“Non ho ricevuto alcuna risposta”, racconta un po’ spazientito l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Volker Turk dopo aver chiesto all’Iran di poter entrare nel paese.
Il motivo della trasferta è la dura repressione che il governo di Ebrahim Raisi sta mettendo in atto contro chi, da oltre due settimane, scende in piazza per chiedere maggiori libertà.
“Ho avuto due incontri con le autorità iraniane – continua Turk – Mi sono offerto di andare lì, proponendo anche una presenza più forte in Iran, dove per ora non abbiamo un ufficio. Finora non ho ricevuto risposta”.
L’analisi dell’Alto commissario dell’Onu non deve essere piaciuta a Tehran. “C’è una crisi totale dei diritti umani”, aveva detto poco prima, chiedendo alle autorità di “mettere fine all’uso della forza non necessario e sproporzionato” contro i manifestanti.
E ancora: “Sono addolorato nel vedere ciò che sta accadendo nel Paese. Immagini di bambini uccisi, di donne picchiate per strada, di persone condannate a morte. Negli ultimi anni abbiamo assistito a ondate di proteste nelle quali si chiedeva giustizia, uguaglianza, dignità e rispetto dei diritti umani. La risposta è stata la violenza e la repressione”.

Per Turk, i vecchi metodi e la mentalità ripiegata su se stessa di chi è al potere non funzionano, ma anzi aggravano una situazione già complessa. In Iran, infatti, donne, giovani, uomini di tutti i ceti sociali, studenti, lavoratori, atleti e artisti chiedono con incredibile coraggio un cambiamento: la fine delle leggi e delle pratiche discriminatorie, il pieno rispetto dei diritti e delle libertà di tutto il popolo, l’inclusione e l’uguaglianza. Ingredienti per un futuro più giusto e migliore.
Ci ha provato, l’ONU, invitando Raisi a “riconoscere le rivendicazioni sociali, economiche e politiche” e ad “accettare la legittimità di coloro che sono impegnati in visioni diverse della società”. I palazzi del potere, però, sono impermeabili a questo tipo di richieste.
Nessuna garanzia, ad esempio, per le donne e le ragazze che dovrebbero sentirsi libere e sicure in pubblico senza temere violenze e molestie, partecipando alla vita pubblica su un piano di parità con gli uomini.
Al momento l’unica risposta è stata la violenza. Secondo fonti attendibili, le stime al ribasso del numero di morti causati dalle repressioni sono superiori a 300. Tra di loro, almeno 40 sono bambini.
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