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Delle risoluzioni Onu sui diritti delle donne afghane i talebani se ne infischiano

Il Consiglio di Sicurezza ha approvato nel 2021 la risoluzione vincolante 2593, poi ripetutamente calpestata da Kabul. La reazione? Parole, parole, soltanto parole

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Delle risoluzioni Onu sui diritti delle donne afghane i talebani se ne infischiano

August, 30th, 2021: A wide view of the Security Council meeting on the situation in Afghanistan as the Council votes to adopt resolution 2593 (2021) on Afghanistan. The resolution was adopted with 13 votes in favour and 2 abstentions (China & Russian Federation).

Time: 7 mins read

In questi giorni si assiste alla corsa a chi condanna i talebani per i loro divieti contro le donne afghane, ma sono parole, parole, soltanto parole: nei fatti, le donne in Afghanistan restano indifese e i loro diritti umani calpestati ogni giorno da un regime che, a chiamarlo medioevale, si fa torto al Medio Evo.

Giovedì un gruppo di esperti indipendenti di diritti umani nominati dalle Nazioni Unite ha chiesto l’immediata revoca del divieto dei talebani alle donne afgane di lavorare per le Nazioni Unite. Lo hanno descritto come una discriminazione illegale e un attacco diretto alle donne, “totalmente contro i valori e i principi fondamentali” della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione universale dei diritti umani (UDHR).

L’ultimo divieto ostacolerà infatti ulteriormente la fornitura di assistenza critica a milioni di afghani bisognosi di sostegno urgente, con molte delle donne e ragazze maggiormente colpite.

“Continuando a prendere di mira, escludere e isolare le donne e le ragazze nella società afghana e negando alle donne di lavorare in molte professioni in Afghanistan, i talebani stanno mettendo a rischio la vita di tutti gli afgani e mettendo a repentaglio il futuro del paese”, ha dichiarato il Consiglio per i diritti umani attraverso i suoi esperti.

“I talebani stanno dimostrando ancora una volta il loro sfacciato disprezzo per i diritti delle donne e il loro benessere, e fino a che punto arriveranno a rimuovere le donne da tutte le aree della vita pubblica e privarle dei loro diritti e della loro dignità”.

Afghan female student leave Kabul University in Kabul, Afghanistan, 21 December 2022. The ruling Taliban has banned women from attending university in Afghanistan, according to an order issued on 20 December 2022. After regaining power, the Taliban initially insisted that women’s rights would not be hindered, before barring girls over the age of 12 from attending school earlier this year. The UN envoy to Afghanistan, Roza Otunbayeva, once again condemned the closure of secondary schools for girls, a move which she said would mean there would be no more female students eligible for university within two years. EPA/STRINGER

Dure parole, ma ancora solo parole: “Prendere di mira donne e ragazze in Afghanistan e negare i loro diritti fondamentali perché sono donne aumenta la preoccupazione per la persecuzione di genere, un crimine contro l’umanità, e i responsabili devono essere ritenuti responsabili”, hanno continuato gli esperti di diritti umani dell’ONU. “Chiediamo alle autorità de facto di revocare immediatamente i divieti per le donne che lavorano con le ONG nazionali e internazionali e le Nazioni Unite”, concludono nella loro dichiarazione congiunta.

Basterà il loro appello? Macché! Forse risulterà più efficace la mossa da parte degli Stati Uniti, Unione Europea, Russia e Organizzazione per la Cooperazione Islamica (Oic) che hanno giovedì condannato il veto talebano contro contro il ruolo delle donne nella missione umanitaria dell’ONU? E perché mai, dato che sono le stesse parole di condanna usate mesi fa, nei precedenti divieti dei talebani contro l’istruzione femminile…

“Sono preoccupato per la nuova e riprovevole decisione dei talebani che vieta alle donne afghane di lavorare con le Nazioni Unite”,  lamenta sul suo account Twitter il segretario di Stato americano, Antony Blinken. Anche l’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, ha espresso “profondo shock” per la decisione dei talebani, che Bruxelles ha denunciato come un nuovo atto di discriminazione che “aggrava ulteriormente la situazione di donne e ragazze in Afghanistan e costituisce una violazione dei diritti umani”.

Disturbed by another reprehensible Taliban decision banning Afghan women from working with the @UN. This will threaten vulnerable Afghans who depend on humanitarian assistance. We urge the Taliban to put Afghans first and reverse this decision. https://t.co/o3MGpz2ahN

— Secretary Antony Blinken (@SecBlinken) April 6, 2023

Al Palazzo di Vetro dell’ONU, giovedì la rappresentante permanente del Regno Unito, l’ambasciatrice Barbara Woodward, ha definito “spaventoso” l’ultimo veto dei talebani contro le donne che lavorano per le organizzazioni umanitarie. Già, sono tutti così spaventati che poi, durante la riunione a porte chiuse del Consiglio di Sicurezza, non è apparso uno straccio di documento comune.

Queste dichiarazioni ci appaiono così deboli che invece di scalfire, semmai incoraggiano i talebani nel continuare la demolizione dei diritti umani delle donne afghane. In nessuna di queste dichiarazioni “indignate” appare un appello alla risoluzione 2593 già approvata dal Consiglio di Sicurezza il 30 agosto del 2021. Ma quanto importa al resto del mondo soccorrere veramente le donne dell’Afghanistan?

Infatti, se le potenze del mondo con le loro “condanne” volessero segnalare una convincente determinazione, avrebbero già uno strumento più forte delle parole, con cui almeno minacciare conseguenze per i talebani se continuano a accanirsi contro le donne: intimare il rispetto della Risoluzione “vincolante” del Consiglio di Sicurezza votata nell’agosto del 2021 ma che viene invece costantemente violata ogni giorno dagli editti del regime talebano.

La decisione dei talebani che vieta alle donne di lavorare per le Nazioni Unite all’interno dell’Afghanistan, avrà conseguenze devastanti per la consegna degli aiuti e mette in pericolo la vita di milioni di afghani che dipendono da questi aiuti umanitari.

Deputy Secretary-General Amina Mohammed (centre left) meets Taliban de facto Foreign Minister Amir Khan Muttaqi, in Kabul, Afghanistan. She was accompanied by UN Women Executive Director Sima Bahous and a high-level delegation. (UN Photo/Mohammad Akram Darwish)

Numerosi alti funzionari delle Nazioni Unite, a cominciare dal segretario generale António Guterres, hanno espresso le loro condanne. Mercoledì, il vice capo delle Nazioni Unite, Amina Mohammed, ha quindi ancora una volta promesso un impegno continuo della leadership delle Nazioni Unite nel “dialogo” con i rappresentanti dei talebani per risolvere la situazione.

In un’altra dichiarazione mercoledì, la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA) ha affermato che la Rappresentante speciale Roza Otunbayeva sta coinvolgendo le autorità al più alto livello possibile, così come altri Stati membri, la comunità dei donatori e i partner umanitari, per revocare l’ultimo decreto talebano.

“Nella storia delle Nazioni Unite, nessun altro regime ha mai tentato di vietare alle donne di lavorare per l’Organizzazione solo perché sono donne. Questa decisione rappresenta un attacco contro le donne, i principi fondamentali delle Nazioni Unite e il diritto internazionale”, ha affermato Otunbayeva.

Purtroppo è ampiamente “scaduto” il tempo dei “colloqui” per convincere i talebani a tornare indietro. Negli ultimi mesi, i vari incontri degli “alti” funzionari dell’ONU con esponenti del regime talebano, invece di ammorbidire, hanno rafforzato la sicurezza dei talebani di poter andare avanti nel proseguire la loro agenda integralista e islamista, certi di non dover subire alcuna conseguenza.

An Afghan girl studies at home with the help of her father after being denied the right to carry on studying at school. (© UNICEF/Munir Tanwee/Daf recor )

Con un record di 28,3 milioni di persone bisognose di assistenza nel 2023 (su 40 milioni di abitanti totali!) e un appello umanitario di 4,6 miliardi di dollari, l’Afghanistan rappresenta la più grande operazione di aiuti umanitari al mondo. Ma in questo momento ha anche il triste primato di essere l’operazione con il minor finanziamento delle Nazioni Unite a livello globale, con meno del cinque per cento.

Il dottor Ramiz Alakbarov, coordinatore umanitario delle Nazioni Unite per l’Afghanistan, ha affermato che, a causa di questo grave deficit di finanziamento – da quando i talebani enunciano i loro editti contro le donne, sono crollati gli aiuti internazionali verso la missione dell’ONU –  la mossa “minerebbe ulteriormente la capacità dei partner umanitari di sostenere la popolazione, in particolare i più vulnerabili come donne e ragazze”.

“Il mondo non può abbandonare il popolo afghano in questo momento precario”, ha implorato Alakbarov, prima di esortare la comunità internazionale “a non punire ulteriormente il popolo afghano negando finanziamenti critici”.

“Mentre continuiamo a impegnarci con le autorità de facto talebane per trovare una soluzione a questi decreti, esortiamo la comunità internazionale a non punire ulteriormente il popolo afghano trattenendo i finanziamenti fondamentali”, ha affermato  Alakbarov. Si deve essere grati alle agenzie umanitarie che rimangono sul campo fornendo assistenza salvavita a milioni di persone e le ONG nazionali e internazionali hanno continuato ad attuare programmi negli ultimi tre mesi, nonostante le circostanze molto difficili. “La popolazione ha già sopportato così tanto che sarebbe inconcepibile imporre loro ulteriori danni privandoli di un’ancora di salvezza umanitaria essenziale”, ha affermato Alakbarov.

Mercoledì, durante un briefing al Palazzo di Vetro, abbiamo chiesto al Dr. Alakbarov (vedi video sopra dal minuto 43:00), se ogni volta che incontra i talebani, ricorda loro di rispettare la risoluzione 2593 del Consiglio di Sicurezza che all’articolo 3 li obbliga a dover permettere la distribuzione degli aiuti umanitari dell’ONU e all’articolo 4 a pienamente rispettare i diritti umani delle donne. Glielo fanno notare ai talebani, che le risoluzione del consiglio di Sicurezza sono “binding”, vincolanti? Il funzionario ONU ha risposto: “Grazie per questa domanda molto importante. Certamente noi facciamo riferimento alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza”. Dopo una pausa, Alkbarov ha proseguito lentamente, cercando di trovare le parole adatte: “I talebani si considerano non riconosciuti, e ogni volta che si porta alla loro attenzione (la risoluzione), loro hanno un’ interpretazione differente di quello che loro ritengono come una interferenza.  Qualche volta si ha davanti un interlocutore che riconosce la legge internazionale e vuole rispettarne i principi, e alle volte si ha davanti interlocutori che sono meno disponibili a riconoscerla. Infatti diventa molto difficile far ritenere responsabile agli standard della legge internazionale, qualunque autorità che arriva al potere attraverso mezzi incostituzionali, perché non si considerano soggetti ad essa. Noi facciamo presente ai talebani la risoluzione del Consiglio di Sicurezza e anche altre convenzioni internazionali e norme sul rispetto dei diritti umani firmate dall’Afghanistan come paese membro delle Nazioni Unite. Perché l’Afghanistan resta un membro dell’ONU, anche se il regime talebano non ha il suo rappresentante. Ma alla fine la relazione con loro resta molto complessa”.

As the unprecedented crackdown on women’s right continues in #Afghanistan the response to ongoing humanitarian crisis remains unfunded.
Read my statement: https://t.co/oSfXWpQoJ1

— Dr. Ramiz Alakbarov (@RamizAlakbarov) April 6, 2023

A che serve approvare una risoluzione del Consiglio di Sicurezza se non si ha intenzione di farla rispettare? Forse in quelle giornate di caos dell’estate del 2021,  bastava per “lavare la coscienza” di chi abbandona le donne dell’Afghanistan al loro destino dopo tante promesse non mantenute?

Non è una domanda da porre al Dr. Alakbarov, che in questo momento a Kabul svolge un lavoro tanto difficile quanto indispensabile. Bisognerà invece farla agli ambasciatori di quei paesi che votarono sì alla risoluzione 2593 (Russia e Cina non la bloccarono, astenendosi), ma che in pratica, non hanno fatto nulla per farla rispettare.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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