Secondo migliaia di documenti trapelati questa settimana, alcuni dei paesi che parteciperanno alla Conferenza sul Cambiamento Climatico (COP26) del prossimo mese vogliono ancora minimizzare gli effetti del cambiamento climatico. Unearthed, la testata giornalistica investigativa di Greenpeace, ha avuto l’accesso a più di 32000 richieste inviate all’ONU da parte di paesi come Australia, Arabia Saudita e Giappone, ma anche grandi aziende e altre parti interessate, alcune delle quali lamentano un linguaggio troppo drammatico ed urgente sulla necessità di interrompere l’uso di combustibili fossili.
Le richieste riguardano il rapporto del Panel Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC), un documento pubblicato ogni 6 o 7 anni in cui un gruppo di scienziati del settore analizza rischi futuri e possibili soluzioni al cambiamento climatico. L’organo ONU, che unisce tutti i paesi del mondo, utilizza i dati raccolti per spingere i singoli governi a mettere in atto nuove iniziative, con espressioni come: “c’è bisogno di azioni di mitigazione urgenti ed accelerate, su ogni scala”. E’ proprio questo tipo di linguaggio che i portavoce di alcuni paesi hanno criticato, principalmente i paesi che dipendono, e hanno intenzione di continuare a farlo, da fonti non rinnovabili, come carbone e petrolio.

L’Australia, in particolare, è tra i primi produttori mondiali di carbone e non vuole rinunciare a questa fonte di introiti, sebbene porre fine all’uso di carbone sia uno dei principali obiettivi del COP26, che si terrà il prossimo mese e a cui parteciperanno tutti i paesi tranne Russia e, probabilmente, Cina.
Anche uno degli scienziati del centro di ricerca indiano su combustibili e estrazione mineraria, profondamente collegato al governo locale, ha dichiarato che, con ogni probabilità, l’India continuerà ad usare il carbone in quanto considerato l’unico modo per permettere anche ai più poveri di avere accesso all’elettricità, in un paese che ha grandi difficoltà a distribuire servizi di base alla vastissima popolazione.
Le critiche al rapporto dell’IPCC, però, non erano limitate all’uso di combustibili fossili, ma anche alla produzione e al consumo di carne. Il Panel, infatti, ha sottolineato come la produzione di carne sia tra le maggiori cause di emissioni, e l’importanza di una dieta “plant-based” per porre fine al cambiamento climatico.

I portavoce di paesi come Brasile e Argentina, tra i più grandi produttori di carne al mondo, hanno criticato le aree del rapporto che parlavano intenzionalmente di diminuire il consumo di carne e derivati, nonostante eliminare questi prodotti dalle nostre diete permetterebbe una profonda diminuzione dei gas serra e l’eliminazione del 49% delle emissioni di carbonio del campo agroalimentare.
Le proteste di queste nazioni, che continuano a dare la priorità ai propri interessi economici nazionali alla salute del nostro pianeta, preoccupano ONU, scienziati e attivisti, in quanto potrebbero delegittimare gli sforzi della tanto attesa conferenza sul clima di novembre.
Secondo Inger Anderson, direttrice esecutiva del Programma Ambientale ONU (UNEP), c’è ancora tempo per limitare l’aumento della temperatura terrestre a 1.5 gradi, obiettivo dell’accordo di Parigi, ma sta iniziando a scarseggiare.
There is still time to limit long-term warming to 1.5°C but only just. At #COP26 govts. must take immediate steps to close the fossil fuel production gap & ensure a just and equitable transition.
This is what climate ambition looks like.#ProductionGaphttps://t.co/aawuetAbzQ
— Inger Andersen (@andersen_inger) October 20, 2021
“Al COP26 i governi dovranno farsi avanti, fare passi rapidi ed immediati per porre fine alla produzione di combustibili fossili e assicurarsi che avvenga una transizione giusta ed equa”, ha twittato Anderson.
Proprio nelle stesse ore, un rapporto dell’intelligence nazionale USA ha evidenziato gli effetti che il peggioramento del cambiamento climatico avrebbe sulla sicurezza interna del paese, in particolare per quanto riguarda i rapporti con avversari diplomatici come Cina, Corea del Nord e Pakistan. “Abbiamo determinato che il cambiamento climatico continuerà ad esacerbare i rischi alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti, poiché gli impatti fisici e le tensioni geopolitiche aumenteranno”, riporta il documento firmato dall’Ufficio dell’Intelligence Nazionale. “Dobbiamo capire come rispondere a questa sfida, le politiche e promesse correnti non sono sufficienti”.
Se già l’annuncio della possibile mancata partecipazione della Cina, paese con la più alta produzione di inquinamento al mondo, ha creato dubbi sull’efficacia che avrà il COP26, il desiderio di molte nazioni di mantenere le vecchie abitudini non promette bene per le sorti del pianeta.