Negli ultimi 35 anni Eugenio Occorsio ha sempre mantenuto un profilo basso, anzi: bassissimo. La tragica vicenda di suo padre, il giudice Vittorio assassinato il 16 luglio 1976 da Pier Luigi Concutelli, killer della formazione neofascista Ordine Nuovo, ne avrebbe potuto fare un cosiddetto testimone eccellente, uno dei figli di vittime della violenza politica che poi, nel corso del tempo, vengono intervistati a cicli ricorrenti dai giornali e dalle televisioni.
Invece lui, che all’epoca aveva venti anni – età in cui è facile cedere agli eccessi e alle posizioni estreme – ha sempre evitato: «Sono per natura restio ad apparire sulla stampa per questioni del genere».
Per la verità lui, Eugenio, di interviste nel corso dei decenni successivi ne ha fatte tantissime. Ma mai da protagonista. Perché di mestiere fa il giornalista economico, specializzato soprattutto in vicende e personaggi internazionali e in nuove tecnologie. Agli inizi è stato anche corrispondente da New York e ormai da oltre venti anni lavora nella redazione del quotidiano Repubblica: di amministratori delegati, imprenditori, politici ne deve avere davvero intervistati a migliaia. Ma ha sempre risposto di no alle inevitabili richieste dei colleghi che volevano invece far parlare lui, fargli raccontare la sua storia, il suo ovvio trauma. E dalle sue parole cercare di capire se lui avesse capito qualcosa di più della morte del padre, che fu tra l’altro il giudice che seguì il processo sulla strage di piazza Fontana del 1969.
Poteva Eugenio aiutare a dipanare un po’ di quelle ombre che, nonostante la cattura quasi immediata e la condanna all’ergastolo del responsabile materiale, ancora aleggiano e probabilmente aleggeranno sempre su questa storia? Una storia, va ricordato, che aprì la sanguinosa stagione dei cosiddetti anni di piombo, delle trame stragiste in cui si sono mossi anche personaggi ambigui dei servizi segreti e delle istituzioni nazionali e internazionali.
Una storia fatta anche di inchieste bloccate o impantanate e sviate dalla sequela di “omissis” opposti dallo Stato in nome di interessi superiori. Ma Eugenio aveva sempre declinato.
Fino a qualche mese fa. Quando è successo qualcosa. Pierluigi Concutelli, vecchio e malato, è stato scarcerato nonostante l’ergastolo.
Il figlio di Eugenio, che si chiama Vittorio come il nonno e, dopo la laurea in giurisprudenza presa a pieni voti sta facendo la pratica di avvocato in uno studio internazionale, ha rilasciato un’intervista all’agenzia Ansa in cui, parlando di Concutelli e cedendo all’eterna e anche commovente indignazione giovanile, si è lasciato scappare un “pena di morte” di troppo. In realtà la frase faceva parte di un contesto più ampio, ma il giornalista dell’Ansa ha titolato inevitabilmente su quello.
A sinistra, Eugenio Occorsio con suo figlio Vittorio Jr.
«L’avrei fatto anche io, da giornalista» lo giustifica Eugenio. Che però a questo punto ha capito di non potersi – anzi: di non volersi – tirare più indietro. Anche perché il figlio, che ha un forte impegno politico con il partito democratico ed è stato uno dei “Veltroni boys”, si era reso conto dell’errore in cui era finito e voleva sapere come recuperare.
«Mio figlio si è lasciato andare a un’affermazione che non pensa neanche lui» ha detto Eugenio, parlando finalmente con alcuni colleghi e rompendo con immaginabile fatica quel silenzio che si era imposto fin da ragazzo. «Vorrei chiarire che questo non è il sentimento della nostra famiglia. Certo, siamo addolorati però quest’uomo (ndr: Concutelli) ha fatto più di trent’anni di carcere e quindi probabilmente ha pagato il suo conto con la giustizia. Noi siamo diversi dai terroristi, non dobbiamo mai far prevalere sentimenti di vendetta».
Restava il problema con Repubblica, «il mio amato giornale» come lo definisce Eugenio. Il direttore, Ezio Mauro, gli propone: «Scrivi una specie di lettera a tuo figlio, te la mettiamo bene in prima pagina e tu spieghi il tuo, il vostro vero sentimento». Così è andata. Ma non è stato facile: «Non fumo, ma era il momento di accendersi una sigaretta».
Ormai, però, non bastava più. O, forse, si era rotto un argine gelosamente difeso per tanto tempo. Eugenio Occorsio si mette alla tastiera del computer, stavolta non più per scrivere uno dei tanti articoli. In poco tempo, praticamente di getto, esce un libro: «Non dimenticare, non odiare» (Dalai Editore, 222 pagine, 17 euro, fuori d’Italia lo si può ordinare a http://bcdeditore.it/). Il sottotitolo – “Storia di mio padre e di tuo nonno” – ha ancora a che vedere con l’intento educatorio: Eugenio, da figlio, si è trasformato in padre con tutti gli obblighi che comporta questo bellissimo ma impegnativo ruolo. Vuole dimostrare al ragazzo, che per di più sta per entrare nel mondo delle leggi, della giustizia e dei tribunali, come «attraverso l’operato di un uomo buono sia possibile andare avanti non solo con la schiena eretta ma con la consapevolezza che presto o tardi quello che hai seminato produrrà frutti».
Ma in queste pagine Eugenio, che è sì padre ma pur sempre giornalista, finisce anche con il fare ciò che sa far bene: il suo mestiere.
Riemerge la storia di quegli anni di odio, di segreti, di omertà, di intrighi, di uccisioni e di bombe. Ma anche di persone giuste, come il giudice Vittorio Occorsio che Eugenio Scalfari nella lunga prefazione definisce «l’esempio di ciò che la magistratura rappresenta nel concreto della giurisdizione». O come il procuratore Pier Luigi Vigna alle cui battaglie è dedicato un intero capitolo. Vicende e personaggi che le nuove generazioni ignorano o di cui sanno poco e male. Mentre invece, come dice Tucidide in una frase messa a introduzione del libro, occorre «guardare al passato per capire il presente e prevedere il futuro».