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Gasdotti Nord Stream: al Consiglio di Sicurezza non passa la risoluzione russa

La Russia chiedeva l'istituzione di una commissione d'indagine ONU sull'attentato, ma a votare a favore risultano solo Cina e Brasile, tutti gli altri si astengono

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Gasdotti Nord Stream: al Consiglio di Sicurezza non passa la risoluzione russa

Il momento del voto al Consiglio di Sicurezza dell'Onu della risoluzione per una commissione d'indagine sull'attentato ai Gasdotti Nord Stream: con la mano alzata per votare sì, solo i rappresentanti di Russia, Cina e Brasile UN Photo/Eskinder Debebe

Time: 8 mins read

Non passa lunedì al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite la risoluzione della Russia e co-sponsorizzata dalla Cina che chiedeva un’indagine internazionale sul sabotaggio dei gasdotti Nord Stream 1 e Nord Stream 2.  A votare a favore sono stati in tre (oltre a Russia e Cina, il Brasile!), contrari nessuno, gli altri dodici membri del Consiglio si  sono astenuti. Quindi la risoluzione che proponeva al Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres di istituire una commissione internazionale indipendente per condurre un’indagine completa, trasparente e imparziale su tutti gli aspetti dell’atto di sabotaggio sui gasdotti Nord Stream, non è riuscita a prendere i 9 voti a favore necessari per essere approvata, in mancanza di veto da parte dei membri permanenti.

Il documento incoraggiava inoltre i tre paesi che stanno conducendo le proprie indagini (Svezia, Danimarca e Germania) a collaborare pienamente con la commissione e a condividere tutte le informazioni anche con il Consiglio.

La Russia aveva preparato la prima versione della risoluzione Nord Stream già a fine febbraio, ma invece di portarla subito al voto, aveva invitato i membri del Consiglio di sicurezza a discutere il documento per cercare di costruire il consenso per farlo approvare. Ma dopo oltre un mese, al momento del voto, la risoluzione ha ricevuto solo tre voti a favore.

Vassily Nebenzia (centre), Permanent Representative of Russian Federation to the United Nations, requests to speak (UN Photo/Manuel Elías)

“Senza un’indagine internazionale obiettiva e trasparente, non si scoprirà la verità su ciò che è accaduto”, aveva detto l’ambasciatore russo Vassily Nebenzia  prima del voto.

Nelle dichiarazioni dopo il voto, gli Stati Uniti hanno ribadito di “non esser coinvolti nell’attentato in ogni modo”, e che quello della Russia fosse un tentativo di “politicizzare” le indagini, dato che i russi “avevano già dichiarato di esser certi che fossero gli USA responsabili ma senza aver portato alcuna prova al Consiglio”. Secondo gli americani, la risoluzione russa era un tentativo per discreditare le indagini che stanno conducendo la Svezia, la Danimarca e la Germania, che invece meritano fiducia.

Quando ad un certo punto del dibattito, l’ambasciatore russo Nebenzia ha detto che certe accuse dirette contro gli Stati Uniti, la sua delegazione le aveva fatte “dopo aver letto l’articolo del giornalista d’inchiesta Seymor Hersh”,  l’ambasciatore Robert Wood, che sostituiva l’ambasciatrice Linda Thomas-Greenfield, gli ha replicato: “Innanzitutto, non leggo gli articoli di Seymour Hersh. E francamente, gli Stati Uniti non basano le proprie politiche né rispondono semplicemente alle accuse di un singolo giornalista . Il rappresentante americano ha accusato il collega russo di ipocrisia quando, nel suo intervento, aveva detto che fosse fondamentale che si rispetti la legge internazionale sulla protezione di infrastrutture come il Nord Stream da attacchi del genere. “La Russia non ha credibilità” gli ha replicato Wood,.“Invece di fare domande, il collega russo dovrebbe chiedersi cosa stanno facendo all’Ucraina e alle sue infrastrutture civili”.

Small gas leak from Nord stream 2 in the Swedish economic zone in the Baltic Sea, Sweden, 28 September 2022
ANSA/EPA/SWEDISH COAST GUARD

Nebenzia ha anche più volte, chiesto agli altri colleghi, cosa ne pensassero del fatto che lo stesso presidente USA Joe Biden avesse “annunciato di voler distruggere i gasdotti russi”, riferendosi alla famosa conferenza stampa di Biden con il cancelliere tedesco Olaf Scholz avvenuta poche settimane prima dell’invasione russa dell’Ucraina. In quell’occasione, il presidente degli Stati Uniti, rispondendo ad una domanda di una giornalista, sembrava effettivamente minacciare un’azione contro i gasdotti Nord Stream.

Il rappresentante della Cina, che ha definito l’attentato ai pipeline Nord Stream “feroce”, ha motivato il voto a favore della risoluzione per le indagini internazionali di una commissioni istituita dall’ONU dalla ricerca dell’imparzialità, dato che le indagini  “nazionali” necessariamente non possono essere altrettanto imparziali.  La Cina si è detta contrariata dal risultato del voto, sostenendo che  le indagini internazionali non avrebbero impedito alle altre indagini di proseguire, ma quelle dell’ONU sarebbero state più “autorevoli”. Dopo sei mesi dall’attentato, la Cina ha osservato che le indagini internazionali sarebbero partite già in ritardo, e il tempo renderà più difficile scoprire gli attentatori. A questo punto la Cina ha detto di aspettarsi che le tre nazioni europee che stanno portando avanti le indagini lo facciano più speditamente e che riportino i risultati al Consiglio di Sicurezza presto.

Il Brasile, nel fornire la sua spiegazione di voto, ha detto che tutte le proposte portate avanti da un membro del Consigli di Sicurezza meritano rispetto. L’ambasciatore brasiliano Ronaldo Costa Filho ha ricordato come in questo mese il Brasile abbia cercato di raggiungere un consenso attorno alla risoluzione, e ha ringraziato la delegazione russa per la sua disponibilità a modificarla. Il Brasile ha dichiarato che dopo sei mesi non si sa ancora chi ha condotto l’attentato, ma che comprende la prudenza di Svezia, Danimarca e Germania nel condurre le loro indagini, e che il voto a favore della risoluzione russa “non voleva essere una dimostrazione di sfiducia del Brasile nei confronti delle loro indagini, ma soltanto il riconoscimento che un ulteriore indagini internazionale non sarebbe stata in contrasto”. Secondo il rappresentante brasiliano, la commissione stabilita dal Segretario Generale Guterres avrebbe potuto essere molto utile. A questo punto  anche il rappresentante del Brasile ha detto di aspettarsi che i tre paesi condividano col Consiglio al più presto le loro indagini.

Tutti gli altri paesi, hanno motivato la loro astensione, dando fiducia alle indagini condotte da Svezia, Danimarca e Germania e quindi considerando, almeno per ora, non utili aggiungere quelle di una commissione ONU. Tutti tranne il Gabon, che nel motivare la sua astensione, è stato invece molto polemico, dichiarando che si era appena assistito al “Requiem” sulla possibilità di avere in futuro un’ indagine internazionale in casi simili. “Il mondo è d’accordo che si debba indagare, ma poi non si mette d’accordo come. Siamo confusi e per questo ci asteniamo. Questo situazione non è affatto chiara, perché lasciando le indagini solo a tre stati, questi agiranno nel loro interesse nazionale; quindi l’interesse degli stati viene messo prima della trasparenza”.

Da notare anche la presa di posizione degli Emirati Arabi Uniti, con l’ambasciatrice Lana Zaki Nusseibeh che nella sua spiegazione per il voto d’astensione, nel ribadire la fiducia alle tre nazioni europee, gli ha però intimato di essere più trasparenti nelle loro indagini e che comunque si doveva fissare una “clear deadline” (una data di scadenza chiara) per concluderle.

Alla fine della riunione del Consiglio, come ormai accade spesso, nessun ambasciatore si è presentato allo stake-out per rispondere alle domande dei giornalisti inquadrati dalle telecamere dell’ONU. Così ci è toccato ancora una volta inseguirli nei corridoi del Palazzo di Vetro.

Lana Zaki Nusseibeh, Permanent Representative of United Arab Emirates to the United Nations (UN Photo/Eskinder Debebe)

La prima diplomatica che incontriamo è Lana Nusseibeh degli UAE.

Ambasciatrice, vi siete astenuti come la maggioranza, ma avete chiesto tempi certi per la fine delle indagini. Perché un’altra commissione d’inchiesta, questa volta internazionale, sarebbe stata controproducente?

“Credo che anche altri membri del Consiglio abbiano espresso  la necessità che le indagini abbiano una scadenza, che i tempi siano stabiliti. E’ importante che i risultati di queste indagini siano condivisi con tutti gli attori rilevanti in questa vicenda e al più presto possibile. Credo che ci sia un consenso nel Consiglio nella condanna degli attacchi ai gasdotti ma anche sulla necessità che le indagini siano svelte e ci sia collaborazione perché la sicurezza delle infrastrutture energetiche preoccupa tutti”.

Quindi lei ha fiducia che in questo caso Svezia, Germania, e Danimarca finiscano presto e vi portino i risultati?

Qui l’ambasciatrice degli Emirati ha un momento di esitazione, sorride e quindi ci lascia con queste parole: “Non ho i dettagli, credo che le autorità competenti per le indagini sappiano quello che devono fare e sanno che la comunità internazionale attende le loro conclusioni”.

Tutti i giornalisti stanno attorno all’ambasciatore russo Nebenzia, ma in quel momento vediamo allontanarsi in solitudine l’ambasciatore degli USA Robert Wood. Gli corriamo dietro:

L’ambasciatore degli Stati Uniti Robert Wood durante la riunione del Consiglio di SIcurezza sull’attentato ai gasdotti Nord Stream

Ambasciatore, soddisfatto con il voto? Il Brasile ha votato a favore della risoluzione russa dicendo che non vedeva alcuna contraddizione tra l’istituzione della commissione internazionale e il proseguimento delle indagini finora in corso.

“Il Brasile ha votato per come ha ritenuto di dover votare. Non sono nella posizione di poter commentare il loro voto. La maggioranza del Consiglio di Sicurezza ha deciso che bisogna aspettare la conclusione delle indagini in corso e credo che questa sia la posizione responsabile da prendere tra tutte quelle che si sono sentite. E il risultato del voto lo dimostra”.

Gli USA credono che sia giusto chiedere per una “deadline” per queste indagini in corso?

“Assolutamente no. Le indagini devono prendere il tempo che è necessario per giungere alla verità e quindi non penso che imporre una scadenza favorisca il successo delle indagini”.

Ma crede almeno che Svezia, Danimarca e Germania debbano condividere con il Consiglio di Sicurezza le loro indagini?

“Non posso parlare per le regole che hanno queste istituzioni d’indagine, sulla loro giurisdizione etc Non sono in grado di commentarle. Io credo che queste investigazioni hanno bisogno di tempi necessari”.

Ormai l’ambasciatore americano sta prendendo le scale mobili e non sarà più possibile pressarlo. Allora gli chiediamo al volo:

Ambassador Wood, ma almeno leggerà l’articolo di Hersh?

“No”, e scompare sorridendo.

L’Ambasciatore della Federazione russa Vassily Nebenzia all’uscita del Consiglio di Sicurezza attorniato dai giornalisti (Foto VNY)

Ecco che ci appare davanti l’ambasciatore russo Nebenzia, gli facciamo subito una domanda prima che possa entrare anche lui nelle scalemobili:

Ambasciatore, ma tra le indagini di Svezia, Germania e Danimarca, non c’è qualcosa di cui la Russia potrebbe fidarsi, almeno un po’?

“No. Ora li chiamiamo tutte e tre ‘unfriendly countries’ (paesi non amici)”.

Neanche uno si salva?

“Nessuno”.

Ma nemmeno la Danimarca, che pochi giorni fa vi aveva coinvolto nelle sue ultime scoperte?

“Questo è avvenuto perché noi gli bussavamo alla porta continuamente, e alla fine hanno dovuto mostrare qualcosa che segnalasse la loro collaborazione, ma non è abbastanza”.

Perché avete presentato la risoluzione se sapevate che non aveva i voti per passare? La Cina è sembrata contrariata, magari aspettando un altro po’, con altre trattative…

“Per questa risoluzione abbiamo tenuto consultazioni per molto più tempo che in qualunque altra risoluzione. Abbiamo introdotto molti suggerimenti che altri paesi avevano proposto, ma questa questione ormai è politica, non è più tecnica”.

Il prossimo mese avrete la presidenza del Consiglio di Sicurezza e prima l’ho sentita dire ai giornalisti che verrà il ministro degli Esteri Lavrov. Al Consiglio di Sicurezza sull’Ucraina, in questi ultimi mesi, non si discute mai di come trovare la pace. Forse con l’arrivo di Lavrov al Palazzo di Vetro e la presidenza russa del Consiglio, qualcosa cambierà?

Nebenzia ci guarda dritto negli occhi e poi dice: “Spero di sì”.

Ronaldo Costa Filho, Permanent Representative of Brazil to the United Nations (UN Photo/Manuel Elías)

Mentre tutti, compresi i giornalisti, sono spariti e stiamo per tornare in ufficio, ecco che scorgiamo circondato dal suo staff il diplomatico che oggi ci interessa di più, l’ambasciatore Ronaldo Costa Filho. Il Brasile ha votato con la Russia e la Cina la risoluzione, quando ci avviciniamo non ci sembra vero che non ci sono altri colleghi attorno.

Ambasciatore Costa Filho, voi avete votato per la risoluzione ma avete anche chiarito che non è un voto di sfiducia alle indagini della Svezia, Danimarca e Germania. Ma perché le loro indagini non basterebbero per trovare gli autori dell’attentato?

“Perché sono passati sei mesi e non sappiamo nulla”.

Ho appena parlato con l’ambasciatore degli USA Robert Wood e gli ho chiesto se ci dovesse essere una deadline per le indagini, e lui ha subito replicato di no, per gli USA le indagini hanno bisogno di tutto il tempo di cui avranno bisogno… Lei che ne pensa?

“Non posso rispondere a questa domanda. Lui ha la sua opinione. Io non dico che le indagini dovrebbero essere concluse adesso, ma ci dovrebbero essere già delle indicazioni a che punto sono, e invece non abbiamo nulla”.

Il Brasile sta prendendo l’abitudine nel Consiglio di Sicurezza di votare con la Russia…

“No, non mi sembra accurato dirlo. Abbiamo votato costantemente la condanna dell’invasione. L’unica volta che non abbiamo votato la risoluzione è stato nell’Assemblea Generale quando si chiedeva di espellere la Russia…”.

Appena pochi giorni fa, avete votato con la Russia per far parlare un’ umanitaria ma siete rimasti anche questa volta in minoranza….

“Ma quello era un voto procedurale. Non si può affermare che stiamo dalla parte della Russia”.

Diciamo allora che il Brasile negli ultimi tempi mostra indipendenza o meglio, “imprevedibilità”, nel suo voto?

“No, assolutamente no. Indipendente non significa imprevedibile. Noi decidiamo sul merito delle questioni, che significa che non votiamo sempre da una parte o dall’altra. Il Brasile vota per come percepisce la questione di cui si sta discutendo. Questa è la definizione d’indipendenza. Questa è la definizione di democrazia, quando uno può esprimere la sua coscienza attraverso il voto”.

Questa indipendenza aiuta forse ad ottenere anche la carica di membro permanente nell’eventuale riforma al Consiglio di SIcurezza?

“Non pensiamo in questi termini. In questo caso una cosa non si lega all’altra. Noi non votiamo in un certo modo ora pensando alla riforma del Consiglio di Sicurezza…”

Ambasciatore parliamo di pace: se ne sente discutere veramente poco di questi tempi in questo Palazzo di Vetro. Il prossimo mese la Russia avrà la presidenza di turno del Consiglio di Sicurezza. Lavrov verrà qui a New York. Da esperto diplomatico, pensa che il prossimo mese qualcosa di nuovo potrebbe accadere? Un approccio diverso, per la pace intendo… 

“Ci vuole la volontà da entrambe le parti per sedersi e discutere la pace. Noi lo stiamo chiedendo da tempo, dall’intero anno. Le parti si dovranno sedere e discutere”.

Il Brasile potrà essere un “honest broker” per la pace?

“Il presidente Lula ha già offerto di dare il suo aiuto affinché questo avvenga, insieme ad altri”.

 

 

 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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