Serena Dandini, 59 anni e una carriera segnata dall'impegno sociale, da circa un anno sta girando l'Italia con uno spettacolo sulla violenza contro le donne, scuotendo le coscienze sul tema del femminicidio. Ferite a morte, che a novembre arriva anche negli USA, è una raccolta di monologhi tratti da reali fatti di cronaca. Abbiamo incontrato Serena Dandini a Trento, dove ha animato un reading tratto dal suo libro-spettacolo. Sul palco assieme a lei la ricercatrice Cnr Maura Misiti, un gruppo di assistenti sociali, operatori della sanità e membri delle forze dell'ordine che hanno partecipato ad un percorso formativo sul tema della violenza contro le donne organizzato dalla Provincia autonoma, e le attrici Lella Costa, Rita Pelusio, Giorgia Cardaci, Orsetta De Rossi.
Qual è stato l'impatto che i suoi testi stanno avendo sul pubblico?
Un impatto più forte di quello che io stessa potevo immaginare. A volte si scrivono le cose perché si ha l'urgenza di comunicare, ma senza sapere cosa succederà. Io ho un po' lanciato il cuore oltre l'ostacolo, nel senso che volevo che di questo tema si parlasse non solo nei convegni scientifici, nei simposi, che sono importanti e vanno benissimo, ma spesso non smuovono l'opinione pubblica. Ho usato la forma drammaturgica, dando la parola direttamente alle vittime, e si è creata questa strana empatia con il pubblico, che non so spiegare, ma che chi frequenta il teatro conosce bene. Una forte immedesimazione, perché si raccontano pezzi di vita che ognuna di noi, in fondo, in un momento o un'altro, ha vissuto, certo senza arrivare alle estreme conseguenze.
Il punto di partenza di questi monologhi sono vicende reali.
Sì, ci sono le ricerche di Maura Misiti, i dati che scaturiscono da queste ricerche, ma anche le storie, i casi reali, i verbali dei processi – come ad esempio quello in cui l'assassino racconta lo strangolamento della fidanzata con il cavo del dvd e il soffocamento finale con un tovagliolo imbevuto di candeggina – sui quali io poi ho inventato: nomi, date, luoghi, espressioni, ovviamente, sono stati cambiati. Ma, come scrivo alla fine del libro le situazioni non sono casuali, cioè tutto il contrario della scritta che di solito compare al cinema in chiusura di un film. Perché purtroppo sono storie, per quanto false, tutte vere.
Lo spettacolo è in tournè da un anno. Qual è il suo percorso futuro?
Devo dire che corre più veloce di me, fatico a stargli dietro. Adesso stiamo per andare in America, ci ha invitato la Commissione delle donne dell'Onu, a fare un reading, il 25 novembre, in inglese, le letture saranno affidate a lettrici americane. Poi a dicembre andremo a Londra. Quello della violenza contro le donne e in particolare della violenza domestica è come un filo rosso che unisce le diverse parti del mondo, il che rende queste letture, purtroppo, riconoscibili ad ogni latitudine. Ciò può servire però per fare rete, per unire le forze, come ho visto che cercate di fare qui a Trento, ed è molto importante.
A proposito, girando il nostro Paese, che impressione ha avuto sullo stato della coscienza civile attorno a questo problema?
Le cose stanno un po' cambiando, e si vede. Ma il lavoro che rimane da fare è moltissimo perché in generale la violenza domestica è sempre stata considerata quasi un effetto collaterale della famiglia, della coppia, un fatto per così dire folcloristico. Non dimentichiamoci poi che in Italia solo da pochi anni sono state tolte le attenuanti per il delitto d'onore. Il grande sforzo che bisogna fare quindi è soprattutto culturale, è sulla prevenzione. Come cerchiamo di fare anche noi con questo spettacolo. Ed è un lavoro che deve vedere coinvolti anche gli uomini.