Rassegnarsi alla morte, al dolore della perdita, mettersi l’anima in pace. Fa parte del ciclo della vita a cui nessuno può sottrarsi ma restare in bilico, senza risposte, senza la certezza di nulla. Così si impazzisce. E’ quanto vive da più di un mese, la famiglia di Carmine Balzano, il trasportatore napoletano che viaggiava a bordo del traghetto «Norman Atlantic» e del quale non si hanno più notizie dal giorno del grave incidente, il 28 dicembre scorso. Durante un viaggio tra Igoumenitsa e Ancona con a bordo 443 passeggeri, 56 membri dell'equipaggio ed almeno cinque clandestini, la nave subì un grave incendio nel Canale d'Otranto. Sono stati 10 i corpi di vittime recuperati (altri due, avvistati in mare, non sono stati recuperati), decedute in mare per annegamento od ipotermia, mentre 15 passeggeri e tre clandestini risultano ancora dispersi. 477 persone sono state tratte in salvo tra il 28 ed il 29 dicembre. Durante i tentativi di prendere a rimorchio il relitto, il 30 dicembre, due marinai del rimorchiatore albanese hanno perso la vita per la rottura di un cavo, portando il numero delle vittime accertate a 12. Tra i dispersi c’è Carmine Balzano, appunto. Lui che viaggiava assieme ad altri due trasportatori campani, i cui corpi sono stati recuperati. Lui tra i primi a salire su un gommone che avrebbe potuto salvarlo, se quel gommone non si fosse ribaltato. La beffa di sopravvivere all’incendio per morire su quel mezzo di salvataggio da cui alle 3.30 del 28 dicembre avvisò la famiglia che stava bene, che andava tutto bene. Prima di cadere in mare e di far perdere da allora le sue tracce. Ma la famiglia non si rassegna. Vuole il corpo del suo congiunto, vuole la verità su cosa è realmente accaduto quella notte. Troppi silenzi, troppe incongruenze, troppi dubbi, ancora irrisolti. La rabbia si trasforma, però, in denuncia.

Carmine Balzano
Per raccogliere quella denuncia, abbiamo incontrato il figlio di Carmine, Mario e la moglie Anna Spina. Vivono in un appartamento in un antico palazzo di Vicoletto Vasto a Chiaia, nel cuore di Napoli. Ci accolgono con il più tradizionale dei benvenuti, un caffè, davanti al quale si sfogano, denunciano, si arrabbiano, fanno uscire il loro dolore, il loro sentirsi abbandonati dal Governo Italiano, e il loro disperato appello, a chi sa e a chi può aiutarli a ritrovare almeno il corpo di Carmine.
Il vostro dolore si mischia alla rabbia e oggi, dopo più di un mese da quella tragedia vi sentite anche abbandonati dalle istituzioni. Laddove non arrivano loro volete però arrivare voi?
Anna Spina (moglie di Carmine): "Abbandonati, esatto. Da tutti. Dal Comune di Napoli, dal Governo Nazionale. E’ per questo che abbiamo lanciato un appello per cercare di raccogliere fondi per andare noi in Albania e in Grecia, per cercare noi mio marito. Chiediamo aiuto al popolino, visto che per le istituzioni la cosa più importante è stata recuperare la nave, un pezzo di ferro. Noi siamo invece, abbandonati a noi stessi".

Anna Spina
Il dolore per la perdita di suo marito e anche, va detto, una situazione economica drammatica: era il lavoro di Carmine a mantenervi…
Anna: "Sì, lavorava solo mio marito. Non solo non ho più lui, ma non ho più nemmeno un soldo, nessuno mi aiuta. Nemmeno il Sindaco (di Napoli, luigi De Magistris, ndr), che aveva promesso di non lasciarci soli e invece! Era una tragedia che si poteva evitare. Ora si pensa a quel maledetto rottame (il relitto del Norman Atlantic è stato rimorchiato a Brindisi, dove è giunto il 2 gennaio 2015, ndr), noi siamo solo numeri. Non basta la sofferenza di chi è morto, c’è anche la disperazione delle famiglie… vogliamo i nostri corpi, vogliamo quello che ci spetta, siamo abbandonati, siamo anche noi su quella scialuppa".
La signora Anna parla con una voce ferma, devastata dal dolore ma ferma. Scandisce bene le parole e se non bastassero quelle basta guardare i suoi occhi per capire che è una donna distrutta. In una casa modesta ma ben curata, ci sono foto che la ritraggono assieme a suo marito e si fa fatica a riconoscere in quel volto segnato il sorriso che aveva stampato in quelle foto, accanto al suo Carmine. Ci rivolgiamo a suo figlio, Mario. Emigrato in Germania con moglie e figlia, è tornato in Italia per stare vicino a ciò che resta della sua famoglia. A lui chiediamo di raccontarci di quella notte, di come sono andate le cose…
La cosa assurda in questa tragedia è che c’è l’atroce sospetto che si potesse evitare, che qualcosa è andato storto. Il paradosso di tuo padre che si era salvato e invece è disperso, ancora. Cosa sapete di quella lunga notte?
Mario Balzano (figlio di Carmine): "Sì, si poteva evitare. Se ci fossero stati soccorsi più tempestivi. Oggi ciò che ci preme è riportare a casa papà. E’ per questo che abbiamo avviato questa raccolta di fondi: vogliamo andare noi a cercarlo. Oggi l’unica nostra fonte di informazione sono i social. Abbiamo creato un gruppo su Facebook dove siamo in contatto con le famiglie degli altri dispersi (Carmine Balzano. Ancora non è Finita, ndr). Ci facciamo coraggio a vicenda".
E con le istituzioni? Siete in contatto con le Istituzioni?

Mario Balzano
"Macchè. Tutto si riduce ad un call center, non ci dicono nulla. Non so neppure se è ancora attivo".
A far rabbia sono anche i tanti interrogativi di questa triste storia. A partire dagli orari, che non coincidono…
"Infatti… Loro dicono che la tragedia è avvenuta intorno alle 4.30, ma noi alle 3.30 eravamo già stati avvertiti da mio padre! Ci sono troppe cose che non tornano: una nave che affonda, i soccorsi che non partono, il ruolo della Grecia e poi dell’Albania dalla quale la nave non era affatto distante, anzi. E poi le griglie anti-incendio ostruite, il sistema che non ha funzionato. Ancora troppe domande senza risposta".
Oltre al dolore, voi siete giustamente arrabbiati, il destino ha…
Mentre cerchiamo di rivolgere la domanda a Mario, interviene sua madre, con un tono molto duro di chi non ha più lacrime ma solo sete di giustizia:
"Non c’entra niente il destino! Non è stato il destino! Me l’hanno ucciso, questa è la verità".
La voce di Anna si fa sempre più dura, sempre più arrabbiata, si alza ancora.
"E non solo me l’hanno ucciso, ma non lo cercano nemmeno più. Quante persone mancano ancora? Cos’altro ci nascondono?? Devono ridarmi mio marito! Non mi hanno mai detto la verità! Questa è l’Italia?"
Anna va oltre, fa nomi e cognomi, quello di Gioacchino Alfano, sottosegretario alla Difesa, lui che gli ha permesso di andare a Bari, ospiti dello Stato per le ricerche e poi da un giorno all’altro li ha rispediti a casa, senza farsi più nemmeno sentire. E poi il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, che aveva promesso di aiutarli ma nemmeno delle sue promesse c’è più alcuna traccia. Interviene di nuovo Mario che racconta un particolare che ha dell’assurdo:
"Il 31 dicembre, tre giorni dopo la tragedia, suggerì di geolocalizzare il cellulare di mio padre. Feci una richiesta formale, consegnai tutti i documenti necessari. Sembrava la cosa più ovvia da fare. Eppure 5 giorni dopo, la mia richiesta non era stata neppure inoltrata. Ci dissero che l’avrebbero fatto. Non l’hanno mai fatto. A volte mi sembra che sia tutta una grande presa in giro. Noi stessi ci sentiamo presi in giro".