Per un’ora e mezzo musicisti straordinari hanno travolto i sensi e le emozioni del pubblico. Al ritmo serrato dei sei ottavi delle tammorre e dei tamburelli e nelle melodie canoniche dell’organetto e del violino, la narrativa era quella della Pizzica e della Tarantella, naturalmente riconoscibilissima per chi non è novizio di questa tradizionale musica e danza terapeutica oramai nella sua forma attuale quasi millenaria. Affonda le sue radici negli antichissimi rituali dionisiaci importati nell’antica Grecia e nella Magna Grecia dall’Asia Minore, ma a New York è stata ascoltata nella moderna architettura musicale come concepita dal maestro Mauro Pagani sul canovaccio degli eclettici musicisti, dalla possente batteria di Antonio Marra, al basso attento di Silvio Cantoro alle avviluppanti chitarra elettrica e mandola di Gianluca Longo.
Mauro Pagani (Foto Stefania Zamparelli)
La musica ieri sera da quel palco è riuscita a richiamare i campi, la luna, i passi veloci, i piedi scalzi, la gioia dell’amore, il batticuore di quelle estati lontane, quando anche chi scrive, una bambina, correva in piazza, alla festa del Santo, sperando di ballare. Ma l’ha restituita a chi ascoltava, come l’eco di chi chiama nel vuoto, perché è solo così che le cose ci tornano, trasformate, e come potrebbe essere diversamente? Il passato non esiste più. Esiste invece, come cosa viva, l’evoluzione del linguaggio e ieri sera, la pizzica e la tarantella dei nostri genitori erano materia prima in trasformazione nella voce e nelle mani dei musicisti sul palco del Poisson Rouge. Ed eccola ieri sera, l’italia contadina e pastorale del Sud, dedita al lavoro dei campi, alla transumanza, legati ai riti della terra da cui dipende la sopravvivenza, l’italia sfortunata e dura, l’Italia dei baroni, l’Italia che Garibaldi venne a liberare, l’Italia sconfinata e piccola che ha i suoi codici e i suoi dialetti, le sue lingue misteriose, che ha i suoi riti, che ama la Madonna più che il figlio, perché chi non la capisce la Madre che “chiagne lu figghiu”? Eccola rediviva e nuova, ironica e commossa.
Era un Italia che sembrava dovesse scomparire, di cui bisognava aver vergogna, da cui bisognava nascondersi crescendo, e che come per miracolo, da quindici anni, i giovani hanno rivendicato con forza, gli unici in Italia, come ha rilevato anche il maestro Pagani -in Campania con la Tammurriata, in Puglia con la Pizzica e in Lucania, Calabria e in Sicilia con la Tarantella-.
L'orchestra Popolare della Notte della Taranta al Poisson Rouge (Foto Stefania Zamparelli)
E quell’Italia, con giocosa ironia, sembrava vibrare in bocca ad Antonio Castrignanò, quando cantava la canzone “L’acqua della Fontana”, 'scherzo' che tuttavia per il suo contenuto anche troppo popolare sarebbe stato difficile da fruire per un pubblico intellettuale qualche anno fa. Nell’interpretazione dello straordinario cantante e negli arrangiamenti del Maestro Pagani il brano ha riacquistato una forza e un entusiasmo che rivelano come la disciplina nobilissima dell’arte azzeri ogni distanza fra mondi diversi e recuperi al linguaggio della bellezza la leggerezza delle cose. O i significati più profondi e universali, come nel caso di “Ferma, zitella”, quasi un blues per la sua tonalità minore, cantato con passione da Enza Pagliara.
E con quale forza, invece! di nuovo Castrignanò ha eseguito la struggente dichiarazione d’amore “Tarantella del Gargano” in un arrangiamento indimenticabile, sonorità accese e allungate in movimenti ondivaghi, un’ombra di fado.
Bravissime le due cantanti Enza Stefania Morciano ed Enza Pagliara, che hanno entrambe dato splendide interpretazioni di brani di pizzica tradizionale così come di canzoni in dialetto greco, dalle zone della Grecìa salentina, ma anche accompagnato il Maestro Pagani in coro in due bellissimi brani in genovese dall’album Crêuza de mä, il suo capolavoro di World Music del 1984, in collaborazione con il Maestro De André, che di nuovo, nel nuovo arrangiamento con i musicisti dell’Orchestra della Taranta, hanno respirato risonanze nuove, in armonia con quell’idea del continuo vivo dialogo fra le culture.
Claudio Prima (Foto di Stefania Zamparelli)
Ed esplosivo Carlo “Canaglia” de Pascali al tamburello così come indimenticabile all’organetto Claudio Prima, con la sua voce generosa, che sa di salsedine e ha riempito la sala, toccando il cuore. E sorprendente fino a lasciare senza fiato anche nel dialogo serrato tra l’organetto e il violino in Europa Minor, il celeberrimo brano di Mauro Pagani.
Un concerto entusiasmante che si ripeterà questa sera. Un regalo da farsi in questa caldissima estate newyorchese.