La morte di Papa Francesco ha ispirato molte analisi sul bilancio del suo pontificato, sul significato profondo del suo magistero e sull’eredità che lascia alla chiesa Cattolica e al mondo mentre l’imminente Conclave si accinge a eleggere il suo successore.
Le sue esequie sono appena state celebrate al cospetto dei fedeli e di numerosi capi di Stato e di governo. Molti tra questi ultimi durante il suo mandato ne hanno ignorato le parole, nonostante ora sembrino compatti nell’onorarne la memoria. Alcune espressioni contrite sui volti di politici che hanno presenziato al funerale, o che hanno ostentato sui social media la loro partecipazione al lutto popolare per la scomparsa del papa, risultano francamente stonate. A maggior ragione, alla luce della loro avversione, con le parole e con i fatti, alle scelte di campo affermate profeticamente da Papa Francesco su molte questioni controverse, dalle politiche di migrazione all’inclusione sociale, dal rispetto dell’ambiente – e del nostro pianeta definito come “casa comune” – ai diritti degli ultimi e degli emarginati, dalla condanna della cultura dello scarto a un’economia che massimizzi il bene comune. Un esempio per tutti: il goffo tentativo del presidente dell’Argentina, Javier Milei, che a suo tempo insultò ripetutamente Bergoglio, di ridurre i suoi attacchi del passato a mere diferencias que hoy resultan menores (“divergenze che oggi risultano minime”). Qualcuno ricorderà allo smemorato Milei che in campagna elettorale arrivò a definire Papa Francesco come il rappresentante del maligno sulla terra? Del resto in politica la coerenza non è certo, se mai lo è stata, una virtù.
La fine della vicenda terrena di un grande uomo e di un grande pontefice, nel senso etimologico di costruttore di ponti, mi ispira tre riflessioni sul suo sguardo sulla crisi della politica nel mondo contemporaneo.
La prima riguarda la storia personale di Jorge Bergoglio. Nato e cresciuto in un Paese che ha generato uno degli esempi più noti di populismo, l’Argentina di Juan Domingo Perón, che ha superato con mille difficoltà la fase oscura del sanguinoso regime militare della giunta di Jorge Rafael Videla e che negli anni Ottanta ha vissuto una delle più complesse transizioni dalla dittatura alla democrazia del martoriato continente latinoamericano. Mi hanno molto colpito le testimonianze rese da alcune madri della Plaza de Mayo sul costante sostegno fornito da Bergoglio alla loro domanda di giustizia per i desaparecidos assassinati negli anni dai militari golpisti. Sia il detto che il non detto dei suoi discorsi su politica e democrazia si radicano nell’esperienza vissuta di repressione, morte, strazio e sofferenza che ha profondamente segnato la vita del popolo di cui Bergoglio è stato pastore, prima di diventare Vescovo di Roma.
Il secondo elemento riguarda l’attenzione posta nelle democrazie moderne sulle scelte politiche dei cattolici. Assurta in Italia al livello di una questione nazionale nel secolo passato, dopo il tramonto dell’egemonia esercitata dalla Democrazia Cristiana durante la prima Repubblica, la partecipazione politica dei cattolici ha ancora un peso considerevole, soprattutto in sistemi politici sempre più polarizzati nei quali le preferenze degli elettori che si identificano con un centro moderato possono determinare la vittoria di coalizioni frammentate. Di qui il maldestro tentativo effettuato da pressoché tutte le forze politiche, da ultimo nei discorsi tenuti in Parlamento dopo la scomparsa di Bergoglio, di circoscrivere la sua figura a un’agenda politica di parte, nonostante la complessità delle sue posizioni su materie quali le politiche migratorie, la pace, l’ambiente, i diritti dei poveri e degli emarginati, l’aborto, il fine vita e altri aspetti della morale cattolica.
Il peso dei cattolici è rilevante anche in altre democrazie, come dimostrato dall’attenzione del presidente Trump a questo segmento del suo elettorato. Nel 2024 Trump ha ottenuto il 56% del voto dei cattolici americani, a fronte del 47% di quattro anni prima e del 50% del 2016, quando aveva vinto il suo primo mandato. Questi dati sono ancora più significativi se si disaggrega il risultato elettorale considerando i cattolici bianchi (60%) e la tendenza, soprattutto tra i giovani cattolici americani a sostenere candidati repubblicani che difendono la libertà religiosa e sono contrari all’aborto. La recente visita del vice presidente J.D. Vance a Roma, neoconvertito cattolico ricevuto in visita privata da Papa Francesco a poche ore dalla sua ora estrema, è una prova evidente dell’attenzione dell’Amministrazione Trump verso i cattolici. Non si possono infine dimenticare le posizioni estremamente critiche espresse dalle frange più conservatrici del mondo cattolico statunitense nei confronti del pontefice, soprattutto in merito alle sue posizioni sulla questione migratoria, sul mutamento climatico e sull’inclusione dei gruppi più svantaggiati, vulnerabili, poveri ed emarginati della popolazione.
Giova ricordare le parole di Bergoglio quando parlò al Congresso degli Stati Uniti il 24 settembre 2015. In quella occasione ricordò quattro figure emblematiche della storia americana la cui vita ha incarnato alcuni principi fondamentali affermati nel suo papato: “Una nazione può essere considerata grande quando difende la libertà, come ha fatto Lincoln; quando promuove una cultura che consenta alla gente di “sognare” pieni diritti per tutti i propri fratelli e sorelle, come Martin Luther King ha cercato di fare; quando lotta per la giustizia e la causa degli oppressi, come Dorothy Day ha fatto con il suo instancabile lavoro, frutto di una fede che diventa dialogo e semina pace nello stile contemplativo di Thomas Merton.”
La terza riflessione, infine, riguarda la lucida consapevolezza espressa da Papa Francesco sulla crisi delle democrazie. Quando visitò il Parlamento Europeo a Strasburgo il 25 novembre 2014, rimarcò la crescita della “sfiducia da parte dei cittadini nei confronti di istituzioni ritenute distanti, impegnate a stabilire regole percepite come lontane dalla sensibilità dei singoli popoli, se non addirittura dannose.” Egli affermò che “mantenere viva la realtà delle democrazie è una sfida di questo momento storico, evitando che la loro forza reale – forza politica espressiva dei popoli – sia rimossa davanti alla pressione di interessi multinazionali non universali, che le indeboliscano e le trasformino in sistemi uniformanti di potere finanziario al servizio di imperi sconosciuti.” Parole sempre attuali e per molti versi profetiche, soprattutto a fronte della crescente erosione della qualità delle istituzioni e dei processi democratici nel mondo, fenomeno confermato dai principali rapporti sullo stato globale della democrazia.