Su Alexei Navalny, il dissidente russo avvelenato il 20 agosto 2020, i riflettori non vogliono spegnersi. È infatti delle ultime ore la notizia che due esponenti delle Nazioni Unite, esperti in tematiche di diritti umani, abbiano ricordato la necessità di procedere con le indagini sulle vicende che la scorsa estate lo hanno portato al centro delle cronache internazionali.
Navalny è, in Russia, il più grande oppositore di Vladimir Putin, leader incontrastato del Paese dal 1999. È anche capo politico del partito “Russia del Futuro” e presidente della Coalizione Democratica (che unisce “Russia del Futuro”, “RPR-Parnas” e “Scelta Civica”), formazione in precedenza co-presieduta con Boris Nemcov. Nemcov che, casualità o coincidenza, è stato assassinato nel 2015 da un gruppo di sicari.
Agnes Callamard e Irene Khan, i due membri protagonisti di questo nuovo capitolo, non si sono persi in troppi giri di parole. “Crediamo che l’avvelenamento di Navalny possa essere stato deliberatamente effettuato per inviare un chiaro avvertimento circa il fatto che questo sia il destino di chiunque voglia criticare e opporsi al governo”. Lo hanno scritto in una lettera inviata a dicembre alle autorità russe, dopo aver condotto quattro mesi di indagini riguardo un caso su cui hanno intenzione di vederci chiaro. Il testo arriva sotto i nostri occhi soltanto oggi, dopo che la clausola di riservatezza fissata a 60 giorni è finalmente scaduta.
Callamard e Khan parlano con precisione, dopo averlo studiato a lungo, del veleno utilizzato per colpire Navalny. Si tratta del Novichok, un agente nervino sviluppato dalla Russia quando ancora si chiamava Unione Sovietica ed è stato dimostrato da tutti i test tossicologici condotti dalla OPCW, l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, in Germania, Francia, Svezia.
Il Novichok ha alcune caratteristiche che ben fanno comprendere il motivo della sua creazione. Non è infatti tracciabile con i metodi chimici standard di rilevamento della NATO, è sicuro da maneggiare e persino toccare ed è anche perfettamente idoneo ad aggirare la Convenzione sulle Armi Chimiche siglata a Parigi nel 1993.
“La disponibilità di Novichok e l’esperienza necessaria per gestirlo – continuano i due membri delle Nazioni Unite – sviluppando una forma nuova come quella presente nei campioni prelevati da Navalny, sono stati trovati solo all’interno di alcuni attori statali”. Il sottointeso qui è evidente: l’avvelenamento è stato portato avanti direttamente dallo Stato. E se lo Stato in Russia è Putin, allora proprio da Putin.
Esiste anche un altro elemento che rafforza la tesi americana. Navalny, al momento del tentato omicidio, era infatti sotto a un’intensa attività di sorveglianza governativa. Gli uomini dello Stato non lo perdevano mai di vista, quindi il fatto che una terza parte abbia potuto somministrargli una sostanza chimica all’insaputa delle autorità, appare piuttosto remota.
Ma c’è di più. L’utilizzo del Novichok viola anche gli impegni che la Russia si è assunta nella già citata Convenzione sulle armi chimiche e il dolore al quale Navalny è stato costretto, effetto diretto del veleno presente in corpo, si configura giuridicamente come tortura o trattamento disumano. Insomma, in Russia c’è un problema di democrazia e finalmente le Nazioni Unite lo denunciano con chiarezza.
“Il governo non può sottrarsi ai suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale in materia di diritti umani – continua la lettera – negando la responsabilità dell’atto stesso. Anche nell’improbabile caso in cui una terza parte potesse in qualche modo aver commesso l’atto, la Russia avrebbe mancato al suo obbligo di proteggere la vita di Navalny da altri attori non statali”.
Oltre a questo, è da agosto che Callamard e Khane chiedono all’amministrazione Putin di portare avanti un’inchiesta trasparente e credibile che sappia spiegare al sistema internazionale chi siano i responsabili del tentato omicidio. Sei mesi sono passati da quando la richiesta è stata ufficialmente presentata. La risposta, per ora, non è ancora arrivata.
“Data la risposta inadeguata delle autorità nazionali – concludono – l‘uso di armi chimiche proibite e l’apparente modello di tentativi di uccisione mirata, riteniamo che un’indagine internazionale dovrebbe essere condotta con urgenza al fine di stabilire i fatti e chiarire tutte le circostanze relative all’avvelenamento del signor Navalny”.
La palla passa dunque a Putin e ai suoi. Le Nazioni Unite, parola dei suoi delegati, non molleranno facilmente la presa.