L’italiano che è riuscito a far ridere a crepapelle persino gli inglesi e i norvegesi, ha la faccia simpatica di un siciliano creativo, geniale, e la cocciutaggine di chi ha in mente un obiettivo e vuole raggiungerlo.
Dalla Sicilia delle miniere di zolfo, quella Caltanissetta cuore dell’Isola, è arrivato al Festival di Cannes. Passando per Londra, ora residenza e città adottiva di questo filmmaker e produttore che è diventato l’ambasciatore dell’italianità nel mondo. Luca Vullo, partito dalla Sicilia per studiare al Dams di Bologna ha poi scoperto una vocazione per la ricerca antropologica, ha messo sul tavolo le sue carte vincenti, i suoi punti di forza e ha rischiato tutto. Non senza reinventarsi. Ricreandosi un profilo e un talento, che all’estero si é trasformato in successo e popolarità.
Già conosciuto per due tra i tanti suoi documentari importanti, Dallo zolfo al Carbone (ricerca socio-antropologica sugli italiani che lavorarono nelle miniere del Belgio) e La voce del corpo, un docu-dramma sulla gestualità dei siciliani come patrimonio culturale, di cui La VOCE ha già parlato, Luca Vullo è reduce dal Festival di Cannes, dove il suo prossimo documentario Influx é stato presentato nella sezione Short Film Corner.
Influx, altro esempio di crodwfunding portato a termine con successo (raggiunto l’obiettivo di 23.000 sterline), è un documentario sugli italiani che vivono a Londra, quelli di ieri e quelli di oggi. Anche qui, la passione per l’antropologia, guida Luca nel tentativo di spiegare un fenomeno attraverso le storie degli altri.
Nel frattempo, lui gira il mondo, università e istituti di cultura, con La voce del corpo, proponendo anche workshop interattivi di gestualità italiana. Di recente, anche il teatro inglese ha chiamato Luca come esperto di body language per una produzione di Pirandello. Tra giugno e agosto sarà ospite al Mills College di Oakland (California) e l'11 agosto ha in programma un evento all'Istituto Itlaiano di Cultura di Los Angeles.
A La VOCE di New York, ha raccontato la sua Sicilia e l’English Dream che sta portando migliaia di italiani in fuga verso la capitale del Regno Unito.
Luca, Influx non è semplicemente un documentario. Tu lo hai definito una ricerca. Ci spieghi?

La locandina di Influx
Esatto. Il lungometraggio che ho realizzato non ha la visione statica e compiuta tipica di questo format. Parte da una considerazione: l’emigrazione di massa degli italiani. Sia quella del dopoguerra che quella di oggi. Ho seguito un flusso di storie (da qui il nome) che ho cercato di raccontare. Soprattutto, questo documentario è diventato un modo per capire me stesso e la mia esperienza.
Chi sono gli italiani di Londra?
Difficile tracciarne un profilo omogeneo. Nel mio documentario ci sono volti noti come Simonetta Agnello Hornby, Gianluca Vialli ma anche ragazzi che si sono reinventati e oggi occupano posizioni importanti.
Cosa rappresenta Londra per gli italiani?
Una sorta di American dream. La speranza, il cambiamento, la destinazione dopo la fuga ma spesso anche l’illusione. Non tutti trovano quello che cercano.
Quali sono le spiacevoli sorprese che questa città può riservare?
Se non vieni con un obiettivo preciso, rischi di perderti. L’ostacolo principale è la lingua, che molti sottovalutano. Londra è una città veloce che ti chiede di andare alla stessa velocità. Ti offre molte opportunità ma tu devi essere pronto, competitivo.

Il team di Luca Vullo a lavoro a Londra
Cosa, invece, accade a Londra che non accade in Italia?
La fluidità nel concludere gli accordi, la velocità, la mancanza di una burocrazia farraginosa. Possibilità concrete che la tua vita possa cambiare e in meglio. Per me è stato quasi uno choc quando mi hanno telefonato per chiedermi se volevo essere il consulente body language per la produzione teatrale di Liolà a Londra. Non credevo che potessero contattarmi, farmi un contratto, pagarmi subito e bene.
Parliamo della tua emigrazione. Da Caltanissetta a Bologna, dove hai studiato. Infine Londra. Anche tu alla ricerca del London dream?
Dopo aver lasciato Bologna, ho lavorato anche in Sicilia e per la mia Sicilia. A un certo punto mi sono reso conto che non era facile. A Londra sono partito da zero. Ho messo nero su bianco le mie debolezze e le mie capacità. Non parlavo bene l’inglese ma avevo diverse esperienze come filmmaker, produttore e nel campo di media education all’interno di scuole ed istituti penali. Oggi a Londra vivo benissimo, ho tantissime proposte di lavoro che mi portano in giro per il mondo.
In che cosa ti assomiglia Londra?
Ha il mio stesso ritmo, è veloce, aperta a nuove esperienze. Non ha pregiudizi e ama rischiare.
Gli italiani di Londra come si vedono e si comportano tra loro?
Ci sono due atteggiamenti: gli snob che si girano dall’altra parte quando sentono parlare italiano e quelli che stanno solo con italiani. Alcuni sono parte integrante del sistema inglese, altri no.
Gli inglesi, invece, come ci vedono?
C’è un detto che vale anche per i tedeschi: ci amano ma non ci stimano. Amano il cibo, il buon gusto, la moda ma non sopportano la nostra disorganizzazione.
La tua sicilianità, quella da cui a volte scappiamo, ti ha portato al successo, se pensiamo al tuo lavoro di ambasciatore della gestualità come patrimonio culturale.
Non sarei quello che sono oggi senza il mio essere siciliano. La Sicilia mi ha dato tanto, nel bene e nel male. Mi fa soffrire e non mi da pace il fatto di non riuscire a viverci. Sembra che noi siciliani siamo condannati a questa eterna conflittualità e insofferenza. All’estero, però, stiamo per entrare nella categoria “mito”.
Anche il tuo documentario Influx é, alla fine, pieno di siciliani.
In questo viaggio, ho incontrato e continuo ad incontrare sempre grandi talenti siciliani. Una specie di attrazione che ci portiamo dentro.
La storia più interessante che hai raccontato in Influx?
Joe Ricotta, siciliano da anni a Londra. Ha costruito un impero con l’import di prodotti siciliani nel Regno Unito. È partito da zero. Quando l’ho incontrato, sapendo che ero siciliano, ha iniziato a parlare in dialetto stretto. Grazie a lui, mio principale sponsor, il progetto in crowdfunding di Influx ha raggiunto l’obiettivo dei fondi.
Dietro Luca Vullo c’è anche una bella squadra di giovani ma anche due donne importanti.
Mia sorella, braccio destro della quale mi fido ciecamente e mia madre. Senza mia madre, di origine calabrese, che, tra le altre cose, ha sempre curato i mie catering, non sarei arrivato a raggiungere certi obiettivi.