Come il Buffalo Bill di Francesco De Gregori, lui, tra la vita e la morte, ha scelto l’America. Renato Zacchia, siciliano di Catania, arriva nel 1985 a New York dopo un diploma in scenografia e una carriera nei teatri siciliani come scenografo.
Ci arriva dopo una tappa a Parigi e Londra. Sceglie New York per curiosità e per gioco. Nella città più fotografata al mondo, Renato non è consapevole che la fotografia stava prendendo il sopravvento sulla sua scelta artistica. Accadde prima in un viaggio in India, quando gli amici gli fecero notare che le sue foto avevano un quid in più. Del resto, in un viaggio a ritroso con la memoria, l’amore per la fotografia inizia sin da bambino: quando giocava con una camera oscura costruita con una scatola di cartone. La fotografia era lì, nascosta nella passione per la luce, per l’arte classica e per la bellezza.
Renato non è stato solo il fotografo ufficiale della Ferrari, e oggi della Maserati, è il fotografo che ha lavorato con le riviste più importanti e artisti di spessore come Michelangelo Antonioni, che ha seguito durante il suo documentario sulla Sicilia.
Nei suoi ritratti c’è la luce che interseca i colori, ci sono i dettagli mai trascurati, il barocco catanese, i tramonti siciliani e la bellezza balcanica di Milla Jovovich. Ci sono i paesaggi urbani, l’architettura di ieri e quella moderna delle metropoli. C’è l’Etna in bianco e nero, New York in movimento e ritratti di paesaggi umani. C’é anche l’amore per i viaggi, connubio perfetto per chi ama la fotografia. Nascono così due libri per Ferrari e Maserati: un coast to coast americano e uno, di prossima uscita, da San Francisco verso l’Alaska sulle orme dei cercatori di pepite d’oro.
Renato porta in giro il brand Italy automobilistico più famoso al mondo nei paesaggi americani. Cattura la perfetta armonia tra macchine e deserto americano, le coste del Big Sur, la struttura urbana di New York.
La fotografia per lui diventa vita, un concetto da esprimere senza avere bisogno delle parole. E dice, “una notizia si guarda e una foto si legge”.
Renato tu hai lasciato la Sicilia e la tua Catania con l’amaro in bocca. Perché?
Avevo vinto un concorso importante al Teatro Bellini di Catania sulla scenografia che però non mi ha dato il seguito che mi aspettavo. Ho avuto molte delusioni. La Sicilia cominciava, con le sue dinamiche, a starmi stretta. Ho prima optato per Londra e poi Parigi. A un certo punto ho deciso di fare il passo più lungo della gamba. Non potevo non scegliere New York.
Come inizia l’avventura nella Grande Mela?
Inizia per gioco. Io e mia moglie, per sbarcare il lunario, vendevamo torte che lei realizzava. Poi ho iniziato a lavorare come assistente di Alberto Rizzo, famoso fotografo di moda. Da lui ho imparato tantissimo e ho fatto il mio ingresso nel mondo della moda che mi ha dato accesso alle più grandi riviste.
Poi arriva la Ferrari. La grande svolta
Arriva per caso e in maniera inaspettata. Un mio amico e collega mi chiede di assisterlo nella realizzazione di un servizio fotografico per automobili. Il caso vuole che l’editore apprezza più le mie foto che le sue. Poi un incontro con Giampaolo Letta, oggi CEO di Medusa, il quale dice di conoscere i miei lavori e mi propone un servizio per la promozione della Ferrari. Pensavo che, dopo la discussione, non mi avrebbe richiamato. Invece lo fece, così come mi aveva promesso. Dieci anni alla Ferrari sono stati intensi, pieni di viaggi e successi. Un lavoro che oggi continuo con Maserati. I primi anni con Ferrari sono coincisi con il passaggio al digitale, le tecniche più sofisticate, per essere fotografi con stile ma anche al passo con la tecnologia.
Tra una bella Ferrari e una altrettanto bella Maserati. Quale delle due ti piace più fotografare e guidare?
Difficile dire, sono due prodotti esclusivi di stile ad alta tecnologia, capaci di rievocare il mito, l’eleganza e la velocità, un perfetto binomio tra classicità e contemporaneità.
Ma dopo aver fotografato l’ultimo miracolo della casa del Tridente, mi piacerebbe guidare, appena sarà disponibile, la nuova Alfieri Concept dal volto aggressivo ed essenziale, un’eleganza proiettata nel futuro.
E sei tornato, nel 2013, sul carro del vincitore al Teatro Bellini di Catania
In qualche modo sì. Dopo anni, finalmente mi hanno contattato per realizzare il video ufficiale di promozione del teatro nel mondo. Ho colto il teatro nei momenti ufficiali e anche quelli più intimi. Per me un lavoro importante visto che si tratta della mia città e di una struttura bellissima che tutto il mondo merita di conoscere.
È difficile fotografare New York senza il rischio di non essere originali?
È facile non essere originali, sicuramente. Io ho iniziato a fotografare Brooklyn per poi arrivare a Manhattan. Quello che conta è il concetto che vuoi esprimere in maniera personale. Di recente, ho pubblicato on line il mio archivio di un progetto chiamato Moving city che ho iniziato 10 anni fa. Una lettura personale di New York. Una tecnica nuova con la macchina fotografica dal basso che ritrae in scatti persone e luoghi in movimento. Così New York, che siamo stati sempre abituati a vedere con il naso all’insù, diventa una città dal basso.
Parlaci della New York nelle tue fotografie.
New York ha una luce unica, rara. Mi piace lo skyline dove c’erano le Torri Gemelle, la gente nella metropolitana, l’architettura e Times Square. Nella piazza più fotografata al mondo, c’è una fotografia umana bellissima. Ognuno cerca di vivere il suo momento di gloria. Io amo fotografare buttandomi tra la folla, negli incroci. Il mio prossimo progetto sulla città sarà New York in timelapse ma al contrario.
La tua Sicilia, invece, negli scatti che diventano memoria.
La Sicilia ha molti spunti, paesaggi meravigliosi. Io amo fotografare il barocco di via Crociferi, a Catania, l’Etna che ho riscoperto, le spiagge, Noto, Siracusa. Mi piacciono gli intonaci, i muri, l’odore di zagara. Sensazioni che puoi tradurre ed esprimere con una foto. Non finirei mai di fotografarla e di riscoprirla, ogni volta che scatto una foto.
Che Sicilia hai riscoperto dopo tutti questi anni a New York?
Quando ho lavorato con Antonioni al suo documentario sulla Sicilia, ho guardato e scoperto l’Isola con occhi diversi. Lavorare con Michelangelo Antonioni è stata un’esperienza straordinaria sia professionalmente che umanamente. Di recente, ho riscoperto l’Etna, con cui noi catanesi abbiamo una relazione speciale. È un nostro punto di riferimento fisico e psicologico. Ma anche la zona di Giarre e Riposto.
Dei grandi fotografi siciliani, chi scegli come punto di riferimento?
Ferdinando Scianna quando lavorava negli anni in cui lavorava con Sciascia. Lui ha saputo, più di tutti, trasmettere la teatralità delle processioni religiose. In quei riti, la religione diventava teatro.
Cosa rappresenta la fotografia per te?
La ricerca del bello, della bellezza. Vengo da una formazione classica e anche l’essere siciliano mi ha aiutato in una certa visione estetica. Non sono arrivato alla fotografia in maniera amatoriale né approssimativa. La scenografia, che rappresenta il mio primo bagaglio culturale, è sempre stata per me una forma di fotografia. Nella foto conta la luce, la tecnica ma più di tutti il contenuto. Il concetto. Anche in un settore più frivolo come la moda, io ho sempre ricercato il bello in senso classico. Ho voluto esprimere sempre un valore alto in uno scatto, a prescindere dal contesto.
Quali sono le emozioni che provi quando fotografi?
La fotografia per me è la vita. Se potessi smetterei di parlare e comunicherei solo con le immagini. Per me, una notizia si guarda e una foto si legge.
Se Renato Zacchia non fosse diventato un fotografo?
Il mio sogno era di diventare architetto. Per questo ho studiato architettura per due anni a Palermo. Non ho mai finito gli studi ma non ho mai smesso di amare l’architettura nella foto. Poi ho amato il teatro perché racchiude gli elementi della fotografia e dell’architettura.