Sabato 28 novembre, l’esercito etiope “ha iniziato a colpire con armi pesanti e artiglieria il centro di Mekelle”, ha affermato il governo locale in un comunicato diffuso dai media. La notizia è stata poi confermata da due funzionari umanitari con personale in città. La terza fase dell’offensiva arriva dopo l’ultimatum di 72 ore del premier Abiy Ahmed ai leader del partito del Fronte di liberazione popolare del Tigray (Tplf).

L’esercito etiope vuole entrare nel centro di Mekelle, dove vivono 500.000 persone, per catturare i leader del TPLF, ma il rischio è che l’offensiva potrebbe provocare moltissime vittime civili. Aumenta dunque la preoccupazione internazionale per la crescente crisi umanitaria nel Corno d’Africa. In più di 40.000 sono fuggiti dalla zona prima che le forze governative chiudessero la città.
Il The Washington Post riporta che Debretsion Gebremichael, capo del Fronte Popolare di Liberazione del Tigray, ha detto a Reuters che Mekelle era sotto “pesanti bombardamenti”. Billene Seyoum, portavoce dell’ufficio del primo ministro, ha smentito le affermazioni secondo cui le forze etiopi stavano colpendo aree civili. “La sicurezza degli etiopi nella regione di Makelle e Tigray continua come priorità per il governo federale”, ha detto. Ma a causa delle interruzioni delle reti telefoniche e di internet, le affermazioni non possono essere verificate.

Intanto l’UNICEF ha chiesto alle parti in conflitto in Etiopia di “risparmiare i bambini dalle conseguenze delle ostilità nella regione del Tigray”. “Circa 500.000 persone vivono a Makalle, la metà sono bambini. L’Unicef è profondamente allarmata”. “Chiediamo a tutte le parti in conflitto un cessate il fuoco e di raggiungere una risoluzione pacifica. Le agenzie umanitarie dovrebbero avere un accesso urgente, continuo e senza ostacoli a tutte le aree colpite nel Tigray, a causa di accesso ristretto e dell’attuale interruzione delle comunicazioni, circa 2,3 milioni di bambini hanno bisogno di assistenza umanitaria e non possono essere raggiunti”.
Filippo Grandi, Alto Commissario dell’UNHCR, il cui mandato è stato appena esteso per altri due anni, in questi giorni si trova al confine etiope del Sudan orientale per parlare con i rifugiati in arrivo dalla regione del Tigray. Su twitter ha scritto: “La maggior parte di loro vuole tornare a casa, ma solo se i combattimenti finiscono e possono sentirsi al sicuro”.
Papa Francesco, già durante l’Angelus dello scorso 8 novembre, aveva lanciato un appello alla pace. Ora che gli scontri si sono intensificati, il Santo Padre si è rivolto “alle parti in conflitto affinché cessino le violenze, sia salvaguardata la vita, in particolare dei civili, e le popolazioni possano ritrovare la pace”.
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