Instancabile, dopo il tour de force della 63esima edizione del Festival di Sanremo, di cui è stato il direttore musicale, e la colonna musicale dell’ultimo film di Gabriele Salvatores, Educazione Siberiana, per il quale ha vinto il Ciak D’Oro, il maestro Mauro Pagani è ora a New York con una delegazione dell’Orchestra Popolare della Notte della Taranta. Suoneranno domenica 14 luglio a Boston e lunedì 15 e martedì 16 a New York a Le Poisson Rouge.
La Notte Della Taranta è il festival itinerante che si tiene ogni agosto in Puglia, nei comuni dell’area ellenofona della provincia di Lecce, la Grecìa Salentina, e che culmina con il Concertone a Melpignano, durante il quale diversi gruppi di musicisti rivisitano reimpastando con altri linguaggi musicali la tradizione dell’antica danza popolare della Pizzica.
Mauro spiega a La VOCE di New York l’importanza del Concertone, di cui è stato maestro concertatore dal 2007 al 2009: “Nato da un'iniziativa di un gruppo di piccoli comuni della Grecia Salentina con l'intento di celebrare e rivitalizzare le tradizioni musicali di quella terra, nel corso degli ultimi 14 anni ha preso via via un'importanza tale da generare un festival annuale che registra una ventina di concerti sul territorio, un grande concerto finale con un pubblico medio ormai consolidato di 150.000 persone, ma soprattutto un impulso straordinario al consolidamento di un'identità culturale che non ha paragoni in Italia, con un’enorme ricaduta positiva sul sistema economico e sociale della Grecìa Salentina e dell’intero territorio. Senza dimenticare poi la nascita, tre anni fa, della Fondazione: La Notte della Taranta, molto attiva e determinata, con l'obiettivo da un lato di conservare e preservare ciò che fin qui ci è giunto dell'antica tradizione musicale Salentina, e al contempo di aiutare e valorizzare i nuovi talenti che via via ivi nascono e crescono”.
La Pizzica è danza e musica antica le cui origini affondano forse nella Grecia, e attraverso le migrazioni che hanno interessato quest’ultima così come le conquiste dei suoi condottieri: nell’Asia Minore dei rituali dionisiaci dunque e nell’India e nella Persia, come “riportate” a casa dalle truppe di Alessandro Magno, per esempio. Ha mantenuto a lungo una duplice funzione: intrattenere e allietare, con il nome di Pizzica Pizziza – una forma cosiddetta “nobilitata” della tarantella — e curare. In quest’accezione ha servito per secoli come danza rituale liberatoria delle tarantolate, donne della classe contadina che, morse dal ragno lupo (lycosa tarantula) durante il raccolto nella stagione “pesante”, — l’estate — esperivano d’improvviso una malinconia apparentemente incurabile, una “noia” che solo l’incessante, parossistica musica del violino e dell’organetto e il concitato ritmo del tamburello sembravano fugare.
Reminiscente fra tanti, dei riti taumaturgici dell'antica Grecia in cui il flauto e i cimbali venivano utilizzati per esorcizzare le possessioni demoniache, curare la melancolia, trattare l’insonnia e persino l’acufene, il fenomeno fu documentato nel 1959 dallo studioso Ernesto De Martino, che ne scrisse nel suo capolavoro: La Terra del Rimorso.
Mauro elabora:
“Quest'invenzione della possessione come forma sociale è una meravigliosa valvola di sfogo. Permette di ammettere i diversi, perdonarne gli errori e gli eccessi, ‘le crisi di nervi’, gli stati confusionali occasionali. E curare questa ‘noia’ con una danza collettiva, usando la musica come un’acqua benedetta che assolve i peccati”.
Nella danza delle leggiadre ballerine sui palchi e nelle piazze del Salento durante la Notte della Taranta non v'è nulla di quell’angoscioso malessere ben visibile nel prezioso documentario “La Taranta”, di Gian Franco Mingozzi, del 1962. Lì, la tarantolata che balla al suono concitato del violino, del tamburello e dell’organetto, suscita, in chi la guarda oggi, profonda compassione. In una stanza povera la donna ballerà senza requie per ore, infine per giorni, la danza della liberazione che la sciolga dalla “noia” di cui è vittima, mentre un bambino seduto su di una seggiola regge il dipinto di un San Paolo severo che si spera la perdoni, l’assolva. E in quell’immagine la donna sembra quasi specchiarsi, mentre, ignara forse solo a metà delle ragioni del proprio malessere, patteggia con l’effige i termini della sua guarigione prima che, scontenta di una risposta che solo lei sente, colpisca il quadro con un pugno e ritorni sulla sua coperta a terra, rabbiosa ma infine rassegnata a ricominciare la danza tormentata che infatti, quasi immediatamente, il corpo, benché esausto, riprende meccanicamente a ballare, appena riattacca la musica dei suonatori.
“Era un processo di cura vero e proprio e dunque lento e doloroso” rileva Pagani commentando il fenomeno sociale, oramai scomparso, del tarantismo e le sue particolarissime modalità. De Martino suggeriva che il rito utilizzava la musica per esorcizzare il “male”. Un conflitto inconscio e dunque irrisolto e per questo motivo espresso come nevrosi –la “noia”- veniva periodicamente “evocato” e dunque simbolicamente “realizzato” nella danza attraverso la musica, alleggerendone per un po’ il peso e riportando nelle tarantolate un relativo equilibrio psichico. Ma ben lontana da quei piccoli passi, dal vorticare aritmico su se stesse, dal rotolare in terra senza grazia pausando in una fissità improvvisa o dal procedere rasente i muri e arrampicarsi sull’altare della chiesa di San Paolo a Galatina il 29 Giugno, il giorno della sua celebrazione, quando in massa le tarantolate venivano portate dai parenti a chiedere al santo la grazia, è la Pizzica che danzano oggi le ballerine vorticando nell’aria come farfalle, al ritmo incessante di una musica ora più complessa, manipolata da diverse influenze e rivisitata da una musica più colta ma ancora ipnotica e che può togliere il fiato. Qui la liberazione è già avvenuta, non è in atto. L’esperienza della fruizione della musica e della danza è gioiosa e trascinante, invita alla partecipazione. L`arte è iconoclasta: mimetizza, trasforma, innalza, fa il verso, risponde. Ma allora ne consegue che in altra forma, ancora oggi la Pizzica ha valore estatico e terapeutico?
“Il rapporto che la gente ha ora con questa danza si è spostato su un piano di consapevolezza diverso” commenta Pagani, “non c’è più bisogno di giustificare eccessi e conflitti inconsci e la danza è quindi l’espressione gioiosa di questa consapevolezza. Siamo ovviamente lontani dalla cultura e dai contenuti del tarantismo. Per definire appieno la musica che noi suoniamo è più corretto usare il termine musica popolare salentina, che come ogni cosa viva cambia e si muove e si confronta con i suoni del mondo che la circondano e continuamente si evolve”.
Insieme con Mauro Pagani sul palco ci saranno musicisti straordinari: Stefania Morciano ed Enza Pagliara alla voce, Antonio Castrignanò alla voce e tamburrello, Carlo "canaglia" De Pascali al tamburrello, Claudio Prima alla voce e organetto, Gianluca Longo alla mandola e chitarra, Antonio Marra alla batteria e Silvio Cantoro al basso.
“Dalla fine degli anni settanta mi sono appassionato alla World Music. Crêuza de Mä, l’album che ho scritto con De André, del 1984, era il coronamento di quella ricerca, mescolanza e rielaborazione di diverse sonorità. Anche questo mi ha interessato della Pizzica, come si affacciava sul mondo cercando il dialogo con le altre culture, e pur mantenendosi ferma sulle proprie radici si apriva alla contaminazione”.
La Pizzica oggi tende l’orecchio all’intero Mediterraneo. Affidandosi alla riflessione, alla manipolazione, all’interpretazione e allo scambio con altri linguaggi musicali ripercorre la via del ritorno alle sue misteriose origini e si espande prima di riprendere per la costa brulla del Salento.