Detto, fatto. Il trono di Abdul Hamid Dbeibah, primo ministro ad interim in Libia, è sempre più traballante. Il parlamento del tormento Paese lo aveva avvertito. Gli aveva chiesto di dimettersi in seguito al flop delle urne, ma il premier non aveva nessuna intenzione di abbandonare l’incarico affidatogli dalle Nazione Unite, e così, Aguila Saleh, presidente del parlamento, lunedì ha annunciato – entro questa settimana – la nomina di un nuovo capo dell’esecutivo che guiderà il governo di transizione.
A Tobruk, l’ex ministro dell’Interno Fathi Bashaga e il ministro consigliere Khalid al-Baibas sono i candidati ammessi e giovedì sarà decretato il nome di colui che sarà alla guida nazione. Ma gruppi armati nella Libia occidentale hanno già annunciato la loro opposizione al cambio di governo.
Crescono le tensioni e le cancellerie occidentali tremano. Insistono affinché l’attuale esecutivo rimanga in carica fino a quando non si terrà il voto, ma la preoccupazione che il Paese scivoli ancora una volta in un conflitto armato è sempre più reale. Un duro colpo sia per gli sforzi internazionali sia per le Nazioni Unite che hanno tentato di porre fine a un decennio di caos.

Dbeibah ha accusato Saleh di alimentare la divisione nel Paese e ha chiesto l’adozione di una costituzione prima di andare alle urne. Ma le elezioni in Libia sono un miraggio. Non ci sono ancora le condizioni politiche per votazioni libere e trasparenti: la polarizzazione del Paese è troppo forte, non c’è un accordo sulla legge elettorale e i mercenari stranieri portati da Turchia, Russia ed Emirati Arabi Uniti si trovano ancora nel Paese pronti a determinare nuovi equilibri. Il voto, originariamente previsto per il 24 dicembre, è stato posticipato a causa degli intrighi politici tra fazioni rivali. Ma chiedere al popolo delle tribù libiche di restare unito, mentre tutte le potenze straniere continuano ad essere in competizione attuando manovre destabilizzanti, è un controsenso. Le Nazioni Unite sostengono la riprogrammazione delle elezioni a giugno, ma il parlamento libico sta tentando di allungare i tempi. Saleh, infatti, ha spiegato che a partire da quando ci sarà l’accordo sugli emendamenti costituzionali, sarebbero necessari almeno 14 mesi per preparare le nuove votazioni.
Dal Palazzo di Vetro di New York, il vice portavoce del Segretario Generale dell’Onu, Farhan Haq ha detto ai giornalisti che sono in corso negoziati con le parti libiche per cercare di evitare un ritorno “alla discordia e al disordine che ha segnato l’ultimo decennio” e li ha pregati di “dare uno sguardo indietro” per capire che non ci sarà nessun futuro con questo approccio.

Intanto il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha avuto un cordiale incontro a Roma con Stephanie Williams, la consigliera speciale per la Libia del Segretario generale Onu. Al centro dei colloqui, la condivisione di vedute sul quadro politico libico e il pieno sostegno dell’Italia alla missione UNSMIL, ma per Di Maio è importante evitare in tutti i modi un prolungato stallo politico che allontanerebbe ulteriormente le prospettive di una stabilizzazione durevole del Paese.