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Apartheid di genere in Afghanistan: donne “ancora vive”, ma i suicidi aumentano

Terrificante testimonianza dagli esperti ONU appena tornati da Kabul sulla situazione delle afghane abbandonate all'oppressione dei talebani, ma chi le salverà?

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Apartheid di genere in Afghanistan: donne “ancora vive”, ma i suicidi aumentano

A nutrition counsellor advises a mother and her children in a village in the central region of Afghanistan in June 2022. (© UNICEF/Christine Nesbitt )

Time: 5 mins read

Da quando i talebani hanno preso il potere in Afghanistan nell’estate del 2021, hanno emesso una cascata di ordini restrittivi che equivalgono, secondo gli esperti dell’ONU, ad una ”estrema discriminazione di genere istituzionalizzata” e a una sistematica intaccatura dei diritti delle donne e delle ragazze.

Pochi giorni fa è stata approvata una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che avrebbe dovuto essere un “avvertimento” ai talebani a rispettare i diritti umani delle donne. Lo scorso week end il Segretario Generale dell’ONU aveva convocato a Doha più di 20 paesi (ma escludendo l’Italia…) per discutere le prossime mosse da intraprendere per venire in soccorso di un’intera popolazione soggiogata da un regime che a definirlo medioevale si fa torto al Medio Evo. Però non si è saputo granché delle decisioni prese in quella riunione in Qatar di chi dovrebbe trovare una soluzione per l’Afghanistan, se non che sarà presto riconvocata. Ma per parlare di che ancora? Forse bisogna “guadagnare” tempo?

April 27, 2023: The Security Council votes the resolution condemns Taliban’s ban on women working for UN in Afghanistan (UN Photo/Manuel Elías )

Intanto le operazioni di soccorso dell’ONU in un paese dove 20 milioni di persone, metà della popolazione, sopravvive grazie agli aiuti umanitari restano ancora sospese perché l’UNAMA, la missione dell’ONU che da anni opera dentro il paese, non può mettere a rischio il proprio personale femminile al quale i talebani hanno vietato di lavorare.

Ma se neanche una risoluzione del Consiglio di Sicurezza (che dovrebbe essere “binding”, vincolante) può smuovere i talebani che anzi replicano che siano “controproducenti” i tentativi dell’ONU di “interferire” con le loro leggi, cosa potrà essere la prossima mossa della comunità internazionale per salvare milioni di donne afghane trattate da schiave senza più diritti se non quello di sopravvivere restando mute sotto al burqa?

Forse chi legge pensa che si stia esagerando? Venerdì, dopo una visita in Afghanistan durata otto giorni, alcuni esperti dell’ONU hanno riferito che a seguito di questo sistematico annullamento dei diritti delle donne e delle ragazze afghane da parte dei talebani – dalla frequenza scolastica al poter lavorare – “si sta preparando una scena che può portare a molteplici morti, e queste rientrerebbero nella categoria del femminicidio”, a meno che le restrizioni dei talebani contro le donne non vengano revocate rapidamente.

Extreme institutionalised gender-based discrimination in #Afghanistan is unparalleled anywhere in the 🌎 –@SR_Afghanistan & @DorothyEstrada after 8-day visit to the country: “The lives of women & girls are being devastated by the crackdown on their rights”https://t.co/bNL5kJ8VDG pic.twitter.com/EpMIINIYmO

— UN Special Procedures (@UN_SPExperts) May 5, 2023

“Siamo allarmati per i diffusi problemi di salute mentale e per i resoconti di escalation di suicidi tra donne e ragazze”, hanno affermato in una dichiarazione congiunta gli esperti dell’ONU. “Questa situazione estrema di discriminazione di genere istituzionalizzata in Afghanistan non ha eguali in nessuna parte del mondo”.

Richard Bennett

A guidare la delegazione appena tornata da Kabul, c’era il relatore speciale sulla situazione dei diritti umani in Afghanistan, Richard Bennett, e il presidente del gruppo di lavoro sulla discriminazione contro le donne e le ragazze, Dorothy Estrada-Tanck, che hanno condiviso le loro osservazioni preliminari, compresi gli incontri con i leader talebani e i gravi resoconti di donne e ragazze che hanno incontrato a Kabul e Mazar-e-Sharif, nella provincia di Balkh, tra il 17 aprile e il 4 maggio.

Le “spaventose” violazioni dei diritti umani in corso hanno mascherato altre manifestazioni sottostanti di discriminazione di genere che hanno preceduto il dominio dei talebani e che ora sono “profondamente radicate nella società e persino normalizzate”, hanno aggiunto.

Attualmente, alle donne è proibito frequentare la scuola sopra la prima media, comprese le università, possono ricevere assistenza solo da donne medico ed è vietato lavorare presso le Nazioni Unite e le organizzazioni non governative (ONG).

“Numerose donne hanno condiviso i loro sentimenti di paura e ansia estrema, descrivendo la loro situazione come una vita agli arresti domiciliari”, hanno riferito gli esperti. “Siamo anche particolarmente preoccupati dal fatto che le donne che protestano pacificamente contro queste misure repressive incontrino minacce, molestie, detenzioni arbitrarie e torture”, hanno affermato.

Per due anni, le autorità de facto hanno smantellato il quadro giuridico e istituzionale e hanno “governato attraverso le forme più estreme di misoginia”, distruggendo i relativi progressi verso l’uguaglianza di genere raggiunti negli ultimi due decenni.

Negli incontri con i talebani, gli esperti hanno affermato che le autorità de facto avevano detto loro che le donne lavoravano nei settori della sanità, dell’istruzione e degli affari e che stavano assicurando che le donne potessero lavorare secondo la Sharia, separate dagli uomini.

A schoolgirl attending up to primary grade classes sits in a classroom at the start of the new academic year in Kabul, Afghanistan, 25 March 2023. As schools reopen across the country, hundreds of thousands of teenage girls will not be able to go to classes after Taliban authorities banned female students from secondary education. UNICEF urged authorities to lift the ban on girls’ and women’s further education in a statement on 21 March 2023. EPA/SAMIULLAH POPAL

Le autorità de facto hanno ribadito il loro messaggio che stavano lavorando alla riapertura delle scuole, senza fornire una tempistica chiara, e hanno indicato che la comunità internazionale non dovrebbe interferire negli affari interni del Paese, hanno aggiunto gli esperti.

Tuttavia, hanno notato che i talebani impongono certe interpretazioni della religione “che sembrano non essere condivise dalla stragrande maggioranza degli afghani”. Gli esperti hanno affermato che una delle donne con cui hanno parlato ha dichiarato loro: “siamo vive, ma non viviamo”. Le conseguenze delle misure restrittive hanno portato alla detenzione per presunti “reati morali” in base a “regole di modestia” estreme, hanno affermato gli inviati dell’ONU. Nuove leggi hanno anche decimato il sistema di protezione e sostegno per coloro che fuggono dalla violenza domestica, lasciando donne e ragazze assolutamente senza possibilità di ricorso.

L’impatto è allarmante, hanno affermato gli esperti, osservando che le nuove misure imposte dai talebani avrebbero contribuito a un aumento dei tassi di matrimoni precoci e forzati, nonché alla proliferazione della violenza di genere perpetrata nell’impunità.

“Questi atti non si verificano isolatamente”, hanno ammonito. “Se vogliamo eliminare la discriminazione e interrompere i cicli di violenza, la giustizia di genere richiede una comprensione olistica del motivo per cui vengono commesse tali violazioni”.

Women and children wait to be seen by members of a UNICEF-supported mobile health and nutrition team in Kandahar, Afghanistan. (© UNICEF/Salam Al-Janabi )

Il mondo “non può chiudere un occhio”, hanno avvertito. Hanno raccomandato alla comunità internazionale di sviluppare ulteriori standard e strumenti normativi per affrontare “il più ampio fenomeno dell’apartheid di genere” come sistema istituzionalizzato di discriminazione, segregazione, umiliazione ed esclusione di donne e ragazze.

Gli esperti hanno ribadito che le Nazioni Unite non possono abbandonare l’Afghanistan e dovrebbero adottare un approccio basato sui diritti umani che richiede una profonda comprensione e analisi dei suoi principi. Quindi i partner tecnici e finanziari dovrebbero aumentare considerevolmente il loro sostegno agli attivisti e alle organizzazioni di base presenti in Afghanistan e agli sforzi incrollabili di una “società civile ancora vivace” per evitare il completo crollo dello spazio civico che potrebbe avere conseguenze irreversibili, hanno raccomandato gli esperti, esortando le autorità de facto a onorare gli impegni verso la protezione e la promozione di tutti i diritti delle donne e delle ragazze e a rispettare gli obblighi derivanti dagli strumenti di cui l’Afghanistan è uno Stato parte, inclusa la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW ).

Gli esperti prevedono di presentare al Consiglio per i diritti umani a giugno un rapporto congiunto che analizzi a fondo la situazione dei diritti delle donne e delle ragazze in Afghanistan, seguito da un dialogo interattivo con le donne afghane. E poi? Che succederà?

Deputy Secretary-General Amina Mohammed (centre left) meets Taliban de facto Foreign Minister Amir Khan Muttaqi, in Kabul, Afghanistan. She was accompanied by UN Women Executive Director Sima Bahous and a high-level delegation. (UN Photo/Mohammad Akram Darwish)

Già tre mesi fa avevamo chiesto alla vice segretario delle Nazioni Unite Amina Mohammed cosa avrebbe dovuto succedere ancora in Afghanistan per l’ONU considerare giunto il tempo di consigliare alle donne afghane di fuggire dal paese dei talebani e aiutarle a farlo. Abbiamo ripetuto recentemente la stessa domanda al dott. Ramiz Alakbarov, coordinatore umanitario delle Nazioni Unite per l’Afghanistan della missione UNAMA, che ci ha replicato di aver compreso “lo spirito provocatorio” della domanda. Ma la questione era seria e resta in sospeso: chi vuol ancora veramente salvare le donne dell’Afghanistan?

 

 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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