso contrario, si è condannati alla solita serie di ‘occasioni mancate’; condannati alla mediocrità.