A sei mesi dalla morte di Mario Paciolla, cooperante ONU in servizio alla Missione di Verifica delle Nazioni Unite in Colombia, sono ancora tantissimi i dubbi che avvolgono il caso. Famigliari e amici invocano giustizia ed anche il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha lanciato un appello affinché venga scoperta la verità.
Il 33enne napoletano è stato trovato impiccato con un lenzuolo attorno al collo all’indomani del 14 luglio nel suo appartamento a San Vicente del Caguán. Da allora sono partite tre distinte indagini per fare chiarezza sulla tragica scomparsa.
Le autorità colombiane hanno fin da subito parlato di suicidio. Ad ottobre la rivista “Semana” ha pubblicato l’esito dell’autopsia effettuata dai medici colombiani, confermando l’ipotesi che Mario si sarebbe tolto la vita.
Una teoria alla quale né la famiglia, né chi lo conosceva bene ha mai creduto. Sua madre, Anna Motta, ha descritto suo figlio come estremamente preoccupato nei giorni precedenti alla sua morte. Ilaria Izzo, la ex fidanzata, ha confermato il terrore ossessivo di Mario: “temeva di essere intercettato e pedinato” ha raccontato alle autorità colombiane. La giornalista e amica del volontario italiano, Claudia Julieta Duque, ha pubblicato su El Espectador, una lettera-articolo in cui ha chiarito diversi aspetti. Parlando del rapporto “travagliato” tra Mario e i suoi superiori della Missione ONU in Colombia, ha spiegato che per lui non era più sicuro restare. Infatti, appena prima di morire, il 33enne stava pianificando la sua fuga da San Vicente del Caguan, per trasferirsi prima a Bogotà, e poi raggiungere Napoli.

In Italia, la procura di Roma ha aperto un fascicolo per omicidio. Il medico legale, Vittorio Fineschi, che ha coordinato l’autopsia, ha consegnato alla Procura 300 pagine di referto. Per certi aspetti non si condividono le indagini realizzate dalle autorità colombiane, ma l’analisi non può essere ancora resa nota. Mancano delle delucidazioni e il lavoro è limitato dai tessuti del corpo che si consumano al passar del tempo. Inoltre, la salma di Mario è arrivata ai medici legali in condizioni precarie e senza che il cadavere fosse stato ricomposto dopo una prima autopsia oltreoceano.
Agli inquirenti italiani non convincono le superficiali ferite da taglio riportate sui polsi e nemmeno il marcato solco sul collo, risultato di un nodo troppo sofisticato. I sospetti sono dati anche dal fatto che alcuni membri della Missione di Verifica ONU hanno inquinato la scena del delitto. Christian Leonardo Thompson Garzón, responsabile della sicurezza della Missione, ha ritrovato per primo il corpo senza vita del giovane italiano e ha ordinato di ripulire l’abitazione in ore decisive per gli inquirenti. L’ONU ha successivamente revocato l’immunità diplomatica a tutti coloro che avrebbero potuto collaborare con le indagini, e ha avviato un’inchiesta interna all’organizzazione. Da allora, le Nazioni Unite mantengono il silenzio. E così, oggi, a sei mesi dalla morte, La Voce di New York ha chiesto aggiornamenti (link al minuto 16.27). Alla nostra domanda, Stéphane Dujarric, portavoce del Segretario Generale Antonio Guterres, non aveva ancora dettagli da condividere, ma ha promesso che ci farà sapere.
Con lo slogan “Chi dimentica diventa colpevole”, il festival dedicato al giornalismo civile internazionale dal nome “Imbavagliati”, lo scorso mese, ha rinnovato l’appello per chiedere verità e giustizia per Mario Paciolla.
AGGIORNAMENTO – Il 14 gennaio 2021, La Voce di New York ha nuovamente chiesto le conclusioni sull’indagine dell’ONU (link al minuto 19.14). Il portavoce Dujarric ha risposto che le Nazioni Unite stanno continuando a lavorare con le autorità italiane e colombiane, mettendo a disposizione le informazioni, ma che non appena saprà qualcosa ce lo comunicherà.