In occasione di Open Roads, il festival del cinema italiano ospitato dal Lincoln Center di New York, abbiamo incontrato Salvatore Mereu, regista di Bellas Mariposas (Pretty Butterflies), suo ultimo successo, tratto dall’omonimo racconto di Sergio Atzeni. Il film, selezionato nella sezione Orizzonti della 69ª Mostra del cinema di Venezia, è ambientato a Cagliari e racconta con tocco leggero la drammatica vita di due adolescenti e della gente del rione sottoproletario dove vivono. Cate e Luna sono due creature pure, nel fiore della loro prima adolescenza, che si affacciano alla vita riuscendo a sognare nonostante la bruttura della periferia che le circonda. O forse è proprio quel degrado, materiale ma soprattutto umano, che le spinge a sognare di ribellarsi e fuggire lontano.
Il film tratta con tocco lieve e delicato temi di uno scottante e tragico realismo. "Voi non sapete cosa vuol dire vivere a casa mia", dice la dodicenne Cate guardando dritto in camera, e appena la telecamera spazia, mostrando il fatiscente appartamento popolare della periferia cagliaritana, è subito chiaro che viene da crederle. Il padre è un fallito parassita maniaco del sesso, la madre fa quello che può per tirare avanti, le sorelle e i fratelli non si contano, la sorella maggiore appena ventenne si prostituisce ed ha già una nidiata di figli, un altro fratello è un tossico che si buca nel letto a castello, un altro ancora un delinquente teppista. Insomma, il quadro è veramente agghiacciante, ma la leggerezza con cui questi argomenti sono trattati, presentati con l’innocenza di una ragazzina che guarda oltre la bruttura in cui vive, quasi come fosse cosa che non la riguarda, perché lei “vergine e cantante vuole essere”, è capace di fare quasi sorridere lo spettatore. Bellas Mariposas ricorda i primi film di Almodovar, dove i protagonisti sono gli umili, a volte i disperati, ma presentati solo per quello che sono, senza essere giudicati o condannati.
Il film sarà proiettato nuovamente al Lincoln Center martedì 11 giugno alle 6.30.
Salvatore Mereu, regista sardo, classe 1965, si laurea al Dams di Bologna, studia cinematografia a Roma, e dirige tre cortometraggi, prima di vincere nel 2004 il David di Donatello come miglior regista esordiente col suo primo lungometraggio, Ballo a tre passi, un film diviso in quattro episodi che dipinge in un modo nuovo e intenso la sua Sardegna. Seguono Sonetàula, Tajabone e Bellas Mariposas. Mereu, cordiale, simpatico e disponibile, si racconta a La voce di New York con spontaneità e un pizzico di ironia.
Cosa ti ha spinto a scegliere di rappresentare la storia di Atzeni?
“Bellas Mariposas è un racconto molto noto e amato in Sardegna, e da tempo covavo il desiderio di farne un film. Portando sullo schermo questa storia ho avuto l’occasione irripetibile di raccontare la parte metropolitana della Sardegna, vista con gli occhi del mondo dell’adolescenza. Ho cercato di rappresentare questa età particolare attraverso la formazione delle due protagoniste, raccontando una storia che possiamo definire universale, perchè due giovani analoghe si potrebbero trovare in qualunque città italiana e non solo.
L’adattamento non è stato facile, perchè il libro non si prestava molto ad essere portato sullo schermo. Infatti il testo si presenta come un lungo monologo della ragazza, senza dialoghi e senza una vera drammaturgia. Ma io desideravo veramente rappresentare questa storia, che mi ha sempre colpito particolarmente per la sua capacità di raccontare cose terribili in modo lieve, leggero, quasi riuscendo a far sorridere il lettore".
Nei tuoi film c’è sempre molto della Sardegna. Quanto ti riconosci in Bellas Mariposas, quanto c’è del tuo vissuto?
“Quando si sceglie di raccontare una storia, anche se non autobiografica, c’è sempre un richiamo al proprio vissuto. Si sceglie una storia perché in un certo modo ci si riconosce, anche se non lo si vuole ammettere. Un regista mette qualcosa di se in ognuno dei personaggi che racconta".
E a proposito dei tuoi personaggi?
“A me in particolare è sempre piaciuto raccontare gli umili, quelli che non hanno diritto di voce. Mi piace dare la parola a quelle persone che nessuno di solito ascolta o interpella”.
Da italiano, cosa pensi della situazione politica odierna in Italia, credi che ci siano ancora speranze per il futuro?
“Dobbiamo sperarlo per forza, se no scappiamo tutti e basta. Specialmente se come ho fatto io si mettono al mondo dei figli e si ha voglia di farli crescere nel proprio luogo di origine. Questo è un momento delicato di profonda trasformazione. La gente per la prima volta ha preso consapevolezza dei disastri fatti dalla classe politica negli ultimi 20 anni e ha dato dei segnali forti nelle ultime elezioni. Per ora sono messaggi di pancia, ancora non organizzati con un pensiero consapevole, ma sono indubbiamente segnali di una grossa stanchezza e rifiuto. E credo che il messaggio sia arrivato anche alla classe dirigente, che comunque cercherà sempre di rigenerarsi in un qualche modo. Qualcosa è sicuramente cambiato, non so dire se in positivo o meno, perché di fatto in Italia non c’è più una maggioranza certa in grado di governare e si naviga a vista”.
Quale consiglio darebbe Salvatore Mereu ai giovani italiani che hanno voglia di lavorare in questo settore?
“Forse di cercare istruzioni utili su come procurarsi una green card”.
Quindi consiglii di emigrare?
“Non lo so, certo se tutti gettano la spugna, il paese precipita direttamente nel baratro, ma di fatto l’emigrazione sta avvenendo. Ciò è male per l’Italia, perchè alla fine, se i giovani vanno via, il paese implode. Però è anche vero che la giovinezza non è un assegno eterno, ma ha una data di scadenza, quindi per un giovane che ha voglia di fare, forse è bene farsi due conti e andarlo a riscuotere in posti che offrono maggiori opportunità e meritocrazia. Purtroppo le opportunità in Italia sono poche e di solito lasciate sempre agli stessi”.
Qual è il tuo rapporto personale con la tua Sardegna?
“Io sento fortemente il richiamo della mia terra e non sono sicuro di voler infliggere questa eredità ai miei figli. Non so se sia un bene stringere un legame così forte con un paese dove non ci sono prospettive. Per ora cerco di fargli vedere il mondo, poi sceglieranno loro”.
Bellas Mariposas (Pretty Butterflies) sarà proiettato al Lincoln Center alle 6.30 pm domenica 9 e martedì 11 giugno.