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September 16, 2012
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SPETTACOLO/ Don Camillo nel mondo

Generoso D'AgnesebyGeneroso D'Agnese
Fernandel con Gino Cerci e Giovannino Guareschi

Fernandel con Gino Cerci e Giovannino Guareschi

Time: 6 mins read

“E’ morto lo scrittore che non era mai nato”. Erano passate poche ore dal 22 luglio 1968 quando l’Unità, giornale del Partito Comunista italiano, titolava la scomparsa di Giovannino Guareschi. Poche parole per porre un vero e proprio macigno sul percorso artistico di un uomo che aveva raccontato in vignetta e nei libri le ipocrisie italiane. E per cancellare l’uomo che aveva saputo sferzare, con la sua coerenza, la classe politica italiana del Secondo dopoguerra. Togliatti non fu tenero con Guareschi. Lo definì "tre volte idiota moltiplicato per tre" dando il via alla più grande operazione di disinformazione culturale perpetuata ai danni di uno scrittore, con il benevolo beneplacito dei politici di centrodestra, a loro volta infastiditi dal fastidioso "vizio" di Guareschi: la "coerenza". Lo scrittore finì nel limbo dei personaggi fastidiosi, spintovi dall’azione congiunta dei politici italiani di quasi tutto l’arco parlamentare. Ma non riuscirono a farlo scomparire. Laddove l’autore divenne "invisibile" alla critica letteraria, i suoi film guadagnarono l’affetto e la simpatia di migliaia di spettatori nei cinema d’Italia. Ed entrarono nel cuore degli italiani che ancora oggi, a 60 anni dalla prima uscita di "Don Camillo" continuano a seguire con simpatia le vicende del "Mondo piccolo" trasposte su pellicola. Ci sono voluti tanti anni per rispolverare il nome di Guareschi dallo scaffale dell’oblio e solo di recente la critica ha ripreso ad analizzare con imparzialità la summa del lavoro editoriale dell’autore emiliano. Un buco nero inammissibile per uno scrittore amato da molti critici europei ed entrato nelle simpatie dei presidenti americani Truman e Eisenhower. Definito nel 1948 dalla rivista Life come "il più abile ed efficace propagandista anticomunista in Europa", Giovannino Guareschi ha ritrovato la "sua Italia" nel 1981 quando il giornalista Giorgio Bocca rese omaggio all’autore commentando l’ostracismo riservatogli dalla critica militante. Una magra consolazione per chi ancora oggi vanta una vendita di 20 milioni di copie nei cinque continenti, ma il giusto tributo per chi visse e scrisse in totale coerenza con i propri principi, rifiutando l’allineamento nei partiti e la rinuncia alle proprie idee. Sempre con il sorriso sulla bocca! Giovannino Guareschi nacque a Fontanelle di Roccabianca (Parma) l’1 maggio del 1908 e nella data di nascita lo stesso scrittore vide i segni della predestinazione. I primi anni del Novecento portarono infatti anche nelle campagne della Bassa Padana l’elettricità delle idee socialiste, cui faceva da contraltare la sedimentazione cattolica. Figlio di un commerciante di biciclette costretto a chiudere la propria attività, Giovannino fu costretto a lasciare gli studi e a entrare nel mondo del lavoro. Nel 1929 entrò a far parte della redazione del Corriere Emiliano vivendo per anni la vita del giornalista di provincia. Nel 1936 l’editore Angelo Rizzoli intuì lemcapacità del giovane e lo scelse per la redazione del Bertoldo, un settimanale umoristico a diffusione nazionale. Guareschi, impegnato anche con la Stampa e Il Corriere della Sera nonché con la EIAR (destinata a diventare RAI), visse l’impegno come un’autentica avventura raccontando tra l’altro nel suo libro "La scoperta di Milano" le sue emozioni di emiliano trapiantato nella grande città lombarda. La sua assoluta schiettezza gli procurò i primi guai nel 1942. Dopo aver bevuto qualche bicchiere di troppo, il giornalista espresse ad alta voce il suo pensiero su Mussolini e pagò con l’immediato richiamo alle armi e la successiva deportazione (dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943) in Polonia (Czestocowa e Beniaminowo) e in Germania (Sandbostol e Wietzendorf).

Divenuto l’internato numero 6865 rifiutò di abiurare al giuramento fatto a Re Vittorio Emanuele III e visse con grande fermezza i suoi anni di prigionia, trascrivendo la terribile esperienza nel "Diario clandestino" pubblicato nel 1949. Rientrato a casa dopo un viaggio disumano, Guareschi riprese faticosamente il proprio lavoro e diede vita a una nuova vita editoriale: Il Candido. Il settimanale si caratterizzò per la posizione monarchica e anticomunista, rispecchiandosi in sostanza nelle idee dello stesso fondatore. Guareschi invitò i lettori a votare per la Monarchia, nel referendum istituzionale che portò alla nascita della Repubblica (2 giugno 1946) e si distinse per la grande battaglia contro il Partito comunista nella campagna elettorale del 1948. Il suo slogan "Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no" rimarrà una pietra miliare della pubblicità elettorale italiana. La vittoria della Democrazia Cristiana nelle elezioni segnò paradossalmente l’allontanamento delle simpatie di Guareschi dallo stesso. Saranno anni incentrati sull’umorismo sferzante, quelli che avvicineranno il direttore del Candido alla prigione. Nel 1949 Guareschi ottenne infatti una prima condanna per vilipendio al Presidente della Repubblica per aver pubblicato una vignetta che commentava la pubblicità di un prodotto vinicolo direttamente collegata allo stesso presidente Einaudi. Nel 1954 arrivò il vero e proprio carcere per aver pubblicato due lettere, da lui ritenute autentiche (prima di pubblicarle le sottopose alla perizia calligrafica) nelle quali De Gasperi chiedeva agli alleati di bombardare la periferia di Roma per accelerare la fine della guerra. Convinto delle proprie tesi, il giornalista rifiutò di chiedere la grazia e scelse di entrare nel carcere, mantenendo fede a quella coerenza che rimase sempre il suo tratto distintivo. Non furono però soltanto anni di sconforto, quelli vissuti tra il 1945 e il 1954. Nel 1946 egli diede infatti alla stampa il primo racconto di quella formidabile saga trasposta poi in cinema con il contributo degli attori Gino Cervi e Fernandel. La storia di due personaggi di un piccolo comune della Bassa emiliana, il sindaco Peppone e il parroco Don Camillo, appassionò da subito i lettori e si trasformò nel giro di pocotempo in un libro dal titolo "Mondo Piccolo". E nel 1948 iniziò il percorso che avrebbe portato alla realizzazione della prima pubblicazione. Il produttore Peppino Amato coinvolse la Cineriz di Angelo Rizzoli e iniziò a interpellare vari registi: tra gli italiani rifiutarono Alessandro Blasetti, Mario Camerini, Vittorio De Sica, Luigi Zampa. Frank Capra invece amò il soggetto proposto ma non poteva liberarsi prima del 1953. La scelta infine cadde su Julian Duvivier che accettò pur nutrendo poca simpatia per Guareschi. Lo volle tuttavia provare nel ruolo di Peppone per poi desistere dopo la prima scena. L’accoppiata Cervi-Fernandel fugò tutti i dubbi, anche quelli dello stesso autore e rese la pellicola un vero successo. "Don Camillo", seppur privato dei suoi toni politici faziosi, riuscì ugualmente a rappresentare l’humus popolare di un’Italia in cerca della sua identità. Merito dei personaggi e delle atmosfere ricreate nel paese di Brescello, set scelto per raccontare in immagini la storia di Guareschi. Il successo di Don Camillo fu bissato dal secondo film "Il ritorno di Don Camillo" mentre il terzo film uscì grazie alla sceneggiatura scritta durante la detenzione. L’enorme eco suscitata dai film basati sulle vicende del "Mondo Piccolo" confermò il successo letterario dell’autore Guareschi. Per un’Italia sempre più compatta nell’ostracismo verso lo scrittore fedelissimo alla Monarchia e convinto anti-comunista, c’era il resto del Mondo che accolse con grande simpatia il "verismo ironico" dello scrittore della Bassa.

"Don Camillo" gareggiò come miglior film straniero nel National Board of Review Award del 1953, ottenendo un lusinghiero piazzamento e venne escluso dalla candidatura a miglior film straniero per i premi Oscar. Ma ogni uscita cinematografica e ogni trasmissione televisiva, da 50 anni a questa parte, conferma ancora una volta l’immortalità di un racconto basato sull’apparente contrapposizione politica e sull’effettivo dualismo delle due personalità popolari del comune di Brescello, emblemi di quel campanilismo dal tratto tipicamente italiano.

Dall’Argentina agli Stati Uniti, passando attraverso le Samoa occidentali e Malta, Giovannino Guareschi è stato uno dei maggiori scrittori di tutto il Novecento. Nonostante l’oblio forzato della critica nei confronti dell’autore morto a Cervia nel 1968, i suoi libri sono stati tradotti in tutte le maggiori lingue del monde, con edizioni in singalese e tamil, in maharati, assamese e bramina, in serbo, croato e sloveno. Stampati col metodo Braille, i racconti di Don Camillo (ma anche gli altri volumi realizzati da Guareschi) hanno avuto edizioni in numerosi dialetti italiani, dal friulano al comasco e hanno trovato traduzioni in vietnamita, ukraino e bulgaro. Accanto alle indimenticate pellicole girate a Brescello, figurano anche quelle girate a San Secondo e Pomponesco, e le serie TV girate in Argentina nel 1960, in Inghilterra nel 1981 e in Colombia nel 1987.

Il teatro ha messo in scena due versioni in lingua tedesca, una in lingua polacca e alcune in lingua italiana. Accostato dai critici americani al grande disegnatore James Thurber, Giovannino Guareschi trovò numerosi estimatori nel pubblico americano, che lo conobbero conil film "The Little World of Don Camillo" guidato sapientemente dalla voce fuori campo del grande Orson Welles mentre il primo libro venne adattato da Kukrit Pramoj, con la novella "Phai Daeng" in lingua Thai fin dal 1954. Ma ancora oggi, nonostante la rivalutazione letteraria, il giornalista scrittore di Fontanelle di Roccabianca continua ad alimentare discussioni che in gran parte rimangono sempre nello strato superficiale del giudizio. L’oblio letterario ancora oggi permette di conoscere solo una minima parte di quel "Mondo Piccolo" dal cuore "grande", sapientemente scavato nelle sue pieghe sociali dal Guareschi e amato perfino dai presidenti degli Stati Uniti.

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