Cultura e impresa nella tradizione imprenditoriale italiana hanno spesso viaggiato su binari paralleli, con sporadici casi di interazione e collaborazione. Una rinnovata fase culturale e imprenditoriale mondiale ha portato molte aziende a valorizzare la loro storia per trarne nuove energie creative per il futuro ma soprattutto per diffondere una più solida cultura imprenditoriale attraverso la propria produzione culturale. Tra le aziende leader mondiali nel binomio impresa-cultura, la Pirelli è senza dubbio una di quelle che vanta una più robusta tradizione. Le Fondazioni sono diventate veicoli culturali per coniugare impresa e creatività e tra le più prestigiose e attive vi è la Fondazione Pirelli. Diretta da Antonio Calabrò, docente alla Bocconi e all’Università Cattolica di Milano, giornalista e autore di vari volumi tra i quali figurano: “Bandeirantes – Il Brasile alla conquista dell’economia mondiale” (con Carlo Calabrò, 2011), “Cuore di cactus” (2010), “Orgoglio industriale” (2009), “Intervista ai capitalisti” (2005), “Agnelli – Una Storia Italiana” (2004).
Perché una Fondazione Pirelli? Qual è la sua missione?
«All’ingresso della palazzina che ospita la Fondazione Pirelli, nel complesso della sede centrale della Pirelli, multinazionale italiana con salde radici milanesi, c’è una scritta particolarmente significativa: “Adess ghe capissarem on quaicoss: andemm a guardagh denter”. E’ in milanese, appunto: il motto dell’ingegner Luigi Emanuelli, uno dei più grandi tecnici della Pirelli durante la prima metà del Novecento. Un incitamento a “guardagh denter”, a guardar dentro le macchine, i laboratori, le linee di produzione, ma anche le attività e i comportamenti delle persone, per capire meglio come stanno le cose e cosa fare. Scienza. E pragmatismo. Curiosità intellettuale. E gusto per la ricerca. La sostanza di una vera e propria “civiltà delle macchine” cui la Fondazione Pirelli si ispira. Lezione storica. Di estrema attualità. La Fondazione, attraverso l’Archivio Storico della Pirelli, custodisce e rende viva la memoria dell’impresa e contribuisce a elaborare saperi per prepararne il futuro».
Lei è il direttore della Fondazione, ci potrebbe spiegare quali sono le strutture della Fondazione e qual è il suo ruolo?
«La Fondazione è stata costituita nel 2008, per “promuovere e diffondere la conoscenza del patrimonio culturale, storico e contemporaneo del Gruppo Pirelli, sia con la tutela e la valorizzazione del suo Archivio Storico, sia attraverso iniziative volte a sostenere il ruolo di Pirelli come motore economico, ma anche culturale, dei processi di sviluppo in tutti i paesi in cui opera”. Strumento della cultura d’impresa, dunque, italiana e internazionale. Presidente della Fondazione è Marco Tronchetti Provera, presidente e Ceo di Pirelli. Presidente onorario è Cecilia Pirelli (la famiglia ha ceduto alla Fondazione gli archivi privati di Alberto e Leopoldo Pirelli, preziose testimonianze del Novecento). Lo staff, per i progetti, è guidato dal direttore vicario Alessia Magistroni. E nell’Advisory Board siedono intellettuali ed economisti di grande prestigio (Giulio Anselmi, Sergio Escobar, Jean Paul Fitoussi, Guido Martinotti, Giulio Sapelli, Gianni Puglisi e Alberto Quadrio Curzio, tra gli altri). Una bella sintesi tra impresa e società, un luogo di elaborazione di attività culturali di grande rilievo. Simboli di questo impegno sono anche il grande ritratto e il mosaico di Renato Guttuso “La ricerca scientifica”, commissionati all’artista da Pirelli nel 1961 e ospitati nei locali della Fondazione. Quanto al mio ruolo, si tratta di governare questa macchina culturale e promuovere, insieme con il direttore vicario e la struttura, le iniziative per farne attore di primo piano sulla scena della cultura d’impresa milanese e nazionale».
Come si coniugano impresa e cultura? In che modo l’impresa può beneficiare della collaborazione della cultura?
«Partiamo da una considerazione di fondo: impresa e cultura non fanno riferimento a due universi differenti, ma sono parte dello stesso mondo. Fare impresa vuol dire investire e lavorare sui cambiamenti dei mercati, dei consumi, delle tecnologie produttive. Puntare sulla ricerca e sull’innovazione. Seguire le trasformazioni tecniche e sociali. E l’innovazione, parola chiave, carica appunto di forti valenze culturali, riguarda tutto: le tecnologie, i materiali, i nuovi prodotti e i nuovi processi per produrli, le relazioni industriali tra le varie componenti del mondo dell’impresa e del lavoro, i linguaggi del marketing e della comunicazione. Cos’è tutto questo se non cultura scientifica, cultura economica, cultura d’impresa?
Una delle affermazioni che segnano il nostro modo di lavorare è questa: bisogna passare dalla tradizionale visione di “impresa e cultura” a una visione più forte e carica di valori: “impresa è cultura”. Un verbo sostituisce una congiunzione. Un nuovo gioco di teoria e prassi si impone alla riflessione degli attori sociali e politici. Anche in questo caso, per noi di Pirelli si tratta di continuare a lavorare sul binomio memoria-futuro. La Rivista Pirelli, pubblicata dal 1948 al 1972, aveva come cartiglio, sotto la testata, “rivista di informazione e tecnica” e sulle sue pagine si parlava di economia, di tecnologia, di produzione, di mutazioni sociali, di letteratura e di cinema, di pubblicità e comunicazione. Le firme, tra le tante, erano di Vittorio Sereni, Leonardo Sinisgalli, Eugenio Montale, Renato Guttuso, Umberto Eco, che proprio lì aveva pubblicato il suo saggio “Fenomenologia di Mike Bongiorno” che poi divenne famoso nella raccolta del “Diario minimo”. Una bella équipe di ingegneri, economisti, letterati, artisti. Senza subire la divisione dell’epoca tra cultura umanistica e cultura scientifica ma anzi trovando, proprio nell’impresa industriale, il luogo di sintesi forti e originali. Una lezione che consideriamo di strettissima attualità e su cui vogliamo andare avanti».
A oggi, quali eventi avete organizzati e come si sono coniugate le relazioni tra impresa e cultura?
«Attività nella sede della Fondazione. E attività esterne. Mostre di materiali storici reinterpretati con le più innovative tecnologie multimediali, come, per esempio, “Un viaggio, ma…”, “Working: uomini, macchine, idee” e “L’anima di gomma” alla Triennale di Milano, o “About a tyre”, qui in Bicocca, in collaborazione con Naba (la Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, con il contributo fotografico dei suoi studenti e con un percorso formativo legato ai valori e alla comunicazione di Pirelli). Pubblicazioni, come“Pirelli in 35 mm”, filmati storici e pubblicitari Pirelli, in collaborazione con la Cineteca Italiana. Convegni sulla cultura d’impresa. Ricerche, in raccordo con qualificate strutture universitarie. Concerti di musica classica, durante la stagione di MiTo, nello stabilimento industriale di Settimo Torinese (“Il ritorno della musica in fabbrica”). E, in programma nella stagione 2012 del Piccolo Teatro di Milano, “Settimo”, uno spettacolo teatrale che porta in scena le voci e i gesti del mondo del lavoro. Attività formative, come la partecipazione, insieme alla Fondazione Agnelli e alla Fondazione Garrone e al College des Ingegnieurs di Parigi, alla Scuola di Alta formazione e Management. Iniziative diverse, come si vede. E sintesi di saperi che interpretano la complessità nell’evoluzione dell’impresa industriale, come motore di sviluppo nella chiave della sostenibilità ambientale e sociale. Un altro punto di forza di Pirelli».
Pirelli è un marchio Italiano globale. Avete in programma di avviare e sostenere eventi e programmi culturali anche fuori dall’Italia e da Milano?
«Naturalmente sì. In tutte le aree in cui Pirelli è presente, produttivamente e culturalmente, nel mondo. A cominciare dall’America Latina, dove è in preparazione la costituzione di una Fondazione Pirelli in Brasile. Impresa è cultura, appunto. Internazionale».