Gli speranzosi grafici che mostravano un marcato declino nelle emissioni di CO2 durante il 2020 per effetto dei lockdown sembrano essere stati ingannevoli. Secondo quanto riportato dall’annuale report della World Meteorological Organization (WMO) il 2020 è stato tra i tre anni più caldi della storia (1,2° Celsius sopra i livelli preindustriali), in un esacerbarsi degli effetti del cambiamento climatico che non è stato scalfito dalla pandemia. Prevedibilmente, il decennio 2011-2020 si è aggiudicato il primato di decade più calda di sempre.
“Tutti i principali indicatori climatici forniti nel report evidenziato un incessante e continuo cambiamento climatico, un’aumentata probabilità e intensità di eventi estremi e gravi perdite e danni, a carico di persone, società ed economie. Il trend continuerà per i prossimi decenni, indipendentemente che si riesca a mitigare il cambiamento climatico o meno: occorre investire nell’adattamento”, ha commentato il professor Taalas, direttore della WMO.
I dati, presentati da Taalas e dal segretario generale Guterres, sono sempre più preoccupanti. La concentrazione di anidride carbonica è aumentata nel 2020, raggiungendo la concentrazione di 410 ppm, il 148% in più rispetto ai livelli preindustriali. L’80% dell’area oceanica ha subito almeno una ondata di calore marina, e il livello del mare si è ulteriormente innalzato rispetto allo scorso anno. La superficie di ghiacciai artici si è ridotta, raggiungendo uno dei suoi minimi storici. Episodi meteorologici estremi, come inondazioni e siccità, hanno interessato larghe porzioni di Sudamerica, Africa e Asia nel 2020. Si stima che solo il Brasile abbia perso 3 miliardi di dollari nel settore dell’agricoltura.

Nel 2020 ben 30 uragani hanno ricevuto un nome proprio, di cui 12 hanno raggiunto la costa statunitense: un triste primato. Devastanti incendi hanno massacrato il pianeta, come quelli che hanno interessato California e Colorado nel periodo tra luglio e settembre. La Valle della Morte (CA) il 16 Agosto 2020 ha raggiunto la temperatura più alta mai registrata al mondo: 54.4°C.
“I dati in questo report dovrebbero allarmare tutti noi. Il 2020 è stato di 1.2° più caldo dei livelli preindustriali: siamo pericolosamente vicini al limite di 1.5° Celsius indicato dalla comunità scientifica. Siamo sull’orlo dell’abisso”, ha detto il segretario generale Guterres alla presentazione ufficiale del report.
L’unica via per limitare i danni, ha ricordato Guterres, è ridurre del 45% le emissioni rispetto ai livelli del 2010 prima del 2030 e raggiungere le emissioni zero entro il 2050. Un progetto ambizioso che però non eviterà, ormai, che i pattern climatici estremi ci accompagnino nei prossimi decenni, secondo il professor Taalas. Per questo il Fondo Monetario Internazionale ritiene che la ripartenza economica conseguente alla pandemia debba seguire la stella polare della sostenibilità ed investire in infrastrutture resistenti ai disastri ambientali che inevitabilmente verranno, in sistemi di allerta precoce del rischio ed in sistemi di previdenza internazionali che intervengano per arginare i futuri danni economici dettati da eventi climatci estremi.
Guterres ha ribadito la necessità che tutti i paesi riconoscano la assoluta emergenza e cooperino: “i triliardi di dollari spesi per il Covid devono allinearsi con gli accordi di Parigi e con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile”, dirottando ogni sussidio dall’economia dei combustibili fossili a quella rinnovabile. Gli Stati più ricchi dovranno, in questo percorso, essere la guida, “mantenendo la promessa di un sostegno finanziario per i paesi in via di sviluppo”.
“Nessuna nuova centrale elettrica a carbone dovrebbe essere costruita”, ha avveritto Guterres nel suo discorso, facendo eco a quanto dichiarato dall’Inviato Speciale per il Clima dell’amministrazione Biden, John Kerry.
“In Europa nessuna banca, istituto di credito o addirittura fondo privato finanzierebbe mai una centrale elettrica a carbone (…). Noi [americani] dobbiamo abbandonare il carbone più velocemente”, ha detto Kerry intervenendo al meeting primaverile del Fondo Monetario Internazionale e della World Bank.
Kristalina Georgieva, che guida il FMI, ha illustrato i tre fondamentali pilastri della ripresa economica: tassare pesantemente le emissioni fossili, dai $2 a tonnellata attuali a $75 entro il 2030, investire massicciamente nelle infrastrutture ecosostenibili e ridurre l’impatto che la transizione verso le energie rinnovabili avrà su colore che sono attualmente impiegati nell’industria del petrolio e del carbone. Una ripresa, insomma, tutta all’insegna dell’ecologia.

Uno dei tasti dolenti, secondo Kerry, di fronte all’urgenza ineluttabile della sfida del cambiamento climatico rimane la Cina, primo inquinatore al mondo davanti agli USA. Essa dovrebbe continuare ad aumentare nelle sue emissioni per tutto il decennio, raggiungendo il suo picco nel 2030. Tuttavia, una volta raggiunto, i dati suggeriscono che le emissioni cinesi “praticamente rimarranno ad un plateau, anziché ridursi sufficientemente”, ha spiegato Kerry. Poiché circa il 30% delle emissioni globali vengono dalla Cina, a queste condizioni mantenere gli obiettivi degli accordi di Parigi prefissati per il 2030 sembrerebbe impossibile, secondo l’Inviato.
“Tutte le nazioni devono collaborare. Se gli USA arrivassero a emissioni zero domani non farebbe la differenza che ci occorre, perché dobbiamo tutti ridurre allo stesso tempo. Questa è la sfida”. In tutto ciò, ovviamente, la Cina non intende sacrificare il suo sviluppo economico. Kerry assicura che l’obiettivo dell’amministrazione Biden non sia quello di azzoppare nessuno: “vogliamo lavorare con la Cina ed altri paesi per accertarci che non facciano i nostri stessi errori”.
Il segretario Guterres, nella conferenza stampa che ha seguito la presentazione del report della WMO, ha confermato l’importanza strategica della Cina, ma ha ricordato anche il ruolo degli USA, secondo maggiore inquinatore globale, che non hanno ancora annunciato il loro Nationally Determined Contribution, cioè il loro obiettivo di riduzione di emissioni. Biden dovrebbe comunicarlo il 22 Aprile, durante il summit virtuale per l’Earth Day.
Secondo la International Labour Organization la transizione ecologica creerebbe 25 milioni di posti di lavoro, sacrificandone solamente 7. Secondo Kerry è quindi evidente che a livello globale non si stiano prendendo le decisioni giuste. “Gli economisti ci hanno avvertito più volte”, ha detto, “non fare niente costa di più ai nostri cittadini e contribuenti che rispondere alla crisi climatica”.