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March 15, 2021
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Pubblicato il report di UN Women: di questo passo, parità di genere tra 130 anni

Si inaugura la 65esima Commissione sullo Status delle Donne. Esaminerà i progressi fatti e stabilirà un piano di azione internazionale

Sonia TurrinibySonia Turrini
Time: 4 mins read

Si inaugura oggi la 65esima Commissione sullo Status delle Donne, all’ONU, che proseguirà fino al 26 Marzo. A causa della pandemia l’evento è stato cancellato l’anno scorso, e dunque si celebrerà quest’anno il 25esimo anniversario della quarta Conferenza Mondiale sulle Donne, tenutasi a Pechino nel 1995, occasione in cui la allora First Lady Hillary Clinton pronunciò il famosissimo discorso sui diritti delle donne, che sono diritti umani.

La parità di genere nella vita pubblica è uno degli obiettivi cardine dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, e la Commissione ha lo scopo di esaminare i progressi fatti, puntare un faro sulle disuguaglianze ancora presenti fra uomini e donne e stabilire un piano di azione internazionale.

Nonostante i passi avanti fatti nel tempo, gli ultimi dati pubblicati da UN women dipingono ancora un quadro di disparità e disuguaglianza nella partecipazione politica. Il divario si allarga sempre più man mano che si sale verso i vertici: solo 21 Paesi al mondo hanno una donna come Capo di Stato o di Governo, e ben 119 non ne hanno mai avuta una (fra questi ultimi, naturalmente, sia Italia che USA). Secondo le stime ONU, all’attuale velocità la parità non sarà raggiunta per altri 130 anni.

Phumzile Mlambo-Ngcuka, Executive Director of UN-Women. (UN Photo/Mark Garten)

Scendendo di un gradino nella gerarchia del potere, a livello globale le donne sono a capo di poco più di un quinto dei ministeri, e solo 14 paesi hanno gabinetti con presenza femminile al 50%. La proporzione delle donne che siedono nei parlamenti del mondo è raddoppiata rispetto al 1995, passando dal misero 12% di allora all’ancora esiguo 25% attuale. Un punto interessante che l’ONU riporta nei suoi documenti è che la presenza femminile in parlamento è mediamente di 10 punti percentuali più alta nei paesi con sistemi elettorali proporzionali piuttosto che maggioritari: un tema interessante di cui tener conto anche in Italia, nell’attuale dibattito per sostituire il Rosatellum e riscrivere la legge elettorale.

Nel merito UN women raccomanda di potenziare le quote rosa che, nonostante la loro nomea controversa, hanno contribuito sostanzialmente al progresso, portando le donne ad occupare in media il 26% dei seggi parlamentari rispetto al 21% dei paesi senza queste leggi. Ben lungi dall’essere un traguardo sufficiente, ma è un segnale che invita ad applicare queste politiche con maggiore ambizione.

Nonostante si tratti di un progresso modesto, non è passato inosservato agli occhi di chi non vorrebbe vedercele affatto, le donne, a prendere decisioni. Secondo quanto riporta la dottoressa Ballington, infatti, la violenza nei confronti delle donne è aumentata di pari passo con il loro potere politico.

Martina Sandoval, UNPOL officer from El Salvador, serving in UNMISS, the United Nations Mission in South Sudan (UNMISS/Gregório Cunha)

Eppure, la presenza delle donne nella gestione della cosa pubblica ha sempre avuto ottimi esiti. I governi guidati da donne tendono a finanziare di più la sanità e l’educazione, e la leadership femminile correla con una maggiore stabilità e giustizia sociale. L’inclusione delle donne nelle negoziazioni di pace aumenta la probabilità di raggiungere accordi, e che questi siano duraturi nel tempo, e secondo una stima ricucire il gender gap nella forza lavoro entro il 2025 porterebbe ad un guadagno di 28 triliardi di dollari.

Un dato citato spesso è che i paesi a guida femminile sono stati quelli che hanno risposto più efficacemente alla pandemia, da Taiwan alla Germania alla Nuova Zelanda. Tuttavia, solo il 3.5% dei paesi hanno creato task force per la gestione della pandemia con una metà di presenze femminili. Non solo: i media hanno mostrato un forte bias di genere, preferendo citare le opinioni di uomini piuttosto che di donne, in un rapporto di 5 a 1, e consultando esperti di genere maschile nel 77% dei casi. E nel frattempo, il peso della pandemia grava principalmente sulle spalle delle donne.

Che cosa si frappone tra noi e la parità di genere, si chiede il recente rapporto pubblicato dall’ONU? Certamente non la competenza.

Una parte della responsabilità grava sui partiti, che mostrano una sostanziale iniquità nel finanziamento di campagne elettorali femminili. I dati dimostrano che la mancanza di fondi è uno dei principali ostacoli che impediscono alle donne di partecipare in politica. Per questo l’ONU suggerisce che il finanziamento pubblico ai partiti sia distribuito a condizione che essi supportino ugualmente candidati di entrambi i sessi.

Tuttavia, la montagna più grande da scalare è quella degli stereotipi sociali. Madeline Heilman dimostra che, davanti a due curricula identici eccetto per il nome ed il genere, 86% delle persone ritengono che l’uomo sia più competente, e se viene fatto notare che i due hanno esattamente le stesse credenziali, l’83% continua a ritenere l’uomo più piacevole. Le ricerche dimostrano che alla base della sottorappresentazione delle donne non vi sia altro che la percezione che il potere debba essere gestito dagli uomini; nonostante la presenza femminile nei luoghi di potere sia aumentata, l’atteggiamento nei confronti delle donne che corrono per uffici pubblici è cambiato in misura molto modesta negli ultimi 25 anni. In uno studio condotto tra il 2017 ed il 2020 è emerso che gli uomini sono ancora considerati politici “migliori”, e che i tratti di competitività, aggressività e decisione sono considerati positivi per un uomo, ma negativi per una donna. Tristemente, anche le stesse donne aderiscono a queste credenze. Contrastare la disuguaglianza di genere, dunque, non è unicamente un lavoro per i legislatori, ma anche per i leader religiosi, per i media, per i genitori, che possono attivamente, un insegnamento alla volta, contribuire ad erodere questi stereotipi.

“Finché la discriminazione e le disuguaglianze saranno così comuni ovunque nel mondo, finchè ragazze e donne saranno valutare meno, nutrite meno, nutrite per ultime, sfruttate, sottopagate, non istruite, sottoposte a violenza dentro e fuori dalle loro case, il potenziale della famiglia umana di creare un mondo pacifico e prospero non sarà mai realizzato”, disse Hillary Clinton a Pechino. Sono passati 26 anni, ma le sue parole potrebbero essere pronunciate oggi ed essere altrettanto attuali.

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Sonia Turrini

Sonia Turrini

Sono laureata in psicologia, attualmente impegnata in un PhD in Neuroscienze a Bologna. Sono cresciuta con la cultura americana nell’aria, l’Herald Tribune in salotto, i libri dei grandi presidenti sulle mensole di casa, e Bruce Springsteen nelle orecchie. Non ho memoria di quando ancora non conoscevo Streets of Philadelphia, perché ero troppo piccola per ricordare. E pensavo parlasse di formaggio. Ho visitato gli Stati Uniti la prima volta, ancora ragazzina, nell’estate 2008, e ho passeggiato con la mia spilletta Yes We Can appuntata sullo zaino. Seguo con passione la politica americana da anni, e oggi ne scrivo sperando di portarci il valore aggiunto della mia formazione scientifica: le opinioni sono sempre ben accette, ma solo sulla base di fatti oggettivi, dimostrati e condivisi.

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