Non è la “regina di scacchi” di Netflix, ma quella vera. Sara Khadim al-Sharia, quando si tratta di re, alfieri e cavalli, è un’autentica celebrità. Viene dall’Iran e ha una bacheca di assoluto prestigio, dove svetta il grado di gran maestra femminile e il titolo di maestra internazionale vinto all’84° Congresso mondiale quando aveva solo 18 anni.
Ma non è per l’acume delle sue mosse che stavolta ha fatto notizia. Sara Khadim al-Sharia si è presentata al Campionato mondiale in Kazakistan senza indossare l’hijab obbligatorio, nonostante le pressioni e la repressione violenta del governo di Teheran sui personaggi dello sport e dell’arte che continuano a protestare contro le tradizioni imposte dai talebani.
Un clima diventato insostenibile, quello dell’Iran, che proprio contro le donne sta attuando le misure più pesanti.
“Le ultime restrizioni imposte dai Talebani all’occupazione e all’istruzione di donne e ragazze sono violazioni ingiustificate dei diritti umani e devono essere revocate – ha scritto poche ore fa il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres – Le azioni volte a escludere e mettere a tacere milioni di persone continuano a causare immense sofferenze e grandi battute d’arresto per il potenziale del popolo afghano”.

Popolo che ormai da mesi è in rivolta dopo l’uccisione della giovane curda Mahsa Amini e che proprio a settembre, in occasione dell’Assemblea Generale dell’Onu, si riversò nelle strade di New York davanti al Palazzo di Vetro per chiedere che il loro presidente Ebrahim Rahis venisse processato per crimini contro l’umanità e genocidio.
Un urlo di disperazione che con il tempo si è allargato, andando a toccare anche i simboli dello sport. Niloufar Mardani, membro della squadra nazionale di pattinaggio di velocità, in Turchia un mese fa salì sul podio indossando abiti neri con la scritta “Iran” e sfoggiando i suoi capelli scuri. Stessa scelta fatta ancor prima da Seul Elnaz Rekabi, che gareggiò senza velo ai campionati di arrampicata proprio come Parmida Ghasemi, arciera della nazionale iraniana che decise di togliersi l’hijab davanti ai funzionari della federazione durante la premiazione della Tehran Tirokman League.
“L’abbigliamento non è stato approvato”, si limitò a dire in quelle occasioni il Ministero dello Sport, ma il disprezzo verso un atto considerato blasfemo fu chiaro a tutti.
“Il Segretario generale è profondamente turbato dall’ordine riferito dalle autorità talebane che vieta alle donne di lavorare per organizzazioni non governative nazionali e internazionali”, ha riferito qualche giorno fa il suo portavoce Stephane Dujarric.
“Le Nazioni Unite e i suoi partner stanno aiutando più di 28 milioni di afghani che dipendono dagli aiuti umanitari per sopravvivere. La fornitura efficace di assistenza umanitaria richiede un accesso completo, sicuro e senza ostacoli per tutti gli operatori umanitari, comprese le donne. Il divieto causerà ulteriori e incalcolabili difficoltà al popolo di Tehran”.
Ma i Talebani non si lasciano influenzare dalle dichiarazioni dell’Onu (che il 14 dicembre ha estromesso l’Iran da una commissione incaricata di garantire la sicurezza e le pari opportunità alle donne).e della comunità internazionale e anzi procedono spediti con la repressione di chi non si allinea alle regole imposte dal governo. Alcune artiste iraniane si sono unite al movimento delle atlete e hanno pubblicato foto e video a capo scoperto. Tra di loro ci sono anche nomi noti, come Taraneh Alidousti, Katayoun Riahi, Hengameh Ghaziani e Sohaila Golestani, finite in prigione e a volte mai rilasciate.