Per la prima volta nella storia, il Presidente Biden ha richiesto una task force di esperti che si occupasse di trovare soluzioni per proteggere i profughi costretti ad abbandonare la propria terra per ragioni relazionate, in maniera diretta o indiretta, al clima.
Il rapporto, pubblicato il 14 luglio, è stato presentato in un panel su zoom da alcuni degli esperti che ci hanno lavorato, e presieduto dal Presidente di Refugees International Eric Schwartz.
Combattere il cambiamento climatico è stato fin da subito parte della campagna elettorale del nuovo Presidente, che non ha abbandonato il tema dopo l’elezione. I cinque membri della task force presenti alla conferenza si sono detti molto felici di questo sforzo da parte dell’amministrazione, e hanno preso l’opportunità di informare il governo molto seriamente.
Il focus principale della task force è stato il considerare la speciale responsabilità degli Stati Uniti, che può essere al primo posto nella gestione dei problemi relazionati al clima e alle migrazioni, non solo per la posizione economica del paese, ma anche per aver contribuito a creare il problema stesso. Come è stato infatti ricordato da Alex de Sherbinin, uno scienziato della Columbia University e membro della task force, gli Stati Uniti creano il 25% delle emissioni globali, pur rappresentando solo il 5% della popolazione.
“A volte è una questione di vocabolario,” ha detto la co-presidentessa del gruppo di lavoro Elizabeth Ferris. “Non è sempre utile, nel campo della politica, parlare della crisi climatica come di una colpa degli Stati Uniti. Ma gli abitanti del paese sono d’accordo che sia necessario fare qualcosa per il cambiamento nel clima, per risolvere incendi, alluvioni e altri disastri ambientali. Bisogna usare i termini giusti per mettere da parte i conflitti tra partiti.”
Ferris spinge quindi a parlare degli specifici disastri che stanno già colpendo diverse zone degli USA e del mondo, invece di focalizzarsi sul termine “cambiamento climatico” che è spesso criticato dalle folle repubblicane.
Kayly Ober, responsabile del programma per Refugees International, ha voluto porre un’enfasi sull’aspetto sociale e di discriminazione di questo problema, che coinvolge principalmente il sud del mondo, le persone di colore e le comunità a basso reddito nel mondo. Ha anche parlato di quanto sia un problema intergenerazionale, per cui le decisioni delle generazioni precedenti andranno ad influenzare la qualità della vita dei giovani in futuro.
“Siamo ad un bivio storico per gestire questo problema,” ha detto Ober. “Esistono modi per depoliticizzarlo, la cosa più importante e avere conversazioni a riguardo tra generazioni diverse. I giovani sono in generale più recettivi quando si parla di cambiamento climatico, quindi avere queste conversazioni con gli adulti più scettici può fare la differenza.”
La conversazione si è poi focalizzata sui dati statistici che provano la relazione tra cambiamento climatico e i flussi migratori. A detta di de Sherbinin, si prevedono 143 milioni di rifugiati climatici entro il 2050, sebbene sia difficile distinguerli da chi abbandona il proprio paese per motivi economici o mancanza di sicurezza sotto altri punti di vista.
“Molti dei migranti che abbandonano i loro paesi per via di disastri ambientali non soddisfano i requisiti necessari per essere consideranti rifugiati, nonostante siano impossibilitati a tornare nei loro paesi d’origine,” ha detto Schwartz. “Nonostante questo, la comunità internazionale non vuole modificare la Convenzione sui Rifugiati del 1951, per paura che vengano fatti passi indietro per quanto riguarda i diritti che possiedono oggi i rifugiati nel mondo.”
Tutti gli esperti presenti al panel di mercoledì sono d’accordo che per quanto seria stia diventando la crisi climatica, non è ancora ingestibile. C’è molto lavoro da fare, per capi di governo, attivisti e scienziati, ma le soluzioni sono possibili.
“E’ un impegno notevole da parte dalla amministrazione di Biden, perché è vero che la questione è complessa,” ha detto de Sherbinin verso la fine della conferenza. “Vediamo stati fallire intorno a noi, come Cuba e Haiti, e seppur non sia necessariamente dovuto al cambiamento climatico, alcuni dei loro problemi sono creati dai disastri naturali in quell’area. Il tema diventerà ancora più importante nel futuro ed è fondamentale che ci portiamo avanti. Voglio quindi complimentarmi con il Presidente Biden per essersi fatto carico del problema.”
Il gruppo di esperti ha quindi creato un rapporto che possa fornire ai governi mondiali raccomandazioni su come gestire il problema, a livello locale e globale. È infatti indispensabile, secondo loro, che l’impegno sia su scala globale, in modo da agire positivamente sulla migrazione dovuta al cambiamento climatico.